E il Natale 2015 è andato. Con gli occhiali luminosi della mamma e il cerchietto con il pacchetto regalo. Con la nonna che bara alla tombola e che con la scusa che non vede tenta di fare ambo terna quaterna in un sol colpo. Con le tremila portate e la promessa che la sera non ceneremo e poi ti alzi da tavola alle sette e vai a fare l’aperitivo. Con i bambini e il loro entusiasmo contagioso, il vero spirito del Natale con le lanterne lasciate volare piene di sogni nei cieli lomellini. Con i regali i baci e i messaggi, originali, copia incolla, poco importa, bello riceverne tanti con faccine sorridenti. Andato. Peccato. Perché a me il Natale piace davvero tanto….
Natale 2015
Caro Babbo Natale,
pensavi di averla fatta franca e invece eccomi qui. Che non ho idea a che ora chiude l’ufficio protocollo della fabbrica degli gnomi, ma quello del mio comune chiude domani alle 13.45 e quindi penso di essere ancora in tempo. Tanto più che uso la rete, se vuoi ti faccio una pec e la risolviamo in un lampo. Dunque, mettiti comodo con un bel bicchiere di rosso davanti al tuo camino, accarezzati la barba e in relax leggi i desideri della colli. Perché non ti chiederò la pace nel mondo o la fine della crisi o uno psicologo per il divorzio Belen De Martino che sembra essere più tragico del nostro PIL. Questo evidente che lo desideriamo tutti, così come evidente che non si potrà avere. Quindi, segnati. La neve. Ne hai un sacco lì in Finlandia, dai. Ho già preparato sci e attacchi, tuta e gambe. Una spolverata per il cilma natalizio in pianura, una tonnellata per l’adrenalina sulle piste in montagna…. Un paio di decolteè marroni, tinta cuoio. Ho girato ovunque ma non le ho trovate. E ti assicuro che è davvero dura stare senza. Come te senza cappello con il pon pon. Una questione di immagine…I 40, di nuovo. Rewind per i prossimi 20 anni. Perché se lo spirito è quello che conta, il fisico comincia a perdere colpi e questo mi innervosisce assai. E io nervosa sono antipatica. E mi aumentano le rughe. E rendo impossibile la vita intorno a me. Quindi per la pace non dico nel mondo, ma nel mio mondo, provvedi con qualche elisir, grazie. Poi, alla spicciolata, perché nel dubbio io chiedo, un’auto nuova, che il Jimny non appartiene al mio DNA, un paio di tette, già chieste e richieste, almeno porta un buono sconto da presentare a Klinger, qualcuno che legga quello che scrivo, gli piaccia, e mi renda famosa come la Allende. Direi che può bastare. E che se non hai tempo e vuoi accontentare altri va bene lo stesso. Ti capisco. Sono una donna terribilmente fortunata, tanto da essere perfino invidiata, sentimento che non comprendo ma che mi lusinga. Magari però metti mi piace a lacolli. Che sai che botto lacolli piace a Babbo Natale?!?!?
Abbandono
Perchè quando vieni abbandonata non ci sono santi che tengano. All’Inizio ci provi, a vedere se si può mettere una pezza, sfoderi inventiva, ingegno, ti improvvisi quella che non sei. Poi pian piano capisci che non si può fare, che battere il naso contro l’evidenza significa solo fartelo sanguinare e che tutto sommato il tuo nasino non è male, per cui teniamocelo buono. E allora reagisci. Davanti allo specchio ti autoconvinci che ce la potrai fare benissimo senza, che ci sono migliaia di donne che ne fanno a meno, che sarai il sesso debole ma ti ritieni donna con le palle. E adesso è il momento di mostrarle. E ti rimbocchi le maniche, spavalda. E passa una sera, due, tre e tutto sommato la situazione regge. Ti dici che non ne vuoi più sapere e che Natale è vicino. Ecco Natale. Avrebbe potuto lasciarti in un altro periodo dell’anno. No, a Natale. Quando più ne avevi bisogno, quando i mille impegni rendono tutto più difficile, quando si dovrebbe avere un animo leggero e tutte le cose che filano lisce. E va bè. E’ andata così. Ma ogni sera che passa, ogni pranzo, cena, colazione, ti senti più sconsolata. E allora invece della Go Pro, delle Loboutin, del vestitino sciccoso che hai visto in vetrina, chiedi a Babbo Natale che ti venga in soccorso. Che ti porti in regalo un degno sostituto. Perchè così non si fa. Perchè è proprio vero che è quando perdi qualcosa che ti rendi conto della sua importanza. Perchè per favore Babbo Natale o fai la magia e la aggiusti oppure mi porti una lavastoviglie nuova???
