Ci saranno giorni in cui avrai i miei sorrisi e altri in cui i miei fantasmi tormenteranno anche te. Non sarà facile chiuderli in soffitta ma dovrai accettarli perché la bellezza è composta di luci e ombre e solo così potrai davvero avermi. Ci saranno giorni in cui la mia follia ti porterá sulle montagne russe e altri in cui la stessa pazzia annullerà le tue certezze. Perché lei scava nel profondo, si attacca alle parole, non lascia nulla di scontato. Ci saranno giorni in cui il mio corpo ti farà girare la testa perché in stato di grazia avrò deciso di amarlo e di amarti. Non cercare di afferrarmi però, di tenermi troppo stretta: gli animali sono fedeli se li lasci liberi, altrimenti scappano via. Ci saranno giorni in cui ti chiederai perché e forse troverai una risposta. Non dirmela. Mai. Non mi serve sapere perché. Mi basta che tu ci sia. Lì. Come ora. E che per questo tratto di cammino, breve o lungo che sia, tu sia tanto folle da scommettere su di me, su di te, su di noi.
Ritorno al futuro
“Ritorno al futuro” coi miei ragazzi. E gli anni ’80 che ti scorrono davanti agli occhi. I tuoi anni ’80. Le musicassette e i vhs. Il telefono fisso con la rotella. I capelli con il ciuffo e le spalle imbottite. Le felpe della Naj Oleari e le Vans, la cintura del Charro e i pantaloni della Energy. Umberto Tozzi e Claudio Baglioni. La vecchia Golf e le macchine squadrate. “Cioè” e le domande su dove mettere la lingua quando dai un bacio, che poi la provi davanti allo specchio e ti fa schifo, e cresci complessata. Che poi tu lo avevi capito ma l’altro no e se ne stava lì fermo immobile, che non c’è nulla di peggiore di uno che tiene la lingua ferma in quella situazione, è come uno che ti da la mano morta invece di stringerla. Gli anni ’80 e Raf che cantava “Cosa resterà di questi Anni Ottanta afferrati già scivolati via…”, mentre il muro di Berlino si sgretolava e tu credevi che tutto fosse possibile. Ecco Il mio ritorno al futuro vorrei mi restituisse questo, la capacità di credere, ancora, che tutto sia possibile….
Lorella
La Lorella l’ho conosciuta tantissimi anni fa. Ci legava, e ancora ci lega, una passione tutta speciale per la musica, il palco, la danza, l’espressione di sè in tutte le sue forme. E il destino ci ha legate in un modo tutto particolare, un momento speciale per lei, un periodo di grazia per me. Ho preso il suo posto sul palco e credo che interpretare ciò che avrebbe dovuto fare lei, sia stato come fondere le nostre anime. Sono passati anni. Non ci frequentiamo, ci incrociamo raramente anche se abitiamo davvero vicine, non ho nemmeno il suo numero di telefono. Ma il legame resta. Almeno per me. Fortissimo. Ogni mio post un suo commento, sempre sentito, in grado di cogliere l’essenza di ciò che lo ha suscitato. Auguri Lorella, di cuore. Anche se non so neanche quanti anni hai. Ma direi che la cosa non ha nessuna importanza. E grazie, per aver spesso aggiunto fiori e poesia ai miei giorni ❤️
Una di quelle
Io sono una di quelle che sorridono sempre a tutti, anche a quelli che ci stanno facendo del male, buon viso a cattivo gioco, e poco importa se questo ci costa una gastrite perenne. Io sono una di quelle che si illudono, si illudono forte, altroché Leopardi, ci ripromettiamo di non farlo più, di tenere le distanze, ma la bellezza delle illusioni è il richiamo delle Sirene a cui non sappiamo e non vogliamo dire di no.
Io sono una di quelle che non hanno scheletri negli armadi, solo tanti vestiti, con cui ogni giorno mettere in scena la maschera della vita, perché davvero io sono colei che mi si crede.
Io sono una di quelle senza pelle, tutte le emozioni dirette al cuore, tutte le parole capaci di scalfire, tutti i gesti vissuti senza filtri.
Io sono una di quelle che ha sbagliato tanto, che ha pagato tanto, e che comunque non ha ancora imparato la lezione.
Io sono una di quelle che nonostante tutto ha ancora voglia di vivere, ridere, correre, saltare, amare, creare. Perché io sono una di quelle che in questa vita ci crede, sbaglio consapevole che non voglio smettere mai.
