L’attività fisica mi ha sempre aiutato a superare i momenti difficili. Mi ha rimesso in sesto più di una volta e non tanto fisicamente, quanto psicologicamente. Quando mi alleno scarico le tensioni e per un po’ dimentico ciò che non funziona. Butto fuori tutto e dopo sto meglio. Per questo mi vedete sollevare pesi, correre, fare addominali. Perché mi aiuta. Alcuni cucinano per rilassarsi, altri fanno bricolage, altri ancora guardano serie tv. Io faccio ginnastica. L’aspetto fisico c’entra, mentirei se dicessi il contrario, ma ciò che conta di più è il benessere mentale che ne ricevo. Altrimenti avrei già mollato da tempo. E la palestra mi ha salvato anche questa volta. Mentre fuori partivano ambulanze di continuo, mentre i tg snocciolavano numeri da conflitto bellico, mentre i social si riempivano di terrore e opinioni variegate, mentre il mondo che tanto amo era fermo, pietrificato, in attesa che la tempesta passasse, ecco, io ho provato a chiudere fuori tutto per non impazzire. Leggere mi faceva pensare, scrivere non parliamone. E allora ho preso i pesi che avevo in casa e ho iniziato ad allenarmi nella cameretta dei miei figli. In sottofondo, la musica rock. Sudare mi ha aiutato a non pensare. Riflettere sugli esercizi mi ha fatto concentrare su altro. Mi sono anche iscritta ad una challenge, per avere l’impegno dell’allenamento. Che per una abituata a vivere fuori casa dodici ore al giorno, con mille progetti attivi, bè questo periodo è al limite dell’esaurimento. Ha funzionato. Ma non avevo dubbi. La palestra è il mio balsamo, il mio booster, la mia ancora di salvezza quando sto per sbarellare. E quando si ama qualche cosa, lo si condivide. Specialmente in tempi difficili come questi. Perdonate dunque le mie immagini da Jane Fonda dei poveri, ma sono convinta che ci voglia “un fisico bestiale per resistere agli urti della vita,
a quel che leggi sul giornale e certe volte anche alla sfiga” 💪🏻
Compleanni
Oggi il mio piccolino compie 15 anni. Una data importante, soprattutto per lui. Perché i compleanni in adolescenza hanno un sapore particolare, sono traguardi che si portano dietro un vissuto di sentimenti difficilmente definibile. Sono quelli della pizza con gli amici, delle prime birrette che fanno sentire grandi, del bacio rubato alla più carina con la scusa degli auguri, dei regali dei compagni di scuola, da conservare come reliquie di un apprezzamento che a quell’età è la base su cui si fonda l’autostima. Giorni speciali, unici. Ma quest’anno non è andata così. Il virus si è rubato pure i compleanni dei miei ragazzi, tutti e due, quindici e sedici anni fagocitati da una quarantena che ha reso tutto piatto e uguale. A me questo fa arrabbiare, tantissimo. Lo so che sono banalità di fronte alle migliaia di decessi e malati, ma io sono una mamma e mi spiace che i miei bimbi debbano essere privati anche di questo. Come un Don Chisciotte, sono arrabbiata con il virus, con la situazione, con questo periodo orrendo, che mi va stretto come i jeans a vita alta che odio e che non mi fanno respirare. Avrei voluto vederli prepararsi per la loro serata, versarsi addosso la boccetta di profumo, sistemarsi i capelli, chattare nervosamente per accordarsi, eccitati, agitati. Avrei voluto essere esclusa da tutto questo, invece di vederli festeggiare con mamma e papà, più i nonni in videochiamata. Che orrore, poverini! Eppure entrambi non si sono lamentati. Mai. Hanno ringraziato per il regalo via Amazon, per la torta raffazzonata, per la chiamata via zoom dei loro amici. Va bene così, mamma, è un giorno come un altro. Troppo maturi, sti ragazzi. Eccezionali. In questa occasione e in tutta la quarantena. Migliori di noi adulti che ci siamo lamentati ovunque e che facciamo continue polemiche. Loro hanno chiesto solo un Wifi illimitato e la libertà di chiudersi in camera. Da lunedì, anche di poter andare a fare un giro in campagna con la bicicletta, ovviamente con la mascherina. Io arrabbiata e stufa, stufa, stufa. Loro anche, ma con la leggerezza della loro adolescenza. Li adoro. Non ci sono storie ❤️
Metà e metà
