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cricolli

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Dress

Allora, il vestito rosso di pizzo no perchè fa tanto centrino delle feste, quello rosso di raso è effetto Lindt al latte, ci manca solo il fiocco argento in testa, no no. Ecco di rosso ho ancora quello estivo due taglie in meno, modello nulla all’immaginazione…va bene in spiaggia, qui mi sa che rimedio il cenone sulla Vigevanese e meglio evitare. Rosso bocciato. Dunque, dunque. Il nero lasciamolo per ultimo. Ecco questo. Tutto argento, vedo non vedo, preso tre anni fa. Che, appena lo indosso, lo infilo nel sacco della beneficenza, dato che neanche ai Lugon lo mettono su. Ma come è che comperi una cosa, la indossi, sembri figa e dopo un anno non si può vedere?!? Bah. Allora allora azzurro con gli Svaroski tipo fata Turchina? Bè trovare un Pinocchio col naso lungo ci potrebbe anche stare…ma poi che scarpe metto? Quella di cristallo di Cenerentola l’ho rotta quando ho capito che il principe era un coatto che pensava di comperarmi con un paio di tacchetti da due lire. Niente. Fiori Pois Zig Zag lasciamo stare. E se facessi la panterona del ribaltabile con un vestito leopardato e lo stivale delle grandi occasioni? Ma anche no, che è capodanno e non carnevale…mi rassegnerò al nero. Eh facile dire nero. Lungo? Ne ho tre, e con tutti e tre sembro Mafalda. E molto Ivana Trump dei poveri, che almeno Melania è un figone e sarà la first lady, io faccio decisamente effetto vorrei ma non posto. Allora corto. Pizzo no, fa funerale, Tulle no, fa Loredana Bertè, che era una gran gnocca, lei, io sembro Arisa delle grandi occasioni. Seta…mmm la seta è davvero tanta roba, ma a sembrare lingerie ci vuole un secondo e ho deciso Capodanno sobrio quest’anno. Velluto. Secondo me lo mette mia nonna seduta davanti alla tv mentre guarda Gigi d’Alessio….Che non c’è verso…Ho due armadi di vestiti e nulla da mettere. Che al momento peraltro sono tutti sul mio letto in un variopinto panorama di serate passate. Ecco, “passate” è il problema, Ci vuole qualche cosa di nuovo. Due volte lo stesso abito è come vivere due volte la stessa emozione: la prima volta sarà fighissima, la seconda farai il paragone con la prima e i paragoni sono sempre deludenti. Per cui scusate ma vi saluto. Shopping di recupero in rampa di lancio. Noi ci aggiorniamo domani, che mancano ancora scarpe borsa trucco e parrucco…che senza non si entra nel 2017, no?!?

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Nebbia

La nebbia. Eccola qui stamattina. A ricordarci a fine anno che c’è anche lei ad accompagnare giorni ed emozioni. La nebbia è decisamente affascinante a meno che tu non debba guidare. Un po’ come una donna di una bellezza lontana dagli standard, che parla poco ma proprio per questo attrae, incuriosisce. E puó fregarti in un attimo se solo ti fai distrarre dal suo profumo. La nebbia nasconde e rende tutto così immobile da sembrare irreale, è una magia di cui anche noi facciamo parte quando, camminando, la attraversiamo. Ci veste con le sue goccioline che sanno di terra, acqua, freddo, erba. L’avete presente il profumo della nebbia vero? Inconfondibile e indefinibile, anche qui come quello di una bella donna. È lei la regina di queste terre d’acqua, una regina col mantello bianco e il carattere dispotico, così tosta che spesso neanche il re sole riesce a convincerla a farsi da parte. E fa parte di noi che queste terre le viviamo, insieme al nostro mare a quadretti e alla sagoma del Rosa laggiù. Ciao nebbia, ci vediamo nel nuovo anno, e sono sicura che, a differenza di altri, non mancherai all’appuntamento 

