Sono nata due volte. La prima un giorno di pioggia del marzo del ‘75. La seconda quando sono diventata mamma e ho trovato il mio post nel mondo. I miei figli sono amore, energia, sfida, passione. Ogni giorno mi fanno emozionare con i loro sorrisi, le loro difficoltà di diventare grandi, le loro continue scoperte. Tra poco saranno grandi (questa è una foto di qualche anno fa…) e prenderanno il volo. Ma il loro cuore continuerà a battere forte vicino al mio, come quando erano nella pancia ❤️
Insegnamenti pandemici
La pandemia ci ha insegnato tante cose, che forse non avremmo voluto scoprire così, ma che vale la pena ricordare.
Ci ha fatto capire quanto è bello muoversi. Quanti pigroni da divano che si sono riscoperti podisti? Quanti anti palestra che ora si allenano davanti agli schermi? Abbiamo capito che siamo animali e abbiamo bisogno di camminare, correre, far lavorare il nostro corpo. Altrimenti stiamo male, e non solo fisicamente.
Ci ha fatto capire quanto sia importante stare con gli altri. A parte qualche misantropo, infatti, tutti lamentiamo la mancanza di relazioni dirette, di cene, aperitivi, caffè, chiacchierate, serate davanti a un tavolo a scambiare esperienze. Perchè siamo animali sociali ed è vitale questo scambio, che ci rende unici nel genere degli esseri che popolano la terra. Possiamo stare isolati, se è necessario, ma non venitemi a dire che questa è la vita di noi uomini.
Ci ha fatto capire il valore del contatto. Toccarsi. Baciarsi. Abbracciarsi. Sentirsi. Quanti di noi lo hanno rifuggito per anni, per timore, per educazione, per forma mentis! Ma quanto vorremmo stringere le mani delle persone che incontriamo! Quanto vorremmo darci i tre baci di quando eravamo ragazzini! Abbiamo capito che il contatto, che la mamma ci ha regalato da piccoli, è una necessità vitale e la sua mancanza un dolore latente, che permane nei nostri giorni.
Ci ha fatto capire che le disgrazie non migliorano gli uomini. Lo abbiamo sperato tutti, che la pandemia ci rendesse un popolo migliore. Guardando i tanti volontari all’opera, la loro abnegazione, il lavoro senza fine di medici, infermieri, sanitari, abbiamo creduto che ne saremmo usciti più gentili, più altruisti, più aperti verso il prossimo. Ciò che vediamo, a un anno di distanza, è invece un popolo stanco e incattivito, e non solo con il governo, ma con chiunque la pensi in modo differente. Tutti contro tutti. Leggete qualche post dei social e la vedrete lì, la pandemia nella pandemia, la strage dei rapporti sociali, della buona educazione, della tolleranza dell’altruismo. Abbiamo capito che homo homini lupus, anche se non ci piace e con buona pace dei dettami religiosi.
Ci ha fatto capire che ognuno ha una voce e può farla sentire agli altri. I social sono stati la cassa di risonanza per tutto e tutti. Forse adesso però sarebbe il caso di capire che non sempre abbiamo qualche cosa da dire, che pure nella democrazia delle idee, ognuno dovrebbe sapere quando parlare e, quando invece, in un consapevole silenzio, tacere.
Ci ha fatto capire quanto conta la famiglia e gli affetti stabili (i famosi congiunti!) e come si debba prima di tutto star bene con sè stessi e con i propri cari, altrimenti la vita è bella a metà. Abbiamo capito che soli valiamo poco e che solo dandoci la mano, anche virtualmente, possiamo costruire il nostro domani.
Ci ha fatto capire tante cose. Proviamo a rifletterci in silenzio, lontano dai social, e a decidere come tutto questo potrà renderci esseri più consapevoli. Se tutto sto disastro avrà portato anche solo un effetto di valore in ciò che siamo, ecco, allora, forse, avremo imparato a ballare sotto la pioggia.