Murphy
E per non so quale legge di Murphy l’unica volta in cui nell’ordine sei struccata, le occhiaie da Cattivissimo me, le mani da Cenerentola, la camicia con il segno della terra sul colletto, i jeans che stanno in piedi da soli e con il bottone slacciato perché dopocena lo slim fit diventa fat fit, senza tacchi anzi decisamente sottoterra, ecco così, in questa anormalità, ti chiamano sul palco. Di fronte a gente elegante come la prima della Scala, ingioiellati come Sant’Agata nella processione a Catania, piega contropiega cera e manicure. E ti chiedono di raccontare fatti storici e artistici. Di fare la maestrina insomma. E in quell’istante ti viene in mente la vecchia prof senza la tinta e i collant spessi bianchi, le ballerine a piano terra con il polpaccio importante. Donna intelligentissima e preparatissima, che non si perdeva nella futilità dell’immagine. E in un certo senso ti consoli. Sei più rispettabile così. Forse. Ti fai schifo ma sei rispettabile. Ti senti come la più derisa delle prof del liceo ma sei rispettabile. Ok, va bene. Da domani tacco 12 anche nelle ciabatte con tanto di peluches e al diavolo la rispettabilità….
Total body
Allenamento del venerdì pomeriggio. In palestra con relax. Fine settimana alle porte e in genere nessuna fretta di finire. Voglia di sudare sotto i piedi ma per noi fissate del fitness è un appuntamento da non perdere. Più che i bicipiti e gli addominali alleniamo i mandibolari ma il total Body è anche quello. Alla fine spogliatoio, doccia. Prendi il borsone che pesa come quello per una vacanza di una settimana, ordine assente e inizi a cercare accappatoio ciabatte cuffia. Ecco la cuffia. Ma nel 2015 non si può inventare qualcosa di più fashion di questo preservativo di plastica, che peraltro puntualmente lascia uscire ciocche a tradimento? No tranquilli non ho quella a fiori rossi o a nuvolette blu very vintage, tipo film dell’orrore anni 70 con l’assassino che colpisce mentre lei fa la doccia con il plasticone in testa. E che poi non so a voi ma a me funge sempre da laccio emostatico per la fronte, un branding che anestetizza il cervello e hai voglia mettere il fondotinta poi. Comunque doccia bollentissima, accappatoio, via la cuffia e torni negli spogliatoi. Ora ok che siamo tutte donne fisicate e palestrate, una sorta di succursale di Playboy, ma girare nude per dieci minuti per lo spogliatoio anche no. Eppure molte qui si sentono libere. Peace and love. Nuda davanti allo specchio che si asciuga i capelli. Nuda che si increma qualsiasi anfratto del corpo per un tempo davvero eccessivo. Eddai che fa freddo. Oppure quella che gira in completino autoreggenti e tacchi, bagno specchio armadietto finché qualcuno le dice che bel completino e allora ha raggiunto lo scopo e la smette di fare l’angelo di Victoria Secrets. E poi quando sei quasi vestita entra quella tutta sudata, scolpita, che davanti allo specchio si fa il selfie agli addominali. E lì capisci che abbiamo raggiunto la parità dei sessi. Verso il basso però. Che Ivan Drago nel prossimo Rocky sarà una bionda di uno e ottanta con due mani così e che si batterà sul ring mentre il marito, a casa, cucina il minestrone….
Battiti
L’amore non si spiega. L’amore si da. Si vive, si accarezza, si annusa, si scopre. L’amore sfugge alle logiche per il fatto stesso di essere amore. L’amore fa male ed è l’altra faccia dell’odio, come su una moneta, e il confine è labile perché entrambi sono sottesi dalla passione. L’amore è rosso, come il sangue, come il cuore, perché lì scorre come un fiume in piena. L’amore è il battito del cuore di un bambino nella pancia della mamma. Il suo ti voglio bene mamma anche se non sei più giovane. La tua mano nella mia, la nebbia fuori, il caldo dentro.
