Tutti gli articoli di

cricolli

Mostra 692 Risultato(i)
Senza categoria

Facebook

Vorrei aprire Facebook e ritrovare la leggerezza di qualche mese fa.
Vorrei sorridere alle tante stupidate che ogni giorno postavamo, dai meme sulla politica ai video stile Paperissima.
Vorrei ritrovare le battute sul sesso, a volte sottili, a volte così scurrili da dare fastidio, eppure italianamente veraci.
Vorrei leggere i dibattiti sul festival di Sanremo, sugli Oscar, su Bugo e Morgan, sulla candela al profumo di vagina della Paltrow, sul vestito indossato da quell’attrice e sulla fine di un grande amore vip.
Vorrei vedere le foto di giovedì gnocchi e dei tanti brindisi degli aperitivi.
Vorrei scorrere i tanti commenti politici, le dichiarazioni di quello o questo opinionista su temi vari ed eventuali, tipo le merendine o gli assorbenti.
Vorrei trattenermi dal rispondere ai soliti leoni di tastiera che infangano tutto e tutti, tuttologi sempre pronti a commentare, ma poi, in fondo, che male fanno?
Vorrei postare foto ignoranti, di tacchi, trucchi, vestiti, costumi, bicipiti e addominali.
Vorrei.
Invece.
Grafici, percentuali, conferenze stampa, lacrime per la perdita di parenti, amici, conoscenti, mascherine, guanti, corsie di ospedali, polemiche su grafici, percentuali, conferenze stampe, mascherine, politici che parlano di grafici, percentuali, conferenze stampe, mascherine. Morte. Ansia. Dubbi sul futuro. Inps che va in tilt, bonus che non arrivano, case di riposo sotto inchiesta, autocertificazioni, code al supermercato, mare sì mare no. E poi. Dolci, pizze, lievito. Allenamento tabata, yoga, cardio, stretching.
Unica costante rispetto a prima, i leoni di tastiera. Quelli non mancano mai. E i tuttologi con loro. Ora sono virologi, tutti, quando fino a tre mesi fa neppure sapevano la differenza fra virus e batteri.
Un giorno aprirò Facebook e ritroverò le sane stupidate di un tempo. Ecco, allora vorrà dire che inizieremo ad uscirne. Almeno virtualmente.

Senza categoria

Lui ❤️

Mi sono innamorata di lui tanti anni fa. Ero uno scricciolo tutto capelli, piena di sogni ma anche di insicurezze. Poche storie alle spalle, tante delusioni. L’ho conosciuto in un giorno di festa, per strada, verso sera, mentre l’aria fresca di fine settembre ci ricordava che l’estate era anche per quell’anno archiviata. Era il 1993 e noi eravamo dei ragazzi di provincia, che avevano voglia di conoscere il mondo. L’ho conosciuto per caso, eppure abitavamo a pochi passi l’uno dall’altra, avevamo frequentato la stessa scuola media, avevamo amici comuni. Mille occasioni di incontrarci, eppure non era successo. Perché il momento giusto era quella sera di fine settembre. Tra le giostre di una fiera affollata. Io, piccolina, una bimba in fondo, nonostante i miei diciotto anni, con il mio maglioncino rosso 012 Benetton, miei jeans stretti e le scarpe da ginnastica. Lui. Bè lui era bello. Lo è anche oggi. Lui per me è di una bellezza speciale. Lo è sempre stato. Lo era allora, perché era diverso dagli altri. I capelli lunghi, l’aria dinoccolata, la erre moscia, quel modo di fare così perbene, che nascondeva un’anima rock. L’ho conosciuta dopo quell’anima, nelle serate fatte di musica, birra, pub, disco. Sì, ma non una discoteca qualunque. Noi si andava da Pepe, e chi abita dalle mie parti sa che Pepe non era una discoteca, era Pepe e basta. Con la sua musica fatta di Clash, Cure, con il suo interno fumoso, con il pavimento sempre scivoloso, con le pogate che mi facevano volare da un lato all’altro della pista, con il Duli come dj. Mi sono innamorata di lui due minuti dopo averlo conosciuto e se chiudo gli occhi sono ancora lì, a balbettare qualche stupidata, che le relazioni umane sono sempre state un mistero per me. Lui no. Ci ha messo qualche mese ad accorgersi di me. Ma poi si è accorto, oh se si è accorto. E senza preavviso mi ha baciato lì da Pepe, tra uno pieno di birra che sbraitava e una che accendeva l’ennesima sigaretta. Che bacio, ragazzi, uno di quei baci che si danno solo da giovani, che durano il tempo di due, tre canzoni e poi ti gira la testa. Senza fiato mi ha lasciato. Come questa mattina, quando mi sono svegliata e l’ho visto accanto a me. Dovrei essere abituata, dopo una vita insieme. Eppure mi emoziono a guardarlo. A pensare che ha accettato la sfida di una esistenza mano nella mano. Con me. Mi emoziono perché sono ancora quello scricciolo biondo e lui il bel ragazzo alto che mi ha insegnato ad amare. Che ogni giorno rende questa quarantena un privilegio, perché la vivo con lui, il mio lui ❤️

