È arrivata l’estate anche quest’anno. Senza che me ne accorgessi. Troppo presa dal quotidiano per guardare il cielo, troppo impegnata con gli occhi su uno schermo per notare la luce, troppo stanca per cercare nuovi stimoli. Stanca si. Tanto tanto. Ma lei è arrivata lo stesso e con un sogno di una notte di mezza estate mi ha ricordato che sono viva. È arrivata con il vento di questi giorni, lo avete sentito? Un vento insistente contro le persiane nelle prima notti calde. Che mi ha ricordato di guardare il cielo più spesso, di seguire le sue vie, di essere ciò che sono. Una libellula che sfiora la palude.
Berlusconi
Silvio Berlusconi rappresentava quello che tutti avrebbero voluto essere, anche se non lo avrebbero mai ammesso. Uomo di successo, instancabile lavoratore, amante delle belle donne, politico di successo, ricchissimo, simpatico, capace di sfruttare le situazioni a suo vantaggio. Sempre sopra la righe, era la perfetta fotografia di noi italiani. E che piaccia o no ha cambiato il volto della nostra nazione. Dalle televisioni alla stampa allo sport, è stato innovativo e mai sazio, come i grandi uomini della storia. Aveva mille difetti e non ne faceva mistero, ironico e sagace, riusciva sempre a trovare le parole giuste in ogni situazione. Grande accentratore, questo è forse il suo più grande limite, perché senza un vero successore in ambito politico, la sua dipartita apre scenari tutti da valutare. Comunque la si pensi, Silvio Berlusconi ci mancherà.
SilvioBerlusconi
Berlusconi
Si è spento oggi a Milano Silvio Berlusconi. Imprenditore, uomo politico e di sport, il Cavaliere era molto legato a Mortara per via della presenza in città dell’amata zia suor Silviana Berlusconi, per anni a capo della Casa di riposo Dellacà. Indimenticabili i suoi arrivi in città con l’elicottero che richiamavano la dirigenza di Forza Italia e numerosi cittadini curiosi di vedere il fondatore di Mediaset e di Forza Italia. L’ultima volta di Berlusconi a Mortara è datata 8 febbraio 1995, quando partecipò (assieme a circa 5mila persone) ai funerali della zia che si tennero nella basilica di San Lorenzo.
Nella foto Silvio Berlusconi con l’allora onorevole di Forza Italia Giacomo De Ghislanzoni e il sindaco Roberto Robecchi di fronte al Dellacá.
Inadeguata
Non è facile sentirsi adeguati. Ammiro molto chi ci riesce. Io non ne sono capace e mi sembra sempre di non essere all’altezza. Di essere fuori posto oppure li per caso. O per culo. E allora lavoro, lavoro, lavori, mi impegno un sacco per migliorare. Ma nulla cambia.
Compagni di scuola
Oggi è stata un giornata speciale. Ho rivisto un compagno di liceo che non incontravo da quasi trent’anni ed è stata un’emozione fortissima. Matteo Re è oggi un professore di storia all’università di Madrid e ha presentato a Palazzo Merula a Vigevano il suo ultimo libro, che tratta di terrorismo e dell’Eta. Circondata dal bel colonnato del palazzo, me ne stavo lì, tra il pubblico ad ascoltarlo. L’accento spagnolo, la voce composta di chi sa spiegare e fare lezione, la sicurezza di un uomo che ha dedicato una vita alla storia. Ma ogni volta che sorrideva io vedevo in lui solo il Matteo con cui ho condiviso cinque anni al liceo Cairoli. Si perché Matteo era uno che sorrideva spesso, uno senza troppe menate, uno con cui era bello parlare e scherzare. E io questa mattina mi sono sentita una donna molto fortunata. Perché ero in un posto molto bello, ad ascoltare un racconto di valore di un mio compagno di scuola, insieme a mio marito e ai miei due figli, ormai grandi, liceali ancora per poco. Che fortuna, sí. Perché il successo di una vita risiede almeno per il 50 per cento negli incontri che fai e nelle persone che ti trasmettono qualche cosa che ti rende poi ciò che sei. E io di gente bella ne ho conosciuta tanta. Come il prof Claudio Beccaria che era seduto accanto a Matteo e che è stato il miglior docente di arte che potessi chiedere. Perché mi ha dato gli strumenti per leggere quadri, sculture, mostre e perché anche oggi lo ha fatto con quel sorriso e quell’empatia che mi aveva conquistato ai tempi del liceo. Grazie Matteo, grazie prof, grazie vita ❤️
Senza testa
Troppe cose per la testa. Tutte insieme. Il dannato cellulare che ci tiene costamente connessi con il mondo. Un mondo che ci vuole attivi, multitasking, impegnati su mille fronti. E l’incapacità di soffermarsi su ciò che stiamo facendo. Agiamo senza pensare, perché stiamo già pensando a quello che faremo dopo. Non viviamo l’attimo ma siamo già nel futuro. E ci sfugge il presente. È la malattia della nostra società. Poi succede anche che dimentichiamo di portare il bambino all’asilo e lui resta sul seggiolino dell’auto. Una tragedia. Che interessa tutti noi. Che deve far riflettere. Che deve dirci basta così, adesso è troppo.