Baci
«Ma poi che cosa è un bacio? Un giuramento fatto un poco più da presso, un più preciso patto, una confessione che sigillar si vuole, un apostrofo rosa messo tra le parole t’amo.» Eccola qui, dal Cyrano de Bergerac, una delle tante frasi da cartiglio dei Baci Perugina. Una di quelle che si stampano sulle magliette o nei biglietti di auguri per San Valentino. Che poi ogni volta che la leggo mi vengono in mente Aldo Giovanni e Giacomo nel loro mitico “Chiedimi se sono felice” e mi faccio una risata. Eppure questa frase mi è venuta in mente in questi giorni, passeggiando per una città straniera, dove è facile incontrare turisti, coppie che mano nella mano si scambiano baci un po’ ovunque. E la mente è andata ai primi baci. Ve li ricordate? Quelli un po’ impacciati, quelli che non sai bene dove mettere la lingua le mani i capelli, insomma quelli che sono una scoperta, una scommessa, uno sfizio. Eppure non so voi ma io me li ricordo tutti i baci. Lo capisci al volo se funziona o no. Se ti piace o no. Se vorresti che non finisse mai o se lo fai perché lui è talmente figo che sarebbe un vero peccato lasciar perdere. Magari poi migliora. Quelli sulle panchine al mare fino a toglier il fiato, sotto un cielo stellato e il profumo della salsedine, il rumore della risacca e la pelle abbronzata che sa di sale. Quelli imbacuccati nella nostra nebbia, in mezzo ai campi, col fiato che esce dalle narici e il caldo che contrasta con il gelo fuori. Quelli sulla neve, rubati sotto il casco, e i nasi gelidi che si sfiorano. Quelli che non ti aspetti, che magari non hai voglia, anzi come idea sei pure arrabbiata, e che invece ti lasciano senza fiato e il sapore dura ore. Quelli bellissimi che non presuppongono altro, perche sono essi stessi amore, puro, forte, energico, un mondo in quel contatto che ripercorre le nostre origini, quando la mamma passava al bimbi il cibo con la bocca, in questo che è nutrimento non solo del corpo ma dell’anima. Un bacio sarà un apostrofo per Cyrano, per lacolli è tutta la punteggiatura di ogni storia d’amore.
Rosa
Violenza sulle donne. Se ne parlava due sere fa in una Gasthöf davanti a costolette di maiale e birra come se non ci fosse un domani. Perché quando sei rilassato affronti meglio anche discorsi davvero spinosi. E retorici, molto retorici. Noi donne sismo state nel passato una classe di serie B. I greci non permettevano che le donne uscissero di casa sole, sempre accompagnate da una ancella e per brevi tratti. Quelle di alto rango si trovavano nei Ginecei, e il teatro greco metteva in scena tutta la paura che l’uomo aveva della donna, così magicamente capace di procreare. I romani lo stesso, le donne emancipate erano prostitute o attrici, equiparate alle prime, insomma quello che non vorremmo sentirci dire di essere. Gesù Cristo incontra nel Vangelo solo donne che sono già state sposate, prostitute, donne fuori dai canoni, perché alle altre non era permesso aggirarsi da sole. È così via. Additate come streghe e bruciate sul rogo, colpevoli solo di voler affermare il proprio io, costrette ai lavori più umili, sottopagate, violentate nel silenzio delle mura domestiche. Pensate un po’ alle donne che la storia ricorda, tutte fuori dai canoni: Teodora, ex attrice di dubbia fama, Giovanna D’Arco, che oggi sarebbe sempre in analisi psichiatrica, Ermengarda, poverina cornuta e abbandonata da quel figo di Carlo Magno, Maria Antonietta, che per colpa delle brioche ha perso la testa, fosse vissuta oggi avrebbe seguito la macrobiotica e buon per lei, Charlotte Corday che uccide Marat in una vasca da bagno e viene ritratta sempre molto stettata, prima che anche a lei taglino la testa. Ah voi mi direte, ma Anita Garibaldi? Ecco quelle sono le donne uomo, quelle con le palle, come Teresa d’Austria, la Regina Vittoria, basta guardare i ritratti per capire che di femminile avevano solo il nome. E poi vabè c’è lei, la principessa Sissi, che non aveva le palle delle suddette ma era imperatrice e si faceva quel gran gnoccolone del conte di Andrassy. Quelle sono quelle che hanno ispirato le femministe e tutti i movimenti che ci hanno portato ad oggi. In cui la donna sulla carta è come gli uomini. Anzi meglio. Non ci sono le quote azzurre in parlamento (al massimo le pastigliette blu data l’età media), ma quelle rosa. Una tutela. Esterna. Politica. Di comodo. Perché agli uomini non ie piace sta storia. Che la donna col grembiule che ramazza e aspetta paziente ie piaceva di più. E allora sbroccano. Quelli violenti con le mani, quelli codardi con il terrore psicologico. E qui le quote rosa non ci sono. Qui nessuno ascolta. Qui nessuno educa a sufficienza i nostri bimbi al rispetto per l’altro. Noi lo dobbiamo fare in casa. Ma lo stato lo deve imporre. Perché non é più scontato. E su questo non si può transigere. Sempre. Comunque. Rosa azzurro o del colore che vi piace.