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Troppo poco

Oggi ho imparato il valore di uno sguardo. Non che prima non ci avessi dato peso ma oggi più che mai ho capito che certi sguardi non li puoi lasciare indietro. Oggi ho imparato che quando senti dentro una voglia incontenibile di fare una cosa non ha senso cercare di reprimerla. Tanto vale provarci. Altrimenti quella voce busserà dentro di te per giorni e tu non saprai mai cosa sarebbe stato altrimenti. Oggi ho imparato che per quanto una giornata possa essere storta ci sarà sempre spazio per un sorriso e per una birra. Oggi ho imparato che fa bene credere in qualche cosa, anche se é solo un’illusione, e che se non crediamo in nulla tutto sarà davvero così arido da togliere senso ai nostri passi. Oggi ho imparato che indietro non si torna ma anche che non mi è mai piaciuto nuotare di dorso, meglio stile libero o meglio ancora delfino, guardare avanti e tentare di volare, come una manta. Ho imparato tante cose in questo giorno bislacco. Ma soprattutto ho capito che baci e sorrisi vanno a braccetto. E a non chiedere scusa mai di aver amato troppo. Che troppo in amore non esiste. Esiste solo troppo poco….

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Storia

Hai voglia di leggere una bella storia? Una di quelle da dire poi ancora ancora come quando eravamo piccolini? Ecco allora siediti e leggi. Vorrei dirti ascolta ma un video avrebbe distratto anche se leggere storie mi piace un sacco. Siediti e leggi. C’era una volta…no anzi once upon a time fa più global…once upon a time (uans apon e taime) in una piccola città…no però così non va..non puoi leggere la storia del secolo in piedi mentre torni a casa. Primo rischi di pestare qualche cosa e poi altroché c’era una volta. Secondo non è un navigatore ma un cellulare. Per cui vai a casa e ne riparliamo poi. Bene. Sei a casa? Hai tolto cappotto sciarpa cappello scarpe (spero senza sorprese). Ecco adesso siediti. E inizia a leggere. C’era una volta…e no però non è che puoi leggere con la TV accesa. Per leggere ci vuole attenzione. Spegni e ne riparliamo. A questo punto il 90% dei lettori si sarà rotto le balle, anzi secondo me anche dieci righe prima. Comunque mio caro amico, visto che sei in relax prendi un bicchiere, un bel calice, e versati del buon vino. Bianco o rosso. Come vuoi. Basta che sia davvero buono, che il Tavernello non va bene per una storia speciale. Versato? Seduto? Gambe allungate? Oh adesso sì che si ragiona. Buono il vino? Allora sei dello spirito giusto per leggere una bella storia. Breve in verità. Perché non é necessario farla lunga per raccontare qualcosa di bello. Ma é importante che chi ascolta sia attento e oggi siamo tutti così veloci che abbiamo perso il valore della lentezza. L’insostenibile lentezza dell’essere. Ecco questa storia parla di questo. C’era una volta una città, nè piccola nè grande, una di quelle città di provincia dove le notizie vengono scritte al bar e commentate dal parrucchiere. Una di quelle città tra campagna e montagne, in cui tutti parlano quando non sono stati interpellati e stanno zitti quando vengono chiamati in causa. Insomma uno di quei borghi italiani che sono il mondo e che basterebbe osservarli freddamente per riconoscere in essi vizi e virtù globali. Senza tante indagini di mercato e senza scomodare sociologi di fama. Ecco in questa cittadina viveva un uomo non bello non brutto, non giovane non vecchio, una di quelle persone che attraversano la vita senza che gli altri se ne accorgano. Eppure lui aveva una virtù. Sapeva ascoltare. E ne aveva fatto una professione. Si sì non ridere mentre ti scoli il secondo bicchiere. Faceva l’ascoltatore. E fuori dalla sua porta arrivavano da ogni dove per raccontare, raccontarsi, confessarsi. Non era un prete e neanche uno psicologo. Non giudicava. Ma con la sua pipa in bocca regalava il tempo per ascoltare gli altri. E dalla sua bocca nulla usciva. Ovviamente alla lunga a chi faceva la storia al bar e la commentava dal parrucchiere questa vicenda cominció a dare fastidio. Che si sa gratis nulla fa niente. E di sicuro nasconde qualcosa. Eh chissà cosa combinerà dentro quella casa fumosa. E fecero e dissero che un giorno lui scomparve. La coda fuori dalla sua casa si allungò e poi, pian piano sparì, e tutti a tenersi dentro tutto. Ma si sa, a tenersi dentro le cose poi si esplode come il Vesuvio e allora si inizió a dire questo a quello è quello a questo e questo lo racconto all’altro e pian piano tutti seppero tutto di tutto e immagina i pasticci che ne vennero fuori! Che troppe confessioni tutte d’un colpo furono un vero terremoto. E così andarono a cercarlo. A chiedere scusa. A chiedere di riaverlo tra loro. Perché il bene più grande è un amico che ti ascolta. E se ce l’hai non chiederti perché lo fa. Magari è proprio così, solo perché ti vuole bene, oppure perché in te vive emozioni a lui negate. Morale lo trovarono. Ma lui non tornó indietro. Perché ricorda bene che un animo sensibile se ferito non rimprovera ma non perdona mai. E a loro non restó che tornare ai loro bar e alle loro storie. E tu, al terzo bicchiere cosa farai? Cosa sei tu? Ascoltatore o narratore? In ogni caso ricorda sempre che nulla vale più della sensibilità e del tempo altrui. Non tradirli mai. Non sminuirli mai. A soffrirne alla fine sarai tu. Comunque grazie per avermi fatto compagnia in questo post così lungo. È stato bello averti accanto. E ora prosit, che dopo tutto questo scrivere un buon rosso me lo merito anche io…..