Non so voi, ma io mi sento come quando da piccola andavo in spiaggia, ma non potevo fare il bagno perché il giorno prima non ero stata bene. Me ne stavo sotto l’ombrellone, con la maglietta, a guardare le onde, il mare, e mi chiedevo che cosa facessi li. Per me spiaggia è uguale a bagno e se non posso tuffarmi, bè faccio un giro in passeggiata. Oppure come quando anni fa mi hanno invitato a mangiare la raclette e non ho potuto rifiutare: per una intollerante al lattosio, che adora però il formaggio, ma l’effetto crampo colite notte insonne è una certezza, è un supplizio, ve lo assicuro. Ecco io mi sento un po’ così in questa fase 2. Avrei voglia di uscire, prendere aria, pedalare in relax, e ok, questo lo posso fare, ma devo stare attenta se incontro qualcuno che conosco, fare due chiacchiere solo a distanza, mascherina, lava le mani prima, dopo e magari anche durante. Amuchina al posto della crema solare, tanto per non sbagliare. Un caffè da asporto, ma se mi togli il bancone e le chiacchiere da bar, a me fa più tristezza che gioia. Ecco. Vorrei ma non posso. Tra diligenza e paura. Sospesa per due settimane, in attesa dei numeri del contagio. Siamo stati bravi? E allora potremo avvicinarci un po’ di più. Abbiamo fatto i cattivi? Chiusi in camera e gettiamo via la chiave. Inutile che piangi, avresti dovuto pensarci prima. Me lo dicevano sempre i miei genitori. E questo ha fatto di me una che si regala seghe mentali come se non ci fosse un domani. Pensiamoci, pensateci. Rispettate le regole. Vogliamo la libertà, quella vera. Vogliamo ripartire, senza freno a mano tirato. Vogliamo vivere, senza se e senza ma. Quando? Credo proprio che dipenda da noi 😉
Violenza
Ogni giorno ci ripetiamo che tutto andrà bene e postiamo video commoventi, che ringraziano sanitari e tutti coloro che ogni giorno lottano in prima linea contro il virus. Condividiamo campagne di raccolta fondi e ci stringiamo in applausi sul balcone, cantando l’Inno di Mameli. Siamo tutti fratelli e ci riscopriamo nazione. Almeno nei proclami, negli hashtag, nelle frasi ben costruite. Poi, però, i social sono pieni di violenza. Una violenza verbale senza contegno. Uno scagliarsi contro questo e quello, con foga, urlando dietro lo schermo del computer una rabbia senza fine. Altroché fratelli, cani rabbiosi che scattano all’attacco alla più piccola sollecitazione. Fa paura questa verbosità aggressiva. Provate a leggere un po’ di commenti sotto post che parlano di dati, vaccini, riaperture, cure: centinaia di idee, e ben vengano, ma quasi tutte espresse con un’acredine terribile. Stare confinati tra le quattro mura di casa ha determinato anche questo. Ha fatto uscire il peggio, altroché cambiarci in meglio. Un peggio confinato però ai social. Perché nessuno di quelli che urlano sulla tastiera farà poi nulla di concreto. Per quello ci vuole coraggio, convinzione, slancio vitale, preparazione. Per parlare, invece, no. Soprattutto se a proteggere vi è lo schermo di un pc e il calore della nostra casa: mi piacerebbe vederli seduti intorno a un tavolo tutti questi leoni da tastiera, mostrerebbero la stessa animosità oppure in silenzio si adatterebbero al potere dominante? Fatto sta che tutta questa violenza non è bella. Inquina gli animi, prima di tutto quelli di chi scrive. Abbruttisce il cuore e rende ancora più difficile la situazione. Bisognerebbe sempre ricordate che dietro ogni schermo c’è una persona reale, non un avatar, con il suo vissuto e le sue necessità, che le conversazioni virtuali hanno un peso e che un commento pesante può sedimentare e fare danni. Verba volant, scripta manent. Anche sui social.
La vigilia
Domenica 3 maggio. La vigilia. Un po’ come quella di Natale o dell’anno nuovo. Abbiamo atteso questo 4 maggio come se fosse il D-day, anche se per molti non cambierà nulla. Io sono una dei molti, che continuerà a lavorare in casa, a fare la spesa una volta alla settimana, ad allenarsi in casa, a non uscire se non per andare sul balcone. Potrò fare due chiacchiere a casa della mia mamma e bere un caffè con lei, e questo sarà il bello per molti “congiunti” che non si vedono da due mesi. Per il resto nulla cambierà, per un po’. Anche se non ne posso più e vorrei cambiare cielo. Vedere le mie montagne e fare una passeggiata nei boschi oppure brindare mentre il sole tramonta in baia del silenzio. Per cui vi chiedo una cosa. Anzi, vi prego. Usate il cervello. Uscite se è necessario. Usate mascherina e tenete la distanza. Correte se siete podisti e non potete farne a meno, altrimenti contattatemi e vi insegno tanti bei circuitini cardio hiit che vi faranno muovere, consumare calorie, sudare, ma nella sicurezza di casa vostra. Che il primo che mi dirà in futuro che gli italiani non fanno sport, lo rimando alle migliaia di post sulla mancanza del movimento che ho letto in questi giorni. Anche da parte di chi, prima d’ora, aveva corso solo per non perdere il treno. Vi prego, siate responsabili. Che io per ora posso stare sul balcone al sole, ma a giugno arrivano afa e zanzare e di stare barricata tra quattro mura non ne ho proprio la forza. Se mi volete bene, vogliatevi bene.