Senza categoria

Sto

Come stai?
Sto abbastanza bene dai.
Nel senso che il virus non ha ancora bussato alla mia porta e a quella della mia famiglia. Ho il frigorifero pieno e una casa accogliente. Posso gestire il mio lavoro da casa e abbracciare i miei figli tutte le volte che voglio. Ho un buon rapporto con mio marito e questa situazione rafforza la nostra unione, perché stare insieme ci piace e non ci pesa affatto, anzi.
Un idillio, quindi. No?
No.
Perché non sto bene, fingo.
Non sto bene perché il cuore sanguina al pensiero dei troppi morti e solo quando arriverà la notizia che non ce ne sono più, ecco solo allora ricomincerò a respirare.
Non sto bene perché mi sento impotente. Vorrei fare di più, ma l’unica cosa che posso e devo fare è stare a casa. Cosa che odio nel profondo.
Non sto bene perché penso a chi ogni giorno rischia la vita al lavoro negli ospedali, nelle case di riposo, sulle ambulanze, ai tanti amici e conoscenti, e ogni sirena ho il cuore in gola.
Non sto bene perché non riesco a fare progetti. Il virus si è portato via i miei sogni e mi ha lasciato solo gli incubi ricorrenti, gente con mascherine, gente nei letti d’ospedale, gente separata da vetri che non si può abbracciare.
Non sto bene perché mi mancano le mie giornate frenetiche e l’energia ogni giorno di affrontare la vita con entusiasmo.
Non sto bene perchè ogni tentativo di reagire, vestirsi, truccarsi ha un sapore amaro, che vanifica ogni sforzo. Un pagliaccio, un joker, insomma, che dietro il sorriso nasconde un abisso.
Mi chiedi come sto.
Sto.
Punto.

Senza categoria

Odio questa situazione

Allora non ci siamo capiti.
Odio questa situazione.
Odio stare in casa.
Odio non poter lavorare come sempre.
Odio non aver la possibilità di abbracciare i miei genitori.
Odio questo virus che sta uccidendo tante persone.
Odio alzarmi al mattino in questi giorni fotocopia.
Prego per chi lavora negli ospedali, sulle ambulanze, nelle case di riposo, nei supermercati e in tutti quei luoghi a forte contatto con le persone.
Amo il rumore, il traffico, le metropoli.
Amo lavorare 18 ore al giorno e l’agenda stracolma di impegni.
Amo allenarmi in palestra con gli amici di sempre.
Amo gli aperitivi, le discoteche, le fiere con tanto casino.
Non so stare da sola.
Il silenzio mi fa paura, infatti vivo con la radio accesa.
Ho bisogno di muovermi se no mi manca l’aria.
Ho bisogno di frequentare gli altri perché la loro energia mi ricarica.
Mi manca il caffè al bar e le chiacchiere per strada.
Ho timore per il futuro, tanto, tantissimo.
Non vedo la fine e non so fare progetti.
Me la faccio sotto ogni volta che vado a fare la spesa e mi stanno sulle palle mascherina, guanti, Amuchina e alcol.
Non riesco più a scrivere, perché se fermo le mani e la mente lavora mi prende lo sconforto.
Questa è una situazione di merda. Punto.
Ma non sopporto chi continua a lamentarsi.
I disfattisti.
I complottisti.
I pessimisti.
Quelli che contano ogni ora morti, contagiati e fanno delle statistiche della protezione civile la ragione della loro giornata.
No.
E mi tengo per me paura e preoccupazione, cercando di dare speranza a chi mi legge.
Illusione? Forse.
Ma sono fatta così, e preferisco sorridere anche se dentro ho la morte.
Trovare ogni giorno uno stimolo, mi aiuta a non impazzire. A provare a sognare ancora.
Buona domenica ❤️