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Flu 

Bagagli pronti. Sci doposci caschi. Le cartelle dei ragazzi e un po’ di scorta di cibo. Un po’. Diciamo sufficiente ad un attacco chimico globale. Qualcosina da mettere, che si sa io sono sempre molto parca. Il computer, la pianola e pure un tot di libri. Oh. È fatta. E a quel punto, quando devi solo caricare, arriva lei. Che non avvisa mai ed è il peggiore degli ospiti. Provi a far finta di niente, ma non c’é verso. Le ha telefonato la sua amica sfiga e a lei non è sembrato vero di poterci rompere le uova nel paniere. Sta fetente. E notate gli eufemismi che ieri era Natale. La chiamano influenza. E se la prendi sei influenzato. Ma è un termine troppo delicato. Sei distrutto, appiattito, invecchiato e ti senti tremendamente sfigato. Ovvio che la tipa ha ammaliato prima la mia dolce metà, che ha già lasciato le sue ultime volontà, come ogni maschio che si rispetti. Dal letto rantola che è un dolore insopportabile, chiede spiegazioni, mi chiama di continuo. E al capezzale mi dice “ti voglio bene, te ne ho sempre voluto. Perdonami”, il tutto strascicato e biascicato. Rideresti, ma hai poco da ridere perché i tuoi anticorpi sono già in montagna e lei ti frega. Bingo. Febbrone. E non sai se ti fanno più arrabbiare le valigie pronte, la bella giornata di sole, la sciolina e le lamine preparate oppure il fatto che vorresti essere coccolata e fare anche tu la scena, ma lui é ko e i tuoi figli sono presi dalla Xbox e se chiedi qualche cosa ti rispondono “non posso se no muoio”. Ma dai per favore. “Mamma guarda tra mezz’ora salviamo e poi arriviamo”. Che vorresti digli salvate me, ma dignitosamente taci e ti arrangi. Piumone tisana termometro e tachipirina. Lacolli 0 Le cattive influenze 1. Alla prossima 

