Oggi, per caso, sono entrata qui. E il cuore si è fermato. Quasi sono arretrata di fronte a tanta bellezza. E mi sono venute le lacrime agli occhi. Che l’Italia scalcinata, zoppicante, piena di problemi, regala però emozioni senza fine. Come una bella donna che non sa di esserlo, intelligente ma che si svilisce, ricca di doti in cui non crede. La grande bellezza in ogni angolo, in ogni borgo, quando meno te lo aspetti. Oggi, per caso, ho nutrito i miei occhi e la mia anima. E ancora una volta ho amato questo Paese. Che ha un solo grande difetto. Di non amarsi abbastanza. #Italia
Libertá
Sono giorni pesanti nella mia città. Giorni in cui pare che tutti discutano con tutti, giorni fatti di sgambetti e di ripicche. Senza esclusione di colpi. Fa parte del gioco della politica, lo so. Eppure resta per me davvero incomprensibile. Ho una visione inquinata della politica e della amministrazione. Inquinata dai miei studi classici, dalle tonnellate di libri di filosofia, etica, storia che ho letto in tutti questi anni. Una visione utopistica e irrealizzabile. Mentre qui domina Macchiavelli ma senza il suo fondamento ideologico. E allora quando l’aria si fa pesante, lacolli si estranea. Non per fuggire, da cosa poi, ma perché maggio in lomellina è sempre bello e perché l’estate è dietro l’angolo e non si può non essere sorridenti in un momento così. E poi perché ci sono cose che non capirò mai, che il mio cervello rifiuta, e allora reset. E allora l’ennesimo libro in mano e il mio in fieri, a costruirmelo il mio mondo, pezzetto per pezzetto. Dove posso davvero essere libera. Che la libertà non ha prezzo e invece io spesso mi sento in prigione. Rinchiusa tra le sbarre alzate dall’ipocrisia, dal perbenismo, dalla convenzione, dal dover fare ed essere. Mi pesa così tanto che ci sono giorni che vorrei urlare, urlare contro il cielo come canta il Liga, prendere la macchina e andare andare finché non ho più soldi benzina coraggio. Perché per essere davvero libero devi essere forte e sicuro di te, e io qui ancora vacillo. E il mio bisogno di appoggiarmi ad altri mi fa sentire meno libera, meno capace, meno sicura. Sempre più lontana da ciò che mi circonda che davvero mai come ora sento non appartenermi. Che bello sarebbe indossare gli occhi dei miei figli che mi ripetono spesso che questo è il posto più bello del mondo e che mai e poi mai vorrebbero andarsene. Che bello non vedere oltre i banchi di scuola, gli amici e la ragazzina che chissà se una volta buona ti fila. Ero così anche io. Sognavo in grande, una vita come i personaggi dei miei romanzi, e non vedevo la vita che scorreva intorno. Poi si cresce. Si matura. E vedi ciò che hai intorno. E non sempre ti piace. E vorresti cambiare. Ma questo lo potevi fare nei sogni da bambina, la vita degli adulti è un’altra cosa. Comporta capacità di adattamento che non sempre sono tollerabili. Per questo meglio osservare e in silenzio vivere. E domani forse sarà migliore.
6 maggio
Sedevo qui. Allo stesso tavolo, nella stessa sedia. Mattina presto, il sole indeciso, fresco ma non troppo. Si sì proprio come oggi. Il mio caffè latte, la brioche, la rassegna stampa, perché la colazione é il mio piacere lento giornaliero e segue un rituale che conforta. Ma a differenza di ora non ero sola, anche se la stanza era vuota. C’era lui con me. Già da otto mesi. Otto mesi in cui dentro di me aveva fatto la rivoluzione: un movimento continuo, una presenza che non potevi eludere, una certezza fin da subito. Con tanta tanta voglia di vivere. E quella mattina sapevamo tutti e due che finalmente ci saremmo conosciuti. Anche se era ancora presto, ma si sa, la pazienza, a casa nostra, è un optional non di serie. E così sei nato. Piccolino ma già determinato, attaccato al seno prima ancora di uscire dalla pancia, il cordone ombelicale che non staccherai mai, perché tu sei la mia cozzetta. 12 anni fa ho conosciuto l’essere più affettuoso del mondo, vivacissimo, mai fermo, curioso, generoso e sempre pronto ad aiutare gli altri, un universo sorridente, un po’ timido, mai prepotente. Il mio Lorenzino. Che questa mattina, appena sveglio, mi ha guardato e mi ha detto “sai mamma che ho ricevuto già un regalo bellissimo?? Gli auguri di mio fratello”. Ecco lui é così. Semplicemente speciale ❤️
Chiedimi
E allora chiedimi se sono felice invece di invidiare il mio sorriso. Chiedimi perchè sembra che ci sia la primavera tutto l’anno invece di chiuderti nel tuo inverno. Chiedimi perchè cado mi rialzo cado mi rialzo come se fosse un ballo di moda, invece di dirmi che piove sempre sul bagnato. Chiedimi perchè la rabbia non fa parte dei miei giorni e perchè non so tenere rancore, invece di guardarmi con diffidenza e di non credere alle mie parole. Sono molto più semplice di quello che pensi, molto meno attenta alla forma di quanto tu possa immaginare, e sono qui che aspetto solo che tu scelga di essere felice con me. Perchè la felicità a dividerla si moltiplica e un tramonto non sarà mai così bello come quello che guardi seduto sulla sabbia di fronte al mare abbracciato a chi come te vuole solo una cosa. La felicità.