Dachau
Arrivo a Dachau la mattina presto, su un treno silenzioso, composto, un treno per Dachau. Inutile negare che la suggestione è forte. Non si può visitare un luogo così simbolico senza far riemergere tutto quanto studiato a scuola, letto, visto sullo schermo. Ma ci provo. All’ingresso solo io, apro il cancello su cui svetta Arbeit macht frei in una giornata tersa e fredda, il fumo che esce dalle labbra, il corpo stretto nel piumino, le mani intirizzite mentre premo i tasti dell’audioguida. Freddo fuori e freddo dentro, su questo enorme piazzale che la mente popola di migliaia di persone, che qui hanno perso tutto, in primis la dignità di uomini. E poi le baracche, le torrette, il filo spinato. E i forni. Ed é qui che anche la dura colli cede. Non per il pensiero dell’eccidio. Non per le mille suggestioni. Non perché la cattiveria umana, nostra, cristiana, occidentale, immotivata, non di una cultura diversa come nei proclami delle ultime settimane, non perché questa cattiveria mi fa in fondo molta paura. No. Perché quando davanti ai forni aperti, a fianco alle camere a gas, nel silenzio totale, vedo arrivare una coppia tedesca, lui togliersi il maglione e mettersi in posa per la foto con la maglietta del Bayern che mette in evidenza una pancia considerevole, braccia aperte e pollice in alto, sorridente, lì davanti ai forni crematori, ecco in quel momento capisco che non impareremo mai. Che questa é la sintesi della stupidità del mondo odierno. Che adesso canta la marsigliese e sventola bandiere francesi, che posta frasi di sdegno, e che tra due giorni non si ricorderà più di nulla. Questo é il nostro filo spinato, l’incapacità di fare della storia un possesso per sempre, come diceva Tucidide, un memento per non errare di nuovo. E, scusate, tutto questo è davvero molto triste….
Siii viaggiare…
Viaggiare è fantastico. Vedere, conoscere, sperimentare, confrontarsi con culture diverse, mettersi un po’ alla prova in ambiti diversi dal proprio. E poi in un viaggio di piacere ti senti coccolato. Speciale e chic. E non devi viaggiare cinque stelle. Basta fare attenzione ai particolari. Il sorriso delle hostess e degli stuart e la loro gentilezza anche quando devono sistemarti nella stiva sopra ai sedili un trolley dal peso specifico di un auto. E anche quando gli chiedi con dolcezza di tirartelo un attimo giù di nuovo perché hai dimenticato di tirare fuori il libro da leggere in volo. Il tovagliolino e il bicchiere di caffè, il caffè fa schifo e lo paghi due euro e cinquanta ma berlo lasciando la scia nel cielo che si rischiara all’alba allarga il sorriso. I cioccolatini sul tavolino della camera d’albergo. E le ciabattine lo shampoo la cremina la penna il block notes. Oggi poi la sciccheria è stato l’interruttore delle tapparelle di fianco al letto: allunghi la mano pigra e su giù in un attimo. Inutile dire che l’ho quasi impallato su giù su giù, il giochino del giorno. E poi la doccia calda calda, ore sotto senza preoccuparsi di chi verrà dopo e del boiler che si svuota. Dovresti ricordarti di non sprecare acqua ma in fondo sei in vacanza no? E gli asciugamani grandi spessi e bianchi. E il tempo, rallentato e dilatato, perché devi pensare solo a te stessa e questo è il lusso dei lussi. Godiamocelo allora…