Tre mesi dall’inizio di tutta questa storia. Il 21 febbraio molti di noi hanno guardato maps per vedere dove fosse Codogno, primo focolaio autoctono di Coronavirus in Italia. E con gli occhi hanno calcolato la distanza dal proprio luogo di residenza, per capire quanto fossero lontani o vicini dall’epicentro di questo terremoto. Nel mio caso vicino. Tre mesi di fiato sospeso. Tre mesi in cui abbiamo stravolto le nostre abitudini. Tre mesi di giorni uguali, che si confondono nella memoria. Sono passati. E questo è consolante. Le città sono tornate a riempirsi di esseri mascherati, le code in tangenziale sanno di normalità, anche se la normalità è ancora lontana. Ma abbiamo imparato ad adattarci ad una normalità sbilenca e ogni passo verso ciò che eravamo ci riempie di gioia. Tre mesi persi, questa è la sensazione più forte che sento, perché per una che spreme a fondo ogni giorno, questo periodo è stato una colossale perdita di tempo e di occasioni. La voglia di recuperare è tanta ma mi continuo a ripetere “con calma”, “con attenzione”. Non so voi, ma io sono stanca. Ho riposato tre mesi e sono sfinita. La pandemia è un tatuaggio che non scolorirà mai dentro di me, ma che imparerò a guardare per ricordarmi che nulla è certo e che l’uomo ha grandi capacità di adattamento. E che non voglio perdere tempo, mai mai, per ciò che dipende da me. La vita va vissuta, limitarsi ad esistere è uno spreco. Vivete. Rischiate. Ripartite.
Ripartenza
Quasi liberi. Non dobbiamo abbassare la guardia, ma oggi lasciateci respirare. Dietro le mascherine, a un metro di distanza, al di là dei plexiglass presenti in molti negozi. Con l’amuchina sulle mani e l’impossibilità di abbracciarci stretti. Con tutti questi limiti, lasciateci respirare. Sorridere. Passeggiare per città che non ci sono mai sembrate così belle, con i negozianti commossi e la voglia di ricominciare a vivere la normalità. Sarà lunga la risalita, una sfida per tutti, con alti e bassi, ma oggi voglio pensare che ce la faremo. E che, quando arriverà finalmente il momento di togliere le mascherine, sorrideremo, e canteremo, e ci baceremo. Non dimentichiamo ciò che abbiamo affrontato, ma non permettiamo alla paura di bloccarci in un’asettica solitudine. Incrociamo le dita, usiamo il cervello e speriamo che questo sia l’inizio della rinascita ❤️
Ci siamo quasi
Sabato abulico. Come il tempo. Meno male avevo un libro a farmi ottima compagnia. Ho una voglia matta di uscire a cena. Di farmi un aperitivo. Di vedere amici. Di farmi un sabato sera come si deve. Forse ci siamo quasi, ma finché non succede, non ci credo. Sono sospesa più che mai e ho paura che succeda qualche cosa che blocchi tutto, e che ci dicano “abbiamo scherzato, si torna alla quarantena”. Incrocio dita delle mani e dei piedi. Dai che ci siamo quasi. Dai che tra poco brinderemo. Dai che torneremo a respirare. Dopo tre mesi. E la libertà non ci sarà mai sembrata così bella ❤️
Effimeri
La sensazione che la vita non ti permetta mai di essere completamente serena, ma ti tenga sempre sulla corda, a ricordarti che sei solo un essere effimero.