Attendendo
Sala d’aspetto di uno studio medico. Asettica. Incolore. Inodore. Le riviste su un tavolo che nessuno guarda più perché tutti impegnati con lo schermo di un cellulare. Il medico in ritardo. I medici sono sempre in ritardo. Come i treni. Che uno si abitua alla relatività degli orari e siamo un popolo di approssimativi ritardatari. Un bambino. Anzi due. Che sono già stufi quando entrano e anche se versi la quota annuale per Save the children dopo un quarto d’ora che ti saltano sui piedi salgono e scendono dalla sedia cantano parlano ridono, ecco dopo un quarto d’ora così alle prossime Elezioni voti Erode e non ci pensi più. Poi entra il pensionato. Che ha fretta. Hanno sempre fretta. Un sacco di tempo e tutto subito. Si siede. E inizia a sbuffare. Si alza, va in bagno, esce, si siede. Sbuffa. Guarda l’ora tira su dal naso e inizia la litania. E tu che eri con Erode a questo punto sopprimeresti pure i pensionati. Anche perché si ciucciano i miei contributi e la cosa non mi va mica tanto. Tocca quasi a te ed entra trafelata una biondona con in mano le chiavi la borsa il cappotto e pure il cane. Chiede chi è l’ultimo e dice che lei deve solo ritirare una impegnativa. Che ci mette poco. Che è in ritardo. Che tu le diresti col cavolo che passi davanti, sono qui da una vita, usciró e scoprirò che nel frattempo l’uomo ha edificato sulla luna e quindi non ho nessuna intenzione di farti passare. Figuriamoci il pensionato. Inizia una protesta dialettale che potremmo definire colorita, attingendo da tutto il bagaglio bestemmiatorio della nostra sana tradizione orale. Però tu sei una signora. Sei gentile. Fai il fioretto per quaresima. E sorridendo la fai passare. Ovviamente la sua visita dura quanto tutte le altre insieme che probabilmente ha fatto un check up completo e fatto dare un occhio pure al cane mignon. Quando tocca a te non ti ricordi neanche più perché sei lì. Entri e vergognosamente dopo tre minuti sei fuori. Due ore di attesa, tre minuti di visita, una ricetta in mano. Economicamente un disastro, come al solito. Che coi numeri la colli non c’azzecca. A meno che non si tratti di altezza dei tacchi, ovviamente 😜
Sliding doors
Sliding Doors. Ve lo ricordate? Il film con Gwyneth Paltrow in cui una banale azione come prendere o perdere la metropolitana cambia tutto il corso di una vita. Quante sliding doors, quante porte scorrevoli ci sono nella vita di tutti noi? La mia vita è una sliding door continua e l’impressione che il destino faccia di tutto per rimescolare sempre le carte è davvero forte. E quando sembri navigare tranquilla ecco che arriva la sorpresa. Bella o brutta non importa. Quella che ti costringe a cambiare rotta, a ribaltare piani, a iniziare tutto da capo. C’è chi reagisce con rabbia, chi si arrocca sulle proprie posizioni, che si deprime. Io sorrido. Perché nulla è più eccitante del cambiamento, nulla più stimolante di uno spazio vuoto da riempire di tante idee. E ripartire è faticoso ma molto meglio che restare immobili, ripetutamente avvezzi alle proprie abitudini. Si chiude una porta, si apre un portone. O una birra. O un brunello. Fate voi. L’importante è non fermarsi mai. On the road perché, come diceva Kerouac, basta seguire la strada e prima o poi si fa il giro del mondo. Non si può finire in nessun altro posto, no?
Grammatica
L’imperativo è il modo dell’amore. Amami. Baciami. Coccolami. Abbracciami. Che le mezze misure non fanno per noi. E se non vuoi, ribellati ma non chiedermi cauti abbracci, sorrisi nascosti, posso scusa vorrei. L’imperativo è il modo dell’amore. Rispettami. Perché senza rispetto non è amore, ma solo possesso. E le persone non si posseggono, non sono oggetti con cui decorare il proprio ego, e tantomeno stracci da buttare dopo averli usati per un po’. L’imperativo é il modo dell’amore. Siici. Che forse è un neologismo. Ma esserci vuol dire riempire tutti gli spazi frantumati della mia esistenza. Vuol dire presenza costante. Che non chiede permesso perché l’amore esclude tutti i conformismi della nostra società. L’imperativo è il modo dell’amore. Il condizionale del desiderio. Il congiuntivo della conoscenza, perché se già me ne sbagli due abbiamo iniziato col piede sbagliato. L’indicativo della certezza. Con cui ci si guarda allo specchio al mattino e ci si riconosce. Piena di dubbi ma sono. Non vorrei sarei saprei, voglio sono so. La grammatica serve anche a questo. A definire i contorni del nostro io e a renderlo tangibile attraverso le parole, quelle giuste. Pensateci. È un imperativo, naturalmente….