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Auguri

Vi auguro di trovare sotto l’albero un cesto pieno di baci. Ma non i baci di convenienza, due tre, sulle guance, freddi, scontati. No no un cesto di baci da togliere il fiato, almeno uno per ogni giorno del nuovo anno. Vi auguro di trovare un pacco ricolmo di sguardi, di intesa, di affetto, di desiderio, perché nulla smuove dentro come uno sguardo a cui puoi solo rispondere nello stesso modo. Vi auguro di trovare un sacco di sorrisi, aperti, sinceri, soprattutto per tutti quei momenti in cui sorridere sarà davvero l’ultima cosa che vorrete fare. Vi auguro di trovare stelle di ironia, fiocchetti intrecciati di pazienza, lucine che splendono sincerità. Vi auguro di trovare voi stessi, di guardarvi e di dire “bè non sono poi così male”. Perché il più bel regalo sarà sempre la felicità di essere, così, anche un po’ interrotti, come me.

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Sorprese

Sorprendete chi amate. Non permettete che la routine prenda il sopravvento. Organizzate una cena quando non se lo aspetta. Indossate il vestito più bello una sera in settimana ed accendete le candele. Comperate due biglietti per il cinema o per il teatro e portatelo davanti all’ingresso della sala così, con una scusa. Fate in modo che ogni giorno sia una scoperta e inventatevi sempre nuovi modi per baciarlo, coccolarlo, farlo stare bene. Senza un perché. O meglio perché è la persona che amate. E non importa che siamo gesti eclatanti o cose costose. No no. Il bello delle sorprese è il tempo che avrete speso ad idearle e organizzarle. Solo per lui. Sentendovi crescere dentro l’eccitazione che tutto vada secondo i piani. E vi assicuro che i suoi occhi e la sua espressione vi regaleranno un’emozione unica. E voi vi sentirete felici, soddisfatti, terribilmente amati. Proprio come i bambini la mattina di Natale.

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Caro Babbo

Caro Babbo Natale, dal momento che quest’anno mi hai già portato tanti doni, ma tanti davvero, e di un certo peso pure, avevo pensato di non scriverti. Infatti è il 21 dicembre e sarai preoccupato di non avermi ancora sentito. Però senza letterina non è Natale, senza desideri si toglie la magia, senza pacchettini non saprei cosa fare la mattina del 25 quando mi sveglio. E allora ho pensato di fare così. Io ti elenco un po’ di oggetti semplici in ordine sparso, poi tu telefona a mio marito e vedi un po’ cosa si può fare. Mi raccomando insisti con moderazione ma in modo fermo. Un po’ come quando le renne non obbediscono ai tuoi comandi. No, le renne non sono un bel paragone. Ma insomma hai capito. Veniamo al sodo. Un paio di Loubutin, scegli pure tu il modello, basta che siano eccessive che ho una certa reputazione da difendere. Una Birkin. No, non hai capito. Non un burka, quello già me l’ha regalato la mia dolce metà, e non scherzo. La Birkin, la borsa di Hermès. Tu passa in centro a Milano e prendi la più cara. Ricorda che chi più spende meno spende. Lo diceva sempre il nonno. Il Tank Americaine di Cartier, possibilmente quello in oro rosa. Ma questo mi rendo conto che è davvero troppo e potrei anche passare sopra, magari l’anno prossimo. Un fine settimana da sola in una beauty farm dove mi trattano come se fossi la più figa delle star, meglio se in mezzo alla neve, dove non prende il cellulare. Una cena in ognuno dei ristoranti stellati del nord Italia, tanto la dieta è un retaggio del passato, e dopo i 40 ho scelto la faccia e non il sedere, e sposato la teoria viziosa è bello. Sto esagerando Babbo? Eccessivi? Eh lo so dai. Peró lo sai anche tu che dalla colli non puoi aspettarti una lettera che chiede la pace nel mondo o una riduzione dell’inquinamento globale. Ovvio che le desidero queste cose. Ma purtroppo credo sia più facile che piovano tacchi piuttosto che questo mondo si possa raddrizzare un pochino. Allora conto su di te, mi raccomando. Io intanto per il 24 notte ti metto in frigo una bella boccia di Perrier Jouet e qualche tartina fatta bene, così ti fai una pausa come si deve. Altroché latte. E se mi svegli ci facciamo pure un selfie. Che voglio dire, un selfie con lacolli quando ti ricapita?