Danza
Ho rivisto il video di un mio saggio di danza moderna di trent’anni fa. L’altro ieri, praticamente. Era il 1990 e avevo 15 anni. Non lo rivedevo credo da più di vent’anni e, sinceramente, non me lo ricordavo. Dopo due minuti, però, mi sono trovata a ballare gli stessi pezzi e a rifare esattamente le splendide coreografie della mia insegnante, Patrizia Lanza. Altrochè Franco Miseria, la Patty ci sapeva fare, tenendo conto che doveva gestire uno stuolo di bambine e adolescenti ormonalmente confuse e non tutte propriamente portate per la danza. Anche mio marito, in genere terribilmente critico e per nulla amante della danza, è rimasto sorpreso. Anvedi la Colli come sculettava sul palco dell’Odeon di Vigevano, non l’avrei mai detto. E, devo confessarvelo, la vista di quello spettacolo ha fatto partire una serie di seghe mentali in puro stile Colli, che hanno fatto lavorare il mio cervello per tutto il sabato sera. Primo. Ero convinta di essere una schiappa a ballare, una sorta di plumcake con i riccioli, che sentiva il ritmo, ma non riusciva ad esprimerlo. E invece, dai, non ero Heather Parisi, ma nemmeno andavo a destra mentre le altre andavano a sinistra. Secondo. Ero davvero carina. Voglio dire, io ho un ricordo personale annebbiato dei miei quindici o sedici anni. Ho le foto, ok, ma ciò che mi ricordavo io era una ragazza insignificante, fisicamente appesantita, non particolarmente interessante, pure secchiona. Ecchecavolo, no! E’ stato come vedere sullo schermo un’altra me: mio marito che mi dice “eccoti!” e io “ma quale? Ma no, non sono io”. Ero io. Carina, fisicamente a posto, già muscolosa, pensa un po’, con un bel nasino e due occhioni grandi. Per nulla plumcake o appesantita, anzi, un bel culotto, che ora si fanno le protesi, altrochè. Ci crederete o no, è stato uno shock. E ho capito quanto l’immagine di me stessa fosse alterata in quegli anni, quanto tutta la sofferenza che ne è derivata, nella ricerca di un corpo diverso, potesse essere evitata. Perchè ero già perfetta così e avrei potuto fare a meno di tanti, tanti complessi, che mi hanno rovinato l’adolescenza. Alla fine ho imparato a guardarmi allo specchio e a vedere l’immagine che vedono tutti gli altri, nel bene e nel male, ad essere abbastanza obiettiva su pregi e difetti, ma in quegli anni non era così. E c’è voluta la pandemia e la noia di un pomeriggio tra vecchi filmati a sbattermi in faccia la mia stupidità. O semplicemente l’immagine di una ragazzina che si è sempre fatta troppe domande e che non si è mai accontentata delle risposte.
Cultura
“Se togliamo ai nostri figli la possibilità di avvicinarsi all’arte, alla poesia, alla bellezza, in una sola parola alla cultura, siamo destinati a un futuro di gente superficiale e pericolosa. Per questo occorre difendere un settore che non esiste per dare dei profitti, ma per parlare direttamente alla gente. Sottolineo che un’orchestra sinfonica costo molto, ma molto meno di un giocatore di calcio”. “I dittatori hanno sempre cercato di chiudere la bocca agli artisti e agli intellettuali, perché la cultura, nonostante l’imbarbarimento estetico al quale stiamo assistendo, continua a essere l’anima del popolo”. “L’Europa ha alle spalle una storia importantissima, sul piano culturale è stata a lungo leader nel mondo. Ora non può dimenticarlo:per risalire e tornare propositiva, basterebbe che i governi dei vari Paesi togliessero un po’ di denaro alle cose superflue e lo destinassero prima all’educazione, poi all’educazione e quindi all’educazione” Riccardo Muti
Pizza!