Senza categoria

Volersi bene

Non so voi, ma io mi sto abituando alla quarantena. A non uscire di casa. A lavorare nel mio studio. A identificare il mondo nei metri quadri del mio appartamento, da condividere strettamente con marito e figli. Sono passate cinque settimane da quando tutto é iniziato, tre dalla serrata totale. E non si vede la fine. Come vi dicevo, mi sto abituando. Non mi piace. Neanche un filo, voglio precisarlo. Il magone è latente, il dolore per i morti costante, l’apprensione per i miei cari toglie il sonno, la paura è sempre lì. Ma ho imparato a vivere in casa e mi sono ingegnata per cercare di costruire una normalità nel mio nido. Ho ricominciato a vestirmi e a truccarmi, mentre le prime settimane ero una versione peggiorata di Bridget Jones. Ho cercato di fare regolare attività fisica, anche se la home gym è noiosa quanto La corazzata Potemkin. Mi sono data una routine regolare, progettando l’agenda come se avessi tutti i soliti appuntamenti, tra lavoro al computer, mail, telefonate e dando spazio alla cura di me stessa. La manicure, la maschera viso e capelli, la ceretta. Ho ripreso in mano libri lasciati a metà e mi sono messa alla prova in nuove e complicate ricette. Ho cercato insomma di volermi bene, tanto bene, più di quanto faccia di solito. Di mangiare bene, di coccolare il mio corpo dentro e fuori, per mantenere un buon equilibrio mentale. Mi sono chiesta anche se questo non sia oltraggioso per chi è attaccato ad un respiratore in terapia intensiva. Intendo anche il selfie postato tutta infighettata. Non lo so. Forse si, e chiedo scusa. Ma abbiamo bisogno di continuare a vivere, anche con le varie ed eventuali che da sempre alimentano la nostra esistenza. Altrimenti, alla lunga, e sarà lunga, fonderemo tutti. Tutto questo ci cambierà, cerchiamo almeno di mantenere il rispetto per noi stessi, per ciò che siamo, per quello che vogliamo diventare. Perché il futuro esiste, ed è lì, dietro l’angolo. Facciamoci trovare pronti ❤️

Senza categoria

La spesa ai tempi del Coronavirus

Spesa questa mattina. Per la mia famiglia, per i miei genitori, per mia suocera.
Prima impresa, riunire le tre liste in modo da ottimizzare e da ridurre i tempi nei supermercati. Ci vuole meno tempo a stilare il budget di una società, e c’è sempre qualcuno che aggiunge cose e sballa la lista.
Secondo. La vestizione. Maschera, guanti, occhiali, spray disinfettante in borsa, tutto il possibile per tutelare gli altri e me stessa. E questo dà tutto sommato sicurezza. Peccato che appena entri nel supermercato, ti rendi conto che la metà delle persone o non ha mascherina o non ha guanti. E sono tutti anziani. Vorresti urlare un parere, ma tanto servirebbe a poco.
Terzo. Coda all’ingresso. Ordinata. Non fosse per la signora anziana, senza mascherina e guanti, che con nonchalance prova a passare davanti a tutti e finge indignazione quando lo fanno notare. Grandiosa. A quel punto si siede su una panchina, le mani appoggiate alla seduta, giusto per essere sicura di giocare con il fuoco.
Quarto. Il disinfettante all’ingresso per la maniglia del carrello. Lo spruzzo dappertutto, nel carrello, sui guanti, a mo’ di profumo: ti chiedi se fare anche i gargarismi, ma poi vedi che è al gusto lavanda e quello ti dà la nausea.
Quinto. Il lievito. Si, ho trovato il lievito per la pizza. Informo l’amica del cuore, perché queste botte di culo vanno condivise con chi ami. Ne compero 10 bustine, penso ad un racket del lievito, poi decido che lo impacchetto e lo regalo a chi merita.
Sesto. Alla cassa. Coppia davanti a me. Marito e moglie. Sui 75. Ovviamente niente protezione, in due, totale conto alla cassa euro 19.30. Si commenta da solo.
Settimo. Distribuzione dei pani e dei pesci ai miei, alla suocera, speri sia tutto ok, ma già ti dicono, “la prossima volta che vai, mi prendi….”, e quando gli rispondo “vado tra una settimana” ti guardano con quell’aria affranta, perché proprio l’alloro gli serviva.
Ottavo. Arrivo a casa. Scarico borse. Svestizione. Disinfezione scarpe. Ritiro tutto e poi lavo pure il pavimento. Che sto diventando paranoica. E il profumo dell’alcol mi comincia a dare la nausea, troppo pulito, un po’ di sano tanfo di frittone bruciato sarebbe molto consolante ora.
Nono. Finalmente mangio. Sono sfinita, ma fiera della mia eroica impresa e di aver trovato tutto quello che era in elenco, anche la farina bianca.
Decimo. Mezz’ora di divano con il mio libro non me lo toglie nessuno. Che io #restoacasa. Al supermercato, tutti i giorni, andate pure voi 😉