Baci

Cristina 

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Latte e panettone

Quando ero piccola credevo che i regali li portasse Gesù Bambino. Gli preparavo il latte caldo e il panettone la sera prima. E ogni mattina di Natale era una festa scoprire che il latte non c’era più e che al posto del dolce erano rimaste solo le briciole. La stessa espressione tra il sorpreso e l’ansioso che ho visto poi sulle facce dei miei figli, che addirittura mi giuravano di aver sentito il rumore degli zoccoli delle renne. E poi è arrivata la delusione. Per me, per loro. Che quando ti dicono che i doni li portano la mamma e il papà ti crolla il mondo addosso. Io quel momento me lo ricordo perfettamente, in montagna, davanti ad una tazza di caffè latte. E la mia risposta “Lo sapevo già”. La stessa dei miei figli. Una palla. Dentro ti si spezza qualche cosa ed è da quel momento che cominci ad essere un po’ meno bambino, che il Natale perde un po’ di magia. La prima grande delusione, che se sei furbo poi impari a cascarci meno nelle illusioni. Se sei come me, continuano a fregarti a distanza di decenni. Però io una cosa continuo a farla. Il latte e il panettone. In cucina, prima di dormire. Perché non si sa mai. E quando lo bevo caldo caldo all’alba del 25 dicembre, in pigiama con le maniche tirate sulle mani, accoccolata sulla mia sedia in cucina, sono ancora la Cri Cri con le treccine di tanti anni fa….

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Metal detector 

Siamo tutti arrabbiati, costernati, impauriti. Tutti esperti di politica internazionale e di strategia del terrore. Tutti un po’ razzisti. Si sì tutti, perché è la comune reazione umana quella di fare di tutta un’erba un fascio. Ma quello che spaventa di più il giorno dopo i fatti di Berlino sono i metal detector per entrare nei mercatini di Nizza. Questa limitazione della nostra libertà individuale e sociale. Perché quando giri per un mercato, un suk, un carruggio, tra tanta gente, la massima violenza che ti aspetti è che ti portino via il portafoglio. Il sano borseggio. Che puoi gestire. Controllare. Combattere. Con un po’ di attenzione e stringendo la borsa. Fatto già sgradevole, ma tutto sommato accettabile. Mentre gli ultimi attentati annullano ogni difesa. A che servono i metal detector? Che un camion si fa un baffo di quelle porticine. Ecco. Mi spaventa questo. Il tentativo di terrorizzare il nostro quotidiano. E di gettare via secoli di lotte per la libertà personale, di pensiero, di azione. Di renderci quasi insensibili. Guardi la TV e pensi, di nuovo, no, accidenti, ma senti che l’indignazione non è così forte come le prime volte, che non ti stupisci più, che è già successo e succederà ancora. Ecco no. Paura sì ma abitudine no. Perché questo è ciò che vogliono. Indifferenza, diffidenza, divisione, tensione, conditi da una bella aria pesante anche nei giorni di festa. Questo è il vero terrore. Questo spaventa. Questo rischia di distruggere il mondo in cui siamo cresciuti. Molto più di mille bombe. Continuiamo ad arrabbiarci. A spaventarci. A sentirci tutti famigliari delle vittime. Ad organizzare feste eventi raduni. A non spaventare i nostri figli con frasi del tipo “non ti mando un gita a Roma perché magari fanno gli attentati”. No! Non mandarlo perché non hai i soldi, non lo merita, e mille altre ragioni. Ma non create la cultura del terrore, come invece sento fare. Dell’uomo nero. Perché altrimenti, davvero, avranno vinto loro.