Relatività
Oggi è stata una giornata difficile. Discussioni, incomprensioni, e pure uno spavento a fare da ciliegina sulla torta. Alla fine è arrivata sera e tutto si è ricomposto. Perché tutto passa, anche ciò che ci sembra insormontabile. Bisogna stringere i denti e guardare avanti. E soprattutto imparare a dare il giusto peso alle cose. Non so voi, ma io mi ritrovo spesso ad arrabbiarmi per inezie, che mi rovinano la giornata e mi fanno rodere il fegato. Grosso sbaglio, anche perché così mi si alza il cortisolo e la mia lotta contro la cellulite diviene stupidamente più difficile. Conclusione del non so più che giorno dall’inizio della pandemia, prendere tutto con più leggerezza. Lasciare scivolare via. Relativizzare. Adottare la strategia scimmietta, non vedo, non sento, non parlo. Che tanto non ne vale la pena. No no. Il Covid dovrebbe averci insegnato la relatività di ciò che siamo e facciamo. Ricordiamocelo. Sempre. Vivremo meglio e soffriremo meno. E direi che non è poco 😉
Mascherina
Odio la mascherina. Non perché mi dia fastidio, ci mancherebbe. La indosso qualche ora per fare la spesa, andare al lavoro, fare una passeggiata. Niente a che vedere con chi la veste per ore, magari in ospedale, con il resto dei dispositivi di protezione. Non si tratta di fastidio fisico. La mascherina va indossata per la propria e l’altrui salute e io continuerò a farlo. Però non la sopporto. Perché non posso sorridere a chi incontro. Perché non riconosco le persone. Perché la comunicazione è più difficile. Perché siamo tutti mascherati, ma per la più brutta delle feste. Incrocio sguardi, spesso nascosti dagli occhiali da sole, e spesso non saluto, perché non capisco chi ho davanti. E questo mi mette tanta tristezza. Mi manca la mimica che parla più di tante parole. Tantissimo. Oltre al fatto che sono spesso nella nebbia perché mi si appannano gli occhiali. Passerà, e forse impareremo tutti a sorridere di più.
Cambiamenti
Le persone non cambieranno in meglio dopo l’esperienza della quarantena. Anzi. Credo che saremo tutti più egoisti, avidi di vita e di esperienze, meno propensi ai compromessi. Abbiamo dato fondo alla pazienza e alla tolleranza. Esaurito la fiducia nelle istituzioni. Ci siamo goduti gli affetti più stretti e abbiamo cercato di compensare il credito di coccole ai nostri figli. Abbiamo capito i veri valori della vita e per questo ora abbiamo un bisogno smodato di superficialità. Delle cose inutili. Delle varie ed eventuali. Siamo stanchi dei messaggi ipocriti e buonisti. Abbiamo dimostrato di essere civili, ordinati, ubbidienti. Ma torneremo ad essere quelli di sempre. Più incazzati. Meno accomodanti. Meno tolleranti. E sarebbe bello anche più rivoluzionari, una volta tanto. Se dobbiamo cambiare, che sia a nostro vantaggio. Che da bravo, bello e buono a ciula è un attimo.
Le mamme non invecchiano mai
La festa della mamma quest’anno è una festa orfana di tante donne che il virus si è portato via. Mamme, nonne, bisnonne, che oggi avrebbero aspettato la visita dei loro figli, un fiore o un pacchetto di cioccolatini, e soprattutto il loro abbraccio. Invece se ne sono andate in silenzio, da sole, senza il conforto di stringere la mano a chi avevano messo al mondo. Le nonnine delle case di riposo, ma anche tutte le altre molto anziane, le cui morti vengono da molti accettate perché vecchie, perché malate, perché era la loro ora. E invece no. Una mamma non è mai vecchia. Una mamma ti stringe forte anche a cento anni e tu ti senti il suo bambino, anche se sei già diventato nonno. Una mamma è il nostro faro, sempre, e la sua saggezza ci aiuta nelle decisioni difficili. Ci sono mamme che hanno la terza media, ma, con il loro buonsenso, possono darti la soluzione per un accordo societario. È così. Le mamme amano a prescindere, senza senso, in ogni caso, anche se sei un delinquente e non le vai mai a trovare. Ecco perché oggi io penso ai tanti orfani a cui mancherà l’abbraccio della mamma. La loro mamma. Che si, aveva il diabete, la pressione alta, camminava a fatica, ma se non fosse arrivato questo virus odioso, oggi sarebbe lí, sulla sedia, con il suo sorriso sincero, ad ascoltare i loro racconti, ad accarezzargli il viso, a dire “come sei bravo, amore di mamma”. Ciao mamme, ovunque voi siate. Ciao.