#coronavirus

Senza categoria

Vivere

In quest’ultimo mese ho attraversato tutti gli stati d’animo. L’ottimismo dei primi tempi, la spavalderia di chi non vuole rassegnarsi, la rassegnazione dell’inevitabile, la paura per l’ignoto, l’impotenza di fronte alla morte, la determinazione a non arrendersi, lo sconforto totale e senza respiro per le troppe vittime, il dubbio di fronte ad un futuro più che mai incerto. Stati d’animo che si alternano più volte durante la giornata, con il cuore che salta in gola all’ennesima ambulanza che suona e poi però gioisce nell’abbracciare i propri figli, mai vicini come in questi giorni, e nel vedere dal balcone la mamma e il papà che sorridono e che puoi viziare, anche solo portandogli la spesa. Sono passata dal non mi vesto più, vivo in pigiama, non mi lavo, non mi trucco, al non si può mica andare avanti così, un minimo di dignità, e allora, maschera, impacco, crema mani e ceretta. Per non parlare dei social. Cerchi le notizie ma non vuoi sentirle, perchè vorresti solo ricevere quelle buone, quelle della luce in fondo al tunnel, che ancora non si vede. E allora spegni tutto, metti la musica a palla e pulisci casa, riordini, cataloghi, come se volessi mettere in ordine la tua vita e questo mondo malato. Sono giorni strani, questi. Viviamoli senza chiederci troppo che senso abbiano. Non giudichiamo, non accusiamo, non pretendiamo troppo da noi stessi. A posteriori valuteremo. Ora dobbiamo solo vivere. Vivere. Vivere.

Senza categoria

A casa nostra

Io non capisco tutta questa gente che vuole uscire in questi giorni difficili. Aldilà della salute, ma non vi fa male al cuore passeggiare per la città? Vedere le strade vuote. I posteggi insolitamente liberi. Camminare nel silenzio, interrotto solo dalle ambulanze, lí dove di solito è un via vai rumoroso e affettato. Incontrare persone con guanti e mascherina, conoscenti che attraversano la strada per non starvi troppo vicini, donne e uomini irriconoscibili dietro un velo. A me fa malissimo. Le poche volte che esco per la spesa o per un salto in ufficio a recuperare documenti per poi lavorare da casa, ecco quando succede mi viene il magone. I negozi chiusi. Il mio baretto del caffè di metà mattina serrato. Rientro in casa e ricomincio a respirare. Sí, sto bene in casa, perché quando sono nel mio nido mi illudo che sia tutto come sempre. Mi sento epicurea in questi giorni. Gli epicurei proponevano il “laze biosas”, il vivi nascosto, per evitare i mali del mondo. Ecco, facciamolo anche noi. E se non vogliamo tirare in ballo Epicuro, facciamo come dice Vasco e lasciamo tutto il mondo fuori. Guardiamo pochi notiziari, leggiamo, viaggiamo con un documentario, giochiamo con i nostri figli, lavoriamo da casa in pigiama, curiamoci di noi stessi. Lasciamo il dolore fuori. Non vuol dire fingere che non ci sia. Vuol dire essere consapevoli, coerenti, responsabili. A casa nostra.