Buona domenica ❤️
Ho pianto
Questa mattina ho pianto. Ho pianto con passione, sapete quando vi cola il naso e il viso si riempie di lacrime. Così. Mi sono svegliata presto, ho guardato l’ora e ho pensato che sarebbe stato un altro giorno di questa lunga primavera senza senso. Ho riflettuto che “Contagion” è un film e che le realtà, ancora una volta, ha superato la fantasia. Come con l’attentato delle torri gemelle o come deve essere stata la bomba atomica, tanti anni fa. Viviamo in un film che nessuno di noi avrebbe voluto girare, attori inconsapevoli di un’esistenza che non faceva parte dei nostri sogni di bambini. Ho pensato ai tanti morti, una generazione di nonni, con i loro racconti e le loro esperienze. A come li riconduciamo ormai a numeri e riusciamo a provare sollievo perché invece di otto, novecento al giorno sono “solo” trecento. Trecento in un giorno. Ecco a questo numero sono scoppiata a piangere. Trecento erano gli opliti alle Termopili, simbolo del sacrificio. Ma oggi, quanti sacrifici involontari ci sono stati? Ho pensato ai medici e agli infermieri, a quanti turni, ore, notti, tra paura, impotenza, soddisfazione, passione. Ho pensato alle file davanti al supermercato e al silenzio di questi mesi. Silenzio irreale. Noi che siamo casinisti e caciaroni, noi, zitti in fila. Noi che ci tocchiamo tra di noi quando parliamo, noi che baci e abbracci, noi che siamo il sole del Mediterraneo abbiamo visto solo nuvole in questi mesi. Ho pianto perché siamo bloccati in casa e non vediamo la primavera, ho pianto per l’estate strana che seguirà, ho pianto perché sono stanca e stanca. Ho pianto per chi ha perso il lavoro e per chi non sa se riaprirà il negozio, per chi ha dei figli da crescere e non sa da dove cominciare, per chi aveva tanti progetti e non ci sono più. Le mie lacrime sono piene di questo e molto di più. Adesso faccio colazione e riparto. Perché in un modo o in un altro ne usciremo e i pianti servono solo se lavano via l’amarezza.
Buona giornata 😘
45
Sapevo che quest’anno sarebbe stato particolare. Me lo sentivo. No, non mi sono portata sfiga da sola. O forse sí. Bè insomma io ho sempre pensato che i 45 anni fossero uno spartiacque, che una volta compiuti sarei entrata volente o nolente nella definizione “signora”, e aggiungerei di mezza età se gli anni duemila non avessero annullato la categoria mezza età. O sei ragazza, fino ai 70, o diventi anziana. E non me ne voglia la mia mamma che sarà una ragazza anche a centodue. Ecco, a me di compiere 45 anno proprio non mi andava. Che devo dirvi. Ho vissuto i 40 come gli anni della pienezza, non mi sono mai sentita così figa e sicura di me come con la quarantina. Ho pubblicato tre libri, ho iniziato a lavorare in tv, ho fatto pace con i fantasmi del passato, ho imparato a fregarmene del giudizio altrui, ho accettato di essere come sono. Poi l’onda si è un po’ spenta e dalle conquiste adolescenziali fatte a 40 mi sono spostata su una navigazione più tranquilla, a vista, senza quell’ansia di dire, fare, baciare, lettera o testamento che è sempre stato il mio motore. Quindi un anno che già schifavo in partenza. Poi è arrivato il virus e la quarantena, due mesi in casa, a stravolgere ogni abitudine. E tanto, troppo tempo per pensare. Non so voi, ma io ho finito i pensieri. Mi sono pure stancata di fare quello. Anche se è sempre meglio di lavare, stirare, pulire, strofinare, cucinare. Adesso mi dicono che si potrà uscire un po’ di più, ma io non è che ne abbia tanta voglia. E questo la dice lunga su come uscirò cambiata da questi 45 anni. Ho imparato che stare in casa non è male e che si può anche passare un pomeriggio sul divano senza sentirsi in colpa. Non l’avrei mai pensato fino alla fine del 2019. Ecco. Voi iniziate pure a uscire, con moderazione, mi raccomando. Io ci penso ancora un attimo. La signora quarantacinquenne deve ancora mettere a punto un piano per il futuro. Curiosi? Io si, molto 😉