Breve riflessione prima di fare la nanna.
C’é una cosa che non capirò mai.
Perché le persone invece di unire le forze per un progetto, passino il tempo a cercare di metterselo in quel posto a vicenda. Risultato, perdono tutti e sono sempre incazzati.
Ecco, io questo non lo capisco proprio.
Forse per questo mi sento sempre un extraterrestre.
E bene così.
Il senso di vivere in provincia
Mi è stato recentemente chiesto cosa voglia dire per me vivere in provincia e quali siano i limiti e i pregi di un’esistenza trascorsa in una cittadina come Mortara. Domanda che non mi ha sorpreso, perché non ho mai nascosto la mia difficoltà ad adattarmi ai ritmi e alla mentalità di questo luogo, dove pure ho vissuto da quando sono nata, quasi mezzo secolo fa. Vivere in una piccola realtà vuol dire crescere in un nido, dove tutti ti conoscono e dove quindi potrai sempre trovare un rifugio, una parola, un gesto di solidarietà.
In un paesone come il nostro non sarai mai solo, perché in fondo tutti sapranno chi sei, di chi sei figlio, che cosa fai e pretenderanno anche di conoscere i tuoi desideri, i tuoi pensieri, le tue reazioni. Tutto insomma. Un bozzolo speciale dove trovare i frammenti di una vita intera, in cui i ricordi della propria giovinezza sono a portata di mano, dove si possono incontrare al bar i compagni di scuola, i fidanzati di una volta e perdersi nel consolante amarcord del passato. Mortara è così, un piccolo nido. Eppure, quello che manca, è la libertà. La libertà di muoversi senza che questo determini commenti, critiche, giudizi. La libertà di essere ciò che sei e non quello che gli altri si aspettano da te perché sei figlio di questo o amico di quello. La libertà di uscire dagli schemi. Perché il paese, come ogni famiglia, incasella, definisce, giudica. E se per carattere non ami tutto questo allora diventa una prigione. Personalmente ho sempre preferito i grandi centri, le metropoli, dove nessuno mi conosce, dove posso confondermi nella gente, dove posso andare in giro in pigiama senza che nessuno neanche se ne accorga. Essere invisibile in mezzo alla folla. Un sogno. Che poi anche le grandi città hanno i loro quartieri che non sono altro che paesi all’interno della metropoli. In una grande città puoi passare settimane senza parlare con nessuno e questo è normale. Nel paese è impossibile. E questo è bello e terribile al tempo stesso. Il paese è fantastico nei momenti difficili perché sa circondarti con un calore inaspettato e basta allungare la mano per trovare qualcuno che la prenda. Poi però la stessa mano ti molla appena sali qualche gradino perché i piccoli centri sono per natura invidiosi e il chiacchiericcio si alimenta quanto più sei in vista. Difficile dare una risposta come vedete. Io non amo le cittadine eppure non sono mai riuscita ad andarmene da Mortara. Ci ho provato tante volte, ho viaggiato in lungo e in largo, ho imparato a osservarla da lontano e questo mi ha dato la possibilità di interpretarne meglio pregi e difetti. Un po’ come un bel dipinto, che non si può cogliere in tutta la sua intensità se non da una minima distanza. Alla fine Mortara mi ha sempre richiamato alla base e non mi ha mai nemmeno permesso di vivere nascosta, come avrei invece preferito. Ha deciso lei per me o, meglio, io ho lasciato che il dna prendesse il sopravvento e accettato questo mio essere fatta di terra e acqua, come le risaie di cui siamo circondati. «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». Lo scrive Cesare Pavese ne La luna e i falò. E credo che nessuna frase possa meglio esprimere cosa significhi per me vivere in provincia.