Risate
Il potere di una risata. Ci pensate ogni tanto? Io spesso. E in particolare oggi riflettevo su quanto sia insuperabile un uomo che sa far ridere una donna. Non la risata sguaiata e pacchiana, ma quella più sommessa, che magari arriva dopo una giornata no, quelle giornate in cui noi donne abbiamo paturnie che nemmeno un paio di tacchi di Casadei potrebbero far passare. No, va bè, forse un paio di scarpe potrebbe risolvere, ma si sa quello è patrimonio dell’umanità ed esula da ogni valutazione. Comunque l’uomo che sa farti sorridere non ha rivali. Specialmente quello con cui è facile farlo. Quello con cui una battuta tira l’altra, in cui i sottintesi sono tanti, tantissimi e l’intesa perfetta come le migliori coppie di comici sul palco di Zelig. Solo che qui non ci sono spettatori, le battute non sono state provate e il palco è la vostra vita. Che ogni giorno é piena di sole, perché un uomo che sa farvi sorridere è come un cielo sereno e non importa quante nubi si addensano sul vostro capo, lui riuscirà sempre a soffiarle via con la dolcezza delle sue attenzioni. Abbiate cura di chi è in grado di piegare le vostre labbra all’insù e godete della bellezza del tempo trascorso ridendo. Abbiatene cura e stringetelo stretto. Magari facendogli pure il solletico, come quando eravate bambini. E lasciate che il rumore delle vostre risate sia la colonna sonora di ogni attimo insieme.
Reset
È quando non ti arrabbi più che davvero hai gettato la spugna. Quando alzi le spalle e senti che in fondo non ne vale la pena. Che ti sei innervosita così tante volte, buscopan, malox e tutta la chimica necessaria per aiutare il corpo a sbollire. Eppure finché urli, sbatti le porte, litighi, in fondo ami ancora. Ti arrabbi perché ci tieni. Perché vuoi capire. Perché l’altro ti coinvolge a tal punto che i suoi atteggiamenti influiscono sul tuo umore. Poi ad un certo punto non te ne frega più. Forse sei arrivata al limite e oltre. E sei delusa. Perché non è la distanza che allontana, è la delusione. E la delusione non ha più nulla a che vedere con la rabbia. È un sentimento piatto e crudele, meno vitale di una sana incazzatura, senza rimedio. E allora meglio calare il sipario, in una sconfitta deludente, senza applausi, perché quando due esseri umani si allontanano è una partita persa per tutti e due. La vita va avanti e indietro restano solo i ricordi, color seppia, di momenti che sembreranno vissuti da altri, lontani nel tempo, foto di altri noi attori di attimi che in fondo non ci appartengono più.
Sentire
Ieri sera ho fatto un giro sui Navigli. E, come ogni volta che capito da quelle parti, mi sono soffermata davanti alla casa di Alda Merini. Quasi fosse un pellegrinaggio. Una sosta dovuta a chi é riuscita con tratti lievi eppur taglienti a dissezionare l’essenza della vita e dell’amore. Considerata folle. Ma d’altra parte folle non é colui che vede la realtà meglio dei cosiddetti sani? Dove sta la sanità mentale? Nella razionalità? Nel calcolo? Nell’omologazione da gregge che scandisce i nostri tempi? Basta leggere Pirandello e tutto si spiega. Nulla è più affascinante e terribilmente vero della teoria delle maschere, che tutti noi indossiamo per poter essere animali sociali, per dirla con Aristotele. E chi questa maschera non la indossa, chi é sè stesso senza adeguarsi, è un diverso, un folle, un artista, uno strano. La Merini scriveva “Io vorrei essere aiutata, ma non a capire. Ho capito fin troppo”. Come i folli che nell’antichità venivano guardati con rispetto, come i ciechi, perché solo chi sa guardare oltre il reale ha gli occhi degli dei. Così ieri sera senza scarpe mi sono messa sotto casa sua. Non per fare la folle ma perché avevo male ai piedi. E perché adoro calpestare la terra, sentirne il freddo, sentirmi libera, ovvio meglio in spiaggia che sul pavimento lercio dei Navigli, ma non sempre si può decidere dove essere. E lì, senza la sua presunta follia, senza il suo talento, senza la sua straziante sensibilità, ho pensato ai suoi versi. Io così diversa, ma anche io, come lei, senza pelle. Tutto troppo forte contro il cuore, tutto troppo intenso, e l’armatura che si sgretola ogni volta e mi lascia senza maschera, così, semplicemente io, e il mondo che neanche se ne accorge e ci passa sopra. Panta rei. Lo diceva Talete. Lo canta anche Gabbani. Per quelle come me mica troppo. Tutto scorre ma lascia indietro un sacco di detriti. E a noi non resta che cercare di levarceli di dosso. Pezzetto per pezzetto. E poi sederci in un angolo e sentire, sentire l’essenza, come diceva lei. “Mi piace il verbo sentire…Sentire il rumore del mare, sentirne l’odore. Sentire il suono della pioggia che ti bagna le labbra, sentire una penna che traccia sentimenti su un foglio bianco. Sentire l’odore di chi ami, sentirne la voce e sentirlo col cuore. Sentire è il verbo delle emozioni, ci si sdraia sulla schiena del mondo e si sente…”
