Non inseguite chi non si fa aspettare. Non mendicate una briciola di amore. Non sentitevi sempre in difetto e non rinunciate a tutto per chi non rinuncia a nulla per voi. Sedetevi e chiudete gli occhi. Pensate a ciò che avete sacrificato, accantonato, perso per strada. Fatelo in modo ordinato, senza sconti. E poi chiedetevi se ne è valsa la pena. Se a fronte di mille rinunce avete ricevuto ciò che cercavate. Se il cuore è colmo di amore oppure è solo colmo di paura di stare soli. Perché una boa in mezzo al mare è un appiglio durante la tempesta ma stare attaccati a lungo ci impedisce di esplorare i nostri sogni. Non abbiamo bisogno di ancore ma di vele che ci aiutino ad andare sempre più veloci. Di un amore che è presenza, costante, continua, tangibile. Di gesti che ci mettano sul piedistallo e ci facciamo sentire regine, di abbracci senza fine e di baci quando meno te lo aspetti. Non abbiamo bisogno di rincorrere ma di correre insieme. Ricordatevelo quando passerete ore ad aspettare un messaggio che non arriva. O quando scriverete lunghe lettere d’amore e lui risponderà ok. O quando farete i salti mortali per cinque minuti insieme e lui si dimenticherà dell’appuntamento. Ricordatevelo. E mandatelo al diavolo. Che l’amore è materia per animi coraggiosi non per viziati che vogliono solo la pappa pronta.
Buongiorno
E si riparte. Come ogni mattina. Caffè latte qualcosa di dolce per consolarti dal distacco con il piumone. Un bacio prima di andare al lavoro. E via. Non sai mai che giornata sarà. Spettinata, incasinata, pigra, triste, monotona, eccitante, da dimenticare. Non lo sai. Ti ci butti dentro e vivi. Con tutta l’energia che hai, cercando di tirarne fuori il meglio. Che un giorno non è nulla in fondo ma può essere il tutto. Potesti incontrare l’amore dietro l’angolo, quando meno te lo aspetti, struccata, vestita da far paura, con le occhiaie dei cicli delle grandi occasioni. Potresti avere l’occasione lavorativa che attendi da sempre, arrivata per caso, mente chiacchieri con un collega al bar. Potresti scoprire di essere incinta, o di essere rientrata nei jeans dopo mesi di dieta, o che lui ti tradisce con la tua migliore amica. Potresti comperare in una bancarella un libro usato e capire poi che è il più bello che tu abbia mai letto, o afferrare al volo un treno su cui ritrovi un compagno del liceo che non vedevi da più di venti anni. Potresti. Ma ci vuole energia. Tanta energia. Quella di vivere, di volere, di sorridere, di lottare. Non lasciare che i giorni scivolino via come le goccioline sui vetri quando piove. Ognuno di essi porta in sè un’occasione, coglierla sta solo a te. Vai e afferrala. Che una volta passata, considerazione banale ma ahimè vera, non torna più.
Milano 1930
Il taxi svoltò a sinistra e passò davanti alla Basilica di San Babila, sotto lo sguardo severo di un vigile, in piedi accanto alla Colonna del Leone. Entrando in Corso Venezia, l’autista fu costretto a rallentare nel traffico insolitamente caotico di quel pomeriggio di maggio. “Signora, cercherò di avvicinarmi il più possibile all’ingresso dei giardini, ma non sarà semplice in questa confusione” disse guardando nello specchietto retrovisore “L’inaugurazione del planetario è davvero così importante? E’ vero che ci sarà anche Mussolini?”. Elsa gli rispose con un sì distratto. Il suo sguardo era attratto dagli edifici che costeggiavano l’elegante via milanese, una volta chiamata “via delle carrozze”, su cui si affacciavano palazzi che denotavano il benessere di quel quartiere dell’alta borghesia. L’austerità rinascimentale di Casa Fontana Silvestri, le forme neoclassiche di Palazzo Serbelloni, l’architettura nuova e alla moda di Palazzo Castiglioni. Milano stava cambiando abito, anche se era ancora lontana dalla raffinatezza dei Boulevards di Parigi, la città in cui viveva da qualche anno e che le stava dando la possibilità di esprimere il suo talento, libera dalle imposizioni sociali che avevano tormentato la sua giovinezza. “Ecco. Mi fermerei qui, se per lei va bene”. Elsa pagò l’autista e aprì la portiera. L’aria tiepida le accarezzò il volto, in cui spiccavano i grandi occhi neri, volitivi, irrequieti, pronti a cogliere ogni dettaglio di quanto la circondava. Con passo deciso si avvicinò all’ingresso dei giardini di Porta Venezia, attirando, come sempre accadeva, l’attenzione dei presenti. I suoi abiti, pur denotando una fattura di altissima qualità e un’intensa ricercatezza dei particolari, mostravano elementi eccentrici, di rottura con i canoni della moda degli anni ‘30, caratterizzata da linearità e semplicità. Quel pomeriggio furono la grande spilla arancione a forma di insetto appuntata sulla giacca e il cappello con un vistoso pennacchio a suscitare i commenti delle signore della borghesia milanese. Elsa proseguì senza dare molto peso a tutto ciò e si ritrovò di fronte al colonnato che faceva da ingresso al Planetario, un palazzo neoclassico semplice, che sembrava immerso negli alti alberi del parco. Persa nei suoi pensieri, si accorse solo all’ultimo momento che le era venuto incontro Ulrico Hoepli, il grande editore che le aveva scritto per invitarla all’inaugurazione di quest’opera così innovativa: era stato lui a donarla alla città che lo aveva accolto tanti anni prima e che lo aveva reso uno delle personalità più stimate del suo tempo. Lo aveva conosciuto quando ancora era una ragazzina, visitando l’osservatorio di Brera di cui suo nonno, l’astronomo Giovanni Virgilio Schiaparelli, era direttore. Aveva accettato di lasciare Parigi e il suo atelier per qualche giorno in nome del profondo rispetto che nutriva per quest’uomo, anche se non amava la mondanità delle cerimonie ufficiali. Mussolini stava facendo in quel momento ingresso nel cortile: indossava l’uniforme della milizia ed era accompagnato da un deferente Marcello Visconti di Modrone, il podestà di Milano. Si fermò davanti a Hoepli, salutandolo velocemente, e baciò la mano ad Elsa, soffermandosi per un attimo a osservare il bracciale a forma di aspide che le risaliva il braccio. Poi entrò con passo deciso nell’edificio, seguito dalla folla degli invitati. Elsa diede il braccio all’anziano editore e insieme si prepararono ad assistere alla magia dell’immagine del cielo stellato e a sentirsi piccoli piccoli di fronte alla meraviglia del nostro universo.
Anniversari
2008. 10 anni fa ho imparato la forza del dolore che ti spacca dentro, quello della perdita di una persona speciale. Senza senso. Senza preavviso. Eppure il tuo sorriso buono è sempre qui. E con quello ti ricorderò in questo anno speciale, Lele.
2003. 15 anni fa abbiamo concepito Leo dopo il concerto di Vasco a San Siro. E non chiediamoci oggi perché è così adorabilmente folle. 15 anni fa se ne è andato il mio nonno bauscia, ballerino, barzellettiere, instancabile lavoratore, generoso, decisamente un gran figo il Pomè.
1998. 20 anni fa mi sono laureata in filologia classica. Volevo fare il topo da biblioteca. La vita ha avuto poi altri programmi per me, ma rifarei ogni singolo esame perché quella facoltà é stato in assoluto la più bella esperienza di sempre e ciò che mi ha dato è ktema es aei, possesso per sempre.
1993. 25 anni fa ho preso la patente e da allora adoro guidare, con il mio piede pesante e la passione per le auto cabrio.
1988. 30 anni fa ho visitato per la prima volta gli States. Ci sono tornata poi, tante volte, e ne ho sempre amato il profondo senso di libertà che vi ho respirato. Con tutte le sue contraddizioni, i suoi limiti, la sua ignoranza di tutto ciò che avviene al di fuori dei suoi confini. Ma per me America First e non cambierò mai idea.
1983. 35 anni fa ho iniziato per la prima volta a scrivere un diario. Ero andata a vedere il Circo Orfei con il papà e tornata a casa ho scritto ciò che avevo visto su un quaderno a righe dalla copertina bordeaux. E da lì non ho più smesso.
1978. 40 anni fa è stata fondata da mio papà la società che ora dirigo. La prima sede era in Piazza San Cassiano, dove ora c’è la nostra bellissima chiesa, sede di eventi. A volte il destino ha dei disegni che tocca a noi scoprire. Ecco io ricordo di essere entrata in quell’ufficio per far vedere al papà che avevo comperato le calze per danza classica. Avevo tre anni e iniziavo a fare sport. E da lì non ho più smesso.
I ricordi ci aiutano a trovare o ritrovare un senso al nostro vivere. Non lasciateli ammuffire. Ogni tanto tirateli fuori dal cassetto della memoria e fateli rivivere. È vi sentirete subito più forti, anche se un po’ nostalgici…
Se
A volte mi chiedo cosa succederebbe se ti perdessi. Se ti stancassi di me. Se improvvisamente al mio fianco ci fosse solo la mia ombra e non la tua mano. Sembra stupido chiedersi certe cose nella felicità ma non lo è. Almeno per me. E’ un piccolo trucco per ricordarmi che nulla e soprattutto nessuno è scontato. Che ogni cosa te la devi guadagnare ogni giorno, anche quella che credi di possedere per l’eternità. Che ogni affetto va curato, coccolato, ribadito, perchè nulla viene da sè. Sì a volte me lo chiedo, di notte, quando non prendo sonno e mi perdo nei pensieri. E mi dico che sopravviverei come tutti, che sono una donna forte, che la mia esistenza è fatta di tanti tasselli, non solo di amore. Sopravviverei ecco. Ma smetterei di essere quella che sono ora. Diventerei altro, forse anche migliore chi lo sa, ma quella che sono è cosi compenetrata di te che senza non avrebbe senso. E allora mi vengono le vertigini. Ho scelto di starti accanto anche se so benissimo vivere da sola ma con te realizzo la mia essenza, con te posso essere senza mai vergognarmi o dovere dare spiegazioni, in te so di trovare sempre una spalla a cui appoggiarmi e da cui spiccare il volo. A volte mi chiedo cosa succederebbe se ti perdessi. Mi sentirei stupida e incapace, che le botte di culo capitano una volta nella vita e tu sei di sicuro il mio superenalotto. Ma sai cosa ti dico? Non succederà. Perchè ti starò attaccata come una patella e col cavolo che ti permetterò di fare il lumacone con qualche ventenne. Che avrò le rughe e il sedere che scivola ormai in basso ma non troverai mai nessuna più figa di me. Tanto per concretizzare che troppa poesia altrimenti voi uomini mica la capite. Paraocchi e buon 2018 amore mio!
Natale anche no
Questo è per te, che queste festività avresti volentieri voluto evitarle. Perché a Natale è tutto più difficile se le cose non vanno nel verso giusto. Se la vita ti ha fatto uno sgambetto e il dolore ha bussato alla porta. Salute, amore, lavoro, no non è l’oroscopo di Branco ma solo uno dei motivi per cui il brindisi anche no quest’anno. Perché se le tue giornate si sono tinte di nero per una malattia, per la sofferenza di chi ami, per la fine di un sentimento, per il disastro di un progetto, ecco se l’ultima cosa che hai voglia di fare è sorridere, tutta sta gioia, amore, peace and love diventa insopportabile. Che purtroppo la vita non segue il calendario e, anche se è Natale, lei alterna gioie e dolori, senza senso, senza preavviso. E noi qui a provare a tenere botta. A sorridere anche quando non va, ad impacchettare regali che butteresti dalla finestra tanto ti frega quest’anno, a mangiare e ingrassare, pronti ad arrabbiarci doppiamente una volta passate le feste, che un conto sono i chili in più nati dalla gioia, un conto quelli per dovere di presenza. Ecco sì stasera queste parole sono per te. Non per consolarti o per dirti che tutto passa, altra frase odiosa che quando ci sei dentro sa molto di commiserazione. No. Solo per dirti che ci sta tutto. Il giramento di scatole, la voglia di spaccare tutto, di dare fuoco all’albero, di gettare le palle, i fiocchi, i sorrisi, pure Last Christmas di George Michael. No, va bè, forse George Michael no dai, lui possiamo salvarlo. Ci sta tutto. Però ricorda che per ogni dolore c’è almeno un momento di felicità. Solo che la felicità non la vediamo, non la ricordiamo e la diamo per scontata, il dolore ci spacca dentro e non lo dimentichiamo mai. E allora siediti davanti all’albero che hai appena distrutto e pensa a tutti i momenti felici. Tutti tutti tutti. Sforzati. Vedrai che ti verrà da piangere. Ma saranno lacrime miste di dolore e di gioia. E questo sarà già un passo avanti, meglio dei sorrisi finti e del dolore celato. E se non serve fatti un bicchiere di vino rosso, o bianco, come vuoi, e brindando a te stessa ricorda che la vita è stronza, ma tu lo sei di più 😉
Chi si accontenta gode
Non si è mai davvero felici finché non si impara ad accontentarsi. Del lavoro interessante e magari anche ben remunerato, anche se non è quello dei nostri sogni. Dell’amore quotidiano e tranquillizzante, anche se non è Brad Pitt e a volte che noia che barba. Della nostra casetta fatta di ricordi, di angoli familiari e del profumo tutto suo, anche se non ha sauna, piscina e una vetrata sul mare. Di un fisico ancora passabile e in forma, anche se vorresti un sedere immune alla forza di gravità, un vitino da vespa e le braccia senza effetto tendina. Delle rughe che dicono di espressione, che al mattino sono anche passabili e alla sera andrebbero invece stirate con la vaporella. Della vita piena di interessi, contatti, amore, musica, parole, anche se manca sempre qualcosa, quel dannato qualcosa che rende non pienamente soddisfatti. Anche se forse è proprio quello che spinge a inventarsi ogni giorno, a non sedersi, a rinnovarsi. Volli, volli, fortissimamente volli. O Colli, Colli, fortissimamente Colli. E provateci voi ad accontentarvi. Che io, nonostante l’impegno, davvero non ci riesco.
Sensi
La pelle non mente mai. Neanche l’olfatto. Non parliamo poi del gusto. Insomma i sensi non ti fregano. Devi solo ascoltarli e non fidarti solo del cosiddetto sesto senso carico di preconcetti, supposizioni, etica e morale, che il più delle volte ti fa buttare via le occasioni migliori. Ascoltiamo i suoni, i sussurri, le vibrazioni. Guardiamo il cielo e le sue infinite sfumature, i particolari di un corpo, le pagliuzze giallo ocra nel nell’iride di chi ci parla. Annusiamo il suo profumo, no non quello di una nota marca di eau de toilette, il suo suo, quello che ce lo farà riconoscere tra mille, la fresca fragranza del pane, la cannella dei giorni di Natale. Gustiamo il sapore del caffè, meglio se da un suo bacio, l’aroma del tabacco, il calore di un vino rosso corposo. Accarezziamo il velluto della sua giacca, intrufoliamoci a sentire la sua pelle, percorriamo con il polpastrello le linee del dorso della sua mano. I sensi non ingannano. I sensi non mentono. I sensi, i miei sensi, mi dicono che sei il suono, l’immagine, il profumo, il sapore, il brivido per cui è stata creata ogni mia cellula. E a me non resta che arrendermi a loro. Sensibilmente pazza di te ❤️
Notti
Ci sono notti in cui non dormiresti mai. E non perché non hai sonno. Anzi. Eppure la vita che ti pulsa dentro rimbomba così forte che non vuoi perderne neanche un rintocco. Tum tum tum. Sono quelle notti che seguono a giorni pieni di emozioni, di incontri, relazioni, scoperte. Sono quelle notti che precedono il realizzarsi di un sogno, il giorno della laurea, il velo da sposa, una nuova alba in un posto tutto da scoprire. Sono quelle notti che iniziano sul divano, banali, con il telecomando in mano e gli occhi che fissano il televisore senza vederlo, perché la mente è oltre, con un amore lontano eppure così vicino da sentirlo addosso. Sono quelle notti in cui la fantasia è più ricca dei sogni e allora lasci che riempia le tue vene, che si trasformi in parole sulla carta, che disegni nell’anima il tuo domani, quello che vorresti, vero, intenso, tuo tuo e ancora tuo. Sono quelle notti come questa notte, seduta qui sotto un cielo freddo di stelle congelate, gli occhi che lacrimano e le mani rosse strette al petto, a guardare in su per cercare non sai bene che cosa. Ad ascoltare. La voce che ti sale dal cuore. Che ti dice di vivere, ridere, amare, senza freno, senza paura. Quelle notti, queste notti, belle da morire.
Sensibilità
Sono un uomo sensibile. Ecco, una frase così intenerisce, commuove, addolcisce. Punto. Sì perché “uomo sensibile” è un classico esempio di ossimoro, ovvero di accostamento di due termini in contrasto tra loro. Non che gli uomini non si commuovano, non abbiamo un cuore, non provino sentimenti profondi. No no. Solo che tra la sensibilità maschile e quella femminile c’è un abisso. Stai male e lui ti bacia sulla fronte “non fare così”, e