Festa di Mortara
Arriva la festa di Mortara e hai 15 anni. I primi caldi, un mese ancora di scuola prima della lunga estate, le risaie allagate, le magliette corte, primavera fuori e dentro, ormoni come i pollini, escono da tutte le parti. La festa di maggio era la fiera, le giostre. Non come il Salame d’oca che ha un sapore diverso, più compassato, più serio. A maggio nessuno sapeva che patrono si festeggia, perché si fa festa. È il nostro Black Monday, perfetto per il ponte del primo maggio, una cosa furba di chi l’ha inventato. Comunque a 15 anni ste cose non le pensi. Diecimila lire in tasca e due ore in fiera. Mi raccomando, alle sei a casa, che il braccino degli orari di uscita in casa mia è sempre stato troppo corto. Gruppetto di amiche. Jeans, Vans, Lacoste, ciuffo molto Madonna Like a Vergin. Niente cellulare, niente IPod, quattro ragazzine ai bordi della adolescenza. Prima tappa il Tagadà. La giostra più figa di sempre. Girava in piano e ogni due per tre dava scrolloni. E volavano monetine cerchietti scarpe. Oggi sarebbe il cimitero degli schermi dei cellulari. Fantastico. Seconda tappa l’autoscontro. Questo era il regno di quelli considerati fighi. Un po’ bulletti, ma le facce pulite non mi sono mai piaciute. Parole sussurrate risate, vai a parlargli, ma no dai poi cosa pensa, tanto non mi guarda. Quattro galline e il gallo, tra risate e musica. Ah la musica dell’autoscontro. Nick Kamen, Madonna, George Michael. Non era ancora tempo di discoteca per me ma i miei piedi erano altro che footlose, scalpitavo ad ogni nota. E poi il calcinculo, che i miei non volevano ma ci andavo lo stesso, il tiro al bersaglio, lo zucchero filato e il frittellone. 15 anni mi sento oggi quando costeggio le giostre. Il posto è diverso, il clima oggi é diverso, ma i ragazzini sono identici, coi loro brufoli e la sicurezza che tutto sia possibile. E cosa c’è di più bello? Allunghiamo la mano e cerchiamo di prendere la coda e con lei i sogni del nostro destino….
Aiuto
Ci sono momenti della vita in cui allunghi la mano perché da sola non ce la fai. La allunghi in più direzioni con discrezione e anche un po’ di vergogna. Ma la allunghi. E la mano resta lì, sospesa nel vuoto. Crollano le promesse. Crollano le belle frasi. Ognuno cura il suo orticello ed è già tanto se non aggiunga difficoltà a ciò che stai vivendo. Eppure la collaborazione è fondamentale in una società civile che invece oggi è sempre più individualista. Mors tua vita mea, con buona pace degli appelli alla solidarietà. Mandiamo aiuti in giro per il mondo ma non ci accorgiamo che chi sta accanto a noi ha bisogno anche solo di una carezza. Di una parola. Di un po’ di tempo. Più facile mettere soldi in una busta e spedirli che dedicarsi davvero agli altri. Donare un po’ di sè. Dare quello che l’altro ha bisogno, non quello che a noi non serve. Alla fine la mano la tiri indietro e la usi per rimboccarti le maniche. Che da soli è spesso l’unica soluzione possibile.