50 giorni
50 giorni in casa. Sembra il titolo di un film. 50 giorni di abitudini stravolte e di ritmi diversi. 50 giorni senza poter viaggiare, uscire a cena, fare shopping, abbracciare un’amica, andare in palestra. 50 giorni che hanno sgretolato il nostro PIL e che faranno danni per i mesi a venire. 50 giorni per pensare. L’unica libertà che abbiamo avuto è stata quella di pensare. Abbiamo finalmente potuto dedicare ore a riflettere e a leggere, approfondire, indagare. Senza sentirci in colpa perché non eravamo operativi, in quel turbinio di impegni e appuntamenti che è la nostra vita. E pensare non è che faccia poi sempre bene. Voglio dire che dal pensiero filosofico altissimo alla sega mentale è un attimo. Ci vuole davvero poco a sbarellare seguendo la mente, perché anche la riflessione ha regole che vanno rispettate. In questi 50 giorni ho sentito così tante cazzate tra tv, social e radio, cazzate che finiscono per inquinare i pensieri: complotti, teorie, oscurantismi, supposizioni. Tutti a dire la loro, quando il silenzio è sacro. 50 giorni di silenzio nelle strade, ma di rumore nella testa, alimentate da un’inquietudine che ci ha reso tutti fratelli. Non so se ne usciremo cambiati. Vediamo di uscirne, poi valuteremo. Anche se credo che il cambiamento ci sarà solo in chi vuole cambiare. In chi ha capito alcuni limiti e vuole modificare la rotta. Non si cambia perché ci viene imposto, quella è solo una maschera. Si cambia perché lo decidiamo. Volete cambiare? Pensateci, se non lo avete ancora fatto. Abbiamo ancora un po’ di giorni. E dalla tragedia potrebbe uscire qualche cosa di buono. Come un vulcano che, eruttando, distrugge e seppellisce, ma nello stesso tempo rende il suolo ricco di nutrienti e minerali per la vita che verrà.
Dubbi
Vorrei aprire Facebook e ritrovare la leggerezza di qualche mese fa.
Vorrei sorridere alle tante stupidate che ogni giorno postavamo, dai meme sulla politica ai video stile Paperissima.
Vorrei ritrovare le battute sul sesso, a volte sottili, a volte così scurrili da dare fastidio, eppure italianamente veraci.
Vorrei leggere i dibattiti sul festival di Sanremo, sugli Oscar, su Bugo e Morgan, sulla candela al profumo di vagina della Paltrow, sul vestito indossato da quell’attrice e sulla fine di un grande amore vip.
Vorrei vedere le foto di giovedì gnocchi e dei tanti brindisi degli aperitivi.
Vorrei scorrere i tanti commenti politici, le dichiarazioni di quello o questo opinionista su temi vari ed eventuali, tipo le merendine o gli assorbenti.
Vorrei trattenermi dal rispondere ai soliti leoni di tastiera che infangano tutto e tutti, tuttologi sempre pronti a commentare, ma poi, in fondo, che male fanno?
Vorrei postare foto ignoranti, di tacchi, trucchi, vestiti, costumi, bicipiti e addominali.
Vorrei.
Invece.
Grafici, percentuali, conferenze stampa, lacrime per la perdita di parenti, amici, conoscenti, mascherine, guanti, corsie di ospedali, polemiche su grafici, percentuali, conferenze stampe, mascherine, politici che parlano di grafici, percentuali, conferenze stampe, mascherine. Morte. Ansia. Dubbi sul futuro. Inps che va in tilt, bonus che non arrivano, case di riposo sotto inchiesta, autocertificazioni, code al supermercato, mare sì mare no. E poi. Dolci, pizze, lievito. Allenamento tabata, yoga, cardio, stretching.
Unica costante rispetto a prima, i leoni di tastiera. Quelli non mancano mai. E i tuttologi con loro. Ora sono virologi, tutti, quando fino a tre mesi fa neppure sapevano la differenza fra virus e batteri.
Un giorno aprirò Facebook e ritroverò le sane stupidate di un tempo. Ecco, allora vorrà dire che inizieremo ad uscirne. Almeno virtualmente.