Domenica mattina di metà gennaio. Mi alzo alle sette, dopo otto ore di sonno, per cui immaginate il mio sabato sera, divano, tv, schifezze da mangiare di supporto emotivo. Vado in cucina, mentre il resto della casa tace. Prendo farina, lievito, sale, acqua e inizio a preparare l’impasto. L’ennesimo tragico impasto della pizza fatta in casa. Che il rientro in zona rossa noi lo festeggiamo come da tradizione. Nelle buone abitudini della famiglia italiana in tempo di pandemia, c’è almeno la pizza, o la torta, o il pane fatto in casa, perchè il lievito è ormai come il cappone a Natale o le lenticchie a capodanno. Irrinunciabile. Mentre impasto, penso. E pensare fa male. Sempre detto io. Inizio a pensare a cosa facevo il fine settimana prima che sto virus decidesse di andare a comandare. Faccio fatica a ricordarlo. Tante volte me ne stavo in casa a leggere tutto il giorno in pigiama, come faccio ora. Oppure cucinavo tutto il pomeriggio, come faccio ora. O ancora scrivevo, come farò più tardi. Si, in fondo non è che i miei fine settimana fossero all’insegna di serate, sesso, droga e rock’n’roll. Però. Però poi verso sera andavo a fare un ape con gli amici. Magari un giro nel centro di una città vicina, con negozi aperti e un po’ di vita, visto che abito in un piccolo comune, dormiente alla domenica. Mi infilavo anche in un centro commerciale o in un outlet per comperare qualche cosa di carino o prendevo l’auto con la mia famiglia e andavo in montagna o al mare. A respirare aria e vita. Non decidevo mai in anticipo, un po’ come ora, che non posso farlo perché devo aspettare che chi ci governa faccia strega comanda color (sempre odiato quel gioco), ma lo facevo perché ero libera. Ecco. Il mio fine settimana, la mia vita, erano libere. Libere di non fare un tubo se mi andava. Ora non fare un tubo è obbligatorio. E nulla è più odioso di una costrizione. L’impasto della pizza è quasi pronto, intanto si è fatto giorno e il cielo è terso. Chissà che belle le mie montagne. Fa niente. L’importante è stare bene. Bene. Fisicamente ok, di testa insomma. Ma almeno mi mangio la pizza stasera. Oggi, che è la giornata mondiale della pizza. E la pizza, un po’ come il tacco 12, risolve sempre. Buona domenica!
Mamme in DAD
Avere un adolescente in casa è un’esperienza che tempra nel profondo. Averne due, eleva a livello di supereroi. Due in DAD in tempi di pandemia apre la via alla santità. Peccato che non aspiri a diventare Santa, ma solo ad invecchiare senza abusare di farmaci per colite e mal di testa, fatto questo impossibile in quanto madre dei suddetti adolescenti. Per non parlare della cellulite, che imperversa a causa dei livelli di cortisolo raggiunti per colpa del governo e del fancazzismo imperante tra le mura domestiche. E delle rughe, perché se ti arrabbi sei più brutta, non ci sono storie. Eppure io ce la metto tutta. Mi sveglio con il sorriso e l’energia di Mary Poppins, li coccolo con manicaretti che mai avrei pensato di preparare, lavoro con il cellulare, perché mi hanno preso tutti i pc disponibili in casa, e vi assicuro che scrivere un articolo di 4000 battute sullo schermo dell’iPhone mini è un’impresa. Infatti sono diventata presbite nell’ultimo anno, cosa che aumenta i suddetti livelli di incazzatura. Dicevo, cerco di rendere sto periodo il più sopportabile possibile, smussando, sdrammatizzando, supportando. La risposta? Menefreghismo, supponenza, strafottenza. E se li sgridi? “Ma tu non sei normale, calmati, il lockdown ti fa male”. Al che, io vorrei prendere loro, i loro cellulari, auricolari, cuffie, pc, Xbox, e metterli sul pianerottolo. Fora di ball. Che due schiaffi ci starebbero anche, ma servirebbero solo a far sfogo alla mia rabbia, con scarso ritorno educativo. Poi però mi trattengo. Che un po’ Santa lo sono davvero. Come tutte le mamme in fondo ❤️
Liberi dentro
La libertà. Quanto vale la libertà?
Noi, nati e cresciuti liberi, ora ce ne rendiamo conto. E non é facile.
Siate almeno libero dentro. Di pensare, sognare, creare. Non fatevi manipolare, continuate a pensare con la vostra testa. Si fa fatica, in questo martellamento mediatico, ma dovete tenere stretta questa libertà. È il tesoro più grande e nessuno ve lo potrà mai portare via. Neanche questo dannato virus.