Grovigli
Mattine in cui il senso non lo trovi. Siedi lì, all’alba, davanti al tuo caffè latte e al libro di turno e potresti essere ovunque e in qualunque stagione. O forse non sei da nessuna parte. Troppi pensieri. Eppure non riesci ad afferrarne nessuno. Provi a scrivere, a razionalizzare. Razionalizzare, facile a dirsi. Ma nella babele delle emozioni escono solo idee confuse, decisamente stonate, impoverite dall’inchiostro e dalla carta. E allora, ancora una volta, mentre il sole sorge e la luce inonda la cucina silenziosa, chiudi gli occhi. Inventi una storia. La insegui nei suoi meandri fatti di gesti parole risate colori. La animi con le persone che vorresti avere accanto o con le vite rubate da qualche libro. La vivi questa storia, la riempi di tutti i pensieri che ti hanno svegliato decisamente troppo presto, la rendi la tua storia, così improbabile da toglierti ogni illusione e da restituirti la libertà. Per un po’ davvero sei altrove, e guai a interromperti, come un sonnambulo che non deve essere svegliato. Poi, pian piano, torni alla tua sedia, al tuo tavolo, alla tua mug, al qui ora. Ancora senza un senso, che il senso a cercarlo si impazzisce solo. Ancora un po’ svagata, che oggi sarai altrove. In quell’altrove che troppo spesso riempie il presente, tu, fuori razionale ordinata precisa stucchevolmente attenta, dentro un groviglio che non hai più voglia di sbrogliare. Perchè in fondo ti piace. Sì ti piace. Essere così. Aggrovigliata.
Candeline
Ho smesso di festeggiare il compleanno in modo tradizionale quando avevo dodici o tredici anni. La torta, le candeline, il tanti auguri stonato, i regali mi hanno sempre messo in difficoltà. Tutti lì per festeggiare me, ma perché poi? Sono più brava a dare che a ricevere, un animale un po’ selvatico diciamo così. E allora già da adolescente ho preferito regalarmi qualcosa di speciale invece di una festa. Mai oggetti, no, quelli si possono comperare sempre, solo esperienze, sensazioni, emozioni. Una mostra. Un pranzo con sapori nuovi. Un massaggio coccoloso. Una passeggiata tra le vie di un posto mai esplorato e il piacere di conoscere vedere assaporare. Un giro in moto con l’aria che si porta via tutti i pensieri. Oggi lo stesso. Un giorno in più rubato al quotidiano. Il mare. La salsedine. Il sole caldo. La focaccia. Il vino. E tutto che, magicamente, come al solito si ferma, mentre la vita per tutti scorre regolare, e io godo di questo angolo di paradiso che ancora una volta la vita mi ha regalato. Per caso, per fortuna, non lo so. Ma c’è stato. E guardando quel cielo così blu oggi, che si rifletteva nel mare forse più blu ancora, per l’ennesima volta ho pensato che questa vita è davvero semplicemente bella, bella, bella. Anno più anno meno. Con mille candeline per ogni emozione rubata.
13
Erano le sei del mattino 13 anni fa. Proprio come adesso. Mi hai svegliato all’improvviso e mi hai detto “È ora. Su alzati che io voglio uscire”. E lo avresti fatto decine di volte poi, che di dormire tu non hai mai avuto troppa voglia. Quindici lunghissime ore dopo, dolorose, intense, vissute tutte che sia mai che la colli non prova fino in fondo i dolori della vita che nasce, quindici ore dopo ecco, non alla prima, nè alla seconda, mi sa alla ventesima spinta il tuo testone ce l’ha fatta a farsi largo dentro me. E niente è stato più come prima. Sono nata davvero allora. Quando ti hanno posato sulla mia pancia, la prima frase che hai sentito dalla tua mamma è stata “Cazzo che piedi!”. Sì perché sei nato che avevi già due fette così, tu che eri lungo lungo che mi devi aver odiato in quei nove mesi appallottolato dentro il mio corpicino. Piedi lunghi ma mai piantati a terra. Sempre la testa persa nei tuoi pensieri, distratto, intelligente da far paura, immerso nelle tue letture, originale, diverso sì diverso da tutti. Uno spirito libero, che ho visto sbocciare in questi anni, farsi più forte, sicuro di sè e della propria originalità, con quel testone di ricci, gli occhiali, e tante domande, sempre. Sei uno spettacolo Leo. Davvero. Ma l’ho capito subito. Dalla prima notte. Non hai chiuso occhio, gli occhi ancora annebbiati ma spalancati per vedere, indagare, capire. E io lì, incredula ancora oggi, che un essere così speciale abbia scelto me come mamma. ❤