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Scrivere. E basta

Ho fatto giri immensi in questi anni di vagabondaggio nei social. Ho sperimentato le foto, i filtri, le stories, le dirette, i video, le condivisioni, le stanze, i tweet, i reel. Ho cercato di capire come veicolare meglio i miei messaggi e come arrivare a più persone. Alla fine, torno da dove sono partita. Alla scrittura. Al mio blog www.lacolli.com che è nato quasi nove anni fa e che racchiude tante riflessioni, alcune profonde, altre inutili, altre ancora decisamente trash. Ma scrivere è ciò che mi piace e che mi serve, per razionalizzare ciò che mi accade e per andare avanti, senza deragliare troppo. La scrittura è il mio punto fisso, fin da quando ero una bambina, e mi piace condividerla. Che senso ha scrivere se nessuno ti legge? Se così fosse, mi basterebbe pensare e scrivere dentro di me. Ma io ho bisogno del confronto, degli altri. Perchè odio la solitudine e il silenzio e quando scrivo mi piace pensarvi lì a leggermi e già mi fate compagnia. I social sono scrittura per me. Poi ci sono le foto, ma quelle valgono un pugno di like e un po’ di egocentrismo, proprio di chi come me ha poca stima di sè. Si riparte da lettere e frasi allora. Giorno per giorno. Se avete voglia di seguirmi, mi bastano 25 lettori. Come quelli del Manzoni. Così, tanto per volare basso, come sempre.

Close up view of womans hand writing with pen on notebook on wooden table. Toned image.

donne

Altrove

La sensazione di essere altrove. Lì, mentre qualcuno ti parla di qualche cosa e tu rispondi con parole che sembrano uscire dalla bocca di qualcun altro. Sorridi pure, sei carina e affabile, ma sì certo, sicuramente, hai ragione, ciao. Intanto il pensiero segue vie diverse e tu lo segui, lo rincorri quasi. Maledici ogni incontro che fai perché sei costretta a dirgli “aspetta un attimo, mi libero di questo e arrivo”. Quell’idea con cui ti sei svegliata la mattina e ti ha fatto sorridere, lì, ancora stesa nel letto, i capelli sudati, la luce tra le persiane, i passi pesanti di chi abita sopra di te. Che ti ha fatto compagnia durante la colazione, miele, frutta, uova e caffè, il momento più bello della giornata, quello in cui stare soli con sé stessi non pesa, anzi, i progetti si affastellano e culli ancora l’illusione che quello sarà un giorno importante, speciale, per cosa non lo sai, ma speciale. Che ti sei portata dietro in ascensore, in auto, in ufficio, in pescheria, dal ciabattino. Un’idea per cui vale la pena vivere. Un pensiero che ti rende distratta agli occhi degli altri, ma tu distratta non sei. L’opposto. Sei concentrata. A costruire immagini che gli altri non possono vedere e che sono sale, peperoncino, curcuma e cannella di ogni minuto di questa giornata. Sorridi, anzi ridi. Da sola. In coda allo sportello delle poste, sotto gli occhi attoniti di un emigrato con il suo fardello di burocrazia sotto braccio, che alla fine ti sorride di rimando, con i suoi denti irregolari. Così. In certi giorni sei altrove. Che il dono dell’ubiquità esiste. Non è fisico ma mentale. E io sono ovunque sei tu. Anche se non so dove sei. Non so cosa fai. Non so con chi sei. Non so nulla. Come sei vestito, cosa mangi, cosa pensi. Vorrei chiedertelo ma immaginarlo mi inebria, E’ costruire il racconto di una vita che senti tua, anche se tua non è. E’ scrivere dentro di sé un romanzo con l’inchiostro dell’amore e cancellarlo ogni sera, per poi reinventarlo la mattina. E’ un vizio, una droga, una passione. Tu. Il mio altrove.