Madeleine
Ogni volta che entro in bagno, lo vedo e la penso. Sempre. Me lo aveva regalato di ritorno dalla Costa Azzurra, dove trascorreva tutti gli anni una vacanza con suo marito e il nostro fantastico Stefano. E immancabilmente mi portava qualcosa. Una saponetta, un’acqua profumata, un piccolo oggetto che voleva dire “ti ho pensata”. Eppure non siamo mai state amiche. Semplicemente ci eravamo conosciute in biblioteca, dove Stefano collaborava come volontario, preciso, attento, speciale. Si, speciale, come sono i ragazzi come lui. Lei sorridente, colorata, estroversa, così vitale da riempire la stanza della sua luce. Una mamma forte, fortissima, l’ho sempre pensato, anche quando non ci siamo più viste spesso, perché sia io che Stefano non abbiamo più frequentato la biblioteca. Abbiamo continuato a seguirci sui social e a fare due chiacchiere se ci incontravamo per strada. E questo asciugamano sempre lì, su quel calorifero, di bellezza, tolto solo per essere periodicamente lavato. A ricordare la bellezza del suo cuore. Poi, la tragedia. Il virus se l’è presa e portata via, lasciandoci tutti sgomenti. Ma tu sei sempre con me, dolce Tiziana. Ogni volta che guardo questa lavanda, ti penso. Spesso accarezzo la superficie morbida del tessuto e poi ti mando un bacio. Perché non eri una mia amica, ma mi hai dato più di tante che ho indicato con quel nome. E, senza saperlo, mi ha ricordato come siano importanti i piccoli gesti nei confronti di chi amiamo, piccoli oggetti che ricordino loro che noi ci siamo. Perché la memoria a volte è labile e servono dolci Madeleine a riportare in vita nel cuore le persone speciali come te.
Navigli e covid
Io devo capire una cosa. Se sono stupida io oppure se davvero il mondo va al contrario. Sono due mesi che vivo in casa ed esco lo stretto necessario, per proteggere me e gli altri e poter accorciare i tempi di questa disastrosa pandemia. A fatica cerchiamo di mantenere un buon equilibrio familiare, perché il 24/24 + 7/7 non è facile per nessuno. Niente divertimenti, niente palestra, niente viaggi, niente di niente. Per movimentare un po’, cucino sempre nuove ricette e vi confido che mi sono decisamente rotta le palle. Sono nervosa, incazzata, annoiata, preoccupata, ansiosa di vivere. Ma rispetto le regole. Per me e per gli altri, ripeto. Non ne sono felice, spero funzionino, ma lo faccio. Poi apro internet e vedo le immagini dei Navigli di ieri, tardo pomeriggio. Happy hour. Tutti in giro per celebrare il dio aperitivo. E a questo punto mi incazzo e mi viene il dubbio di essere l’unica deficiente che si beve un prosecco sul balcone vista cortile da settimane, fingendo di essere in un locale di tendenza. Che fa le videochiamate con gli amici, fingendo di essere nella stessa stanza. Cosa che è figa una volta, poi diventa decisamente alienante e tristissima. Che da lunedì fa giri in campagna in bicicletta, rigorosamente con la mascherina, anche se incontra solo le prime zanzare e qualche agricoltore che controlla i campi. Una deficiente. Pure un po’ sfigata. Che me li immagino i brindisi di alcuni rivolti a “quegli sfigati che se ne stanno in casa”. La sfigata in questione spera, prega, che il virus abbia fatto il suo corso e che si sia stancato di infettare, che tutto questo non mi costringa a prolungare la mia permanenza tra le quattro mura, che chi ha brindato abbia dato il via alla ripartenza. Lo spero vivamente. Nel frattempo mi chiedo dove siano quelli che devono far rispettare i decreti, perché se legiferiamo ma poi non controlliamo tanto vale. Ma questo è un discorso lungo e tedioso. E oggi è venerdì. Per cui, dal mio balcone, prosit e che dio ce la mandi buona!