Studiare
Ho passato l’ultima mezz’ora a riguardare la galleria delle foto sul telefono. Scatti con marito, figli, amici, parenti, in palestra, al lavoro, in giro per il mondo. Tanti colori, tanti sorrisi. Gli ultimi anni sono stati una girandola di eventi. Dal 2015 a oggi ho realizzato il mio sogno di pubblicare un libro. Non uno, ma cinque. Mi sono trovata catapultata nel mondo della tv senza che fosse mai stato nell’elenco delle cose da fare da grande. Sono diventata pubblicista, di fatto una conferma di una attività giornalistica che svolgo da più di dieci anni. Ho conosciuto scrittori mitici, prima tra tutte la grande Sveva Casati Modignani, sono stata a cena con Vittorio Sgarbi e l’ho pure portato a Mortara a San Cassiano, ho partecipato a un programma tv e conosciuto Gerry Scotti, il mitico Ettore Andenna di fronte alle telecamere mi ha fatto i complimenti per il mio modo di pormi in tv. Ho visto i Bronzi di Riace, i Jeshua Trees, la Midway, la Sirenetta, il castello di Neuschwanstein, la Porziuncola e altri Mille luoghi mitici che sognavo. Ho amato così tanto da sentire scoppiare il cuore e spero che le persone lo abbiano capito. Ho salutato mia nonna, partita per un viaggio senza ritorno, ma sempre nel mio cuore e nella mia mente. Ho visto i miei genitori cambiare e diventare anziani, e anche io sono cambiata con loro e ho rivisto tante priorità. Ho sempre corso tanto nella mia vita, non esiste camminare per me, ma solo andare a mille all’ora, sempre. Eppure il covid mi ha fermato. È vero, ho fatto molto anche in questo 2020, ma la testa si è fermata. E non so se ho voglia di ripartire nella stessa direzione. Si sono fatti avanti altri bisogni e il tacco 12 è nella scarpiera in attesa di sapere il suo destino. Ho bisogno di fermarmi, ma non perché me lo impone la pandemia, perché ho bisogno di sedermi con un libro in mano. Ho bisogno di studiare. Di approfondire. Di indagare. Adoro studiare ed è da troppo che non lo faccio. Forse ho nutrito troppo il corpo in questo annus horribilis, per spegnere la mente e non pensare a cosa stava succedendo. Non sono mai stata così allenata e in forma, nonostante la chiusura delle palestre. Ora la mente chiede il conto. E credo che la accontenterò. Nell’anno Dantesco mi dedicherò ad imparare qualche cosa di nuovo e poi ve lo racconterò. Come sempre. Se vi va. E voi, che farete?
Vaccine day
27 dicembre 2020. Vaccine day. Così lo hanno chiamato i media. Il giorno del vaccino. Oggi potrebbe essere l’inizio della fine. Non so se crederci, vi dirò, perché qui tra varianti e dubbi ininterrottamente alimentati in noi inermi spettatori, non crediamo più a nulla. Ci siamo abituati a numeri di contagi e morti una volta intollerabili. Abbiamo accettato restrizioni che avremmo rifiutato come lesione delle nostre libertà individuali. Abbiamo rinunciato al Natale, alla Pasqua, agli abbracci con i nostri cari, a due salti in discoteca, ai concerti, al cinepanettone, ai viaggi, all’aperitivo, allo shopping uno sopra all’altro in un centro commerciale il sabato pomeriggio. E lo abbiamo fatto con coscienza, hanno dovuto ammetterlo anche al tiggì, e secondo me un po’ gli è dispiaciuto non darci dei soliti italiani furbetti. Ora speriamo che sto vaccino, arrivato e scortato che neanche il presidente degli Stati Uniti, dia i risultati sperati e che si possa tornare a vivere, a lavorare, a produrre. Rivogliamo la nostra libertà. E spero che in futuro oggi diventi una data storica e che si dica “il 27 dicembre 2020, un vaccino creato e testato in tempi mai visti primi e con una collaborazione internazionale, mise fine alla più grave pandemia dopo la spagnola”. Bello eh?
Stella
Sono cresciuta con le top model degli anni ’90. Cindy, Claudia, Naomi, Eva, Stella, Linda erano le bellissime da imitare nel modo di vestire, di truccarsi, di allenarsi. Erano, per noi adolescenti di quegli anni, quello che oggi sono le influencer. Ricordo che comperavo Vogue, Cosmopolitan, Marie Claire, un sacco di riviste insomma che in tempi pre social mi raccontavano le immagini e le vicende di queste donne mitiche. Quanto erano belle, mamma mia! Stella era la più androgina, con quel corpo filiforme, i capelli cortissimi e gli occhi magnetici che scavavano dentro. Foto splendide le sue, una bellezza avanti anni luce, una capacità di mettersi davanti alla macchina fotografica che era arte pura. Per questo, la notizia della sua scomparsa, a soli 50 anni, mi sconforta. In questo anno terribile, se ne va anche un’icona ancora bellissima. Restano le sue foto, che guardo in loop da quando ho appreso la notizia, perchè queste top erano per noi immortali, un po’ come le dee di un Olimpo fatto di lustrini e di vestiti senza tempo. Ciao Stella, da questa sera sfilerai lassù e sono sicura che farai girare la testa a tutto il firmamento.