Brividi
Mi è stato insegnato che nella vita devi dare cento per ricevere, forse, uno. Che la bellezza dell’amore e dell’amicizia consiste nel donare e che questo non deve mai essere un do ut des. Sono fermamente convinta che uno dei sommi piaceri della vita sia organizzare una sorpresa ad una persona a cui vuoi bene. Il fermento dell’idea che prende forma. L’ansia che tutto vada secondo i piani. La gioia di pensare alle possibili reazioni. L’adrenalina dell’ultimo momento e delle possibili complicazioni. E alla fine, se tutto funziona, l’impagabile sorriso del destinatario. Nulla batte tutto questo. Nessun regalo, nessun oggetto, nessun complimento. La felicità dell’inatteso, preparato per lui, solo per lui. Sarà che a me piacciono le sorprese, e che in questa vita sembrano esistere solo quelle brutte, di sorprese. E sempre meno qualcuno disposto a idearne, crearne, metterle in essere. E sia. Io non smetterò mai di essere una “surprise maker”, per dirla all’anglosassone che fa molto figo, e peccato per chi ci rinuncia per pigrizia. O, peggio, per mancanza di fantasia. Mi hanno insegnato a dare. E ci provo, ogni giorno. Tanto non sarà mai abbastanza per chi invece sta lì, immobile, e spera di ricevere. Che stupidi. La vita ci emoziona agendo, non patendo. La vita è un brivido che vola via, dice Vasco, e non so voi ma io, di brividi, non voglio perdermene neanche uno….
Sulla sabbia
Hai scritto ti amo sulla sabbia. Lo hai fatto di sera, una sera d’estate mentre il sole tramontava nella baia e le case colorate tremolavano sulle onde leggere. Lo hai fatto sorseggiando una birra, la seconda o la terza di un aperitivo forse un po’ lungo, forse un po’ triste, di sicuro solitario. Hai scritto ti amo con un legnetto scuro, portato dal mare, proveniente da chissà dove, perché i flutti rimescolano tutto e annullano i confini. Lo hai scritto bene, con attenzione, calcando sulle cinque lettere come a renderle indelebili. Indelebili sulla sabbia in riva al mare. Ecco l’amore è proprio così. Ha la presunzione tutta umana di essere eterno ma in fondo è una scritta sulla sabbia in riva al mare. Tutto dipende dalle onde. Dalla schiuma che accarezza scritta e sentimenti, un po’ come il tempo e la vita, che pian piano se li mangiano tutti i nostri sentimenti. E noi dobbiamo essere bravi e attenti, con il nostro legnetto in mano, a ripassare le lettere ogni volta che un’onda le porta via. Senza stancarci mai. Hai scritto ti amo sulla sabbia e adesso guardi le parole e sorseggi la birra. Nessun nome a fianco. Tu lo sai a chi è rivolto. E forse lo hai scritto più per te che per lei, che talvolta abbiamo paura di esprimerlo questo amore, come se dire urlare scrivere ti amo fosse mettersi troppo a nudo in una società che ci insegna ogni giorno a rifugiarci dietro la nostra corazza. Ho scritto ti amo ieri sera. E la scritta è ancora qui la mattina dopo. É vissuta una notte intera. Come il più bello degli amori. ❤
Gap
Ho 42 anni. Quando mia madre aveva la mia età io ne avevo 17 ed ero convinta che non capisse nulla di me, del mio mondo, di ciò che volevo nella vita. Pensavo che vivesse una vita parallela alla mia e che, fuori dalla mia stanza e dalle pagine della mia Smemo che scoppiava di emozioni, lei e tutti gli adulti fossero troppo lontani da me per potermi ascoltare. Lei era una donna e io una ragazzina con la testa troppo ingombrante. Adesso la donna sono io, anche se di certo più insicura di quanto fosse la mia mamma allora, e mio figlio ha 13 anni. E di sicuro anche lui pensa che io non ci capisca nulla della sua vita, dei suoi videogiochi, del suo slang, dei suoi bisogni. E in parte ha ragione. Ci capisco poco e lo capisco poco. Sebbene mi sforzi, ogni giorno, di comprenderlo senza invadere, di ascoltarlo senza prevaricare, di consigliare in modo fermo senza che lui lo viva come un ordine. Un domani saprò se è andata bene o male. Se nella mia totale mancanza di equilibrio sono riuscita ad essere una via. Se in un modo o nell’altro mi avrà amato per quello che sono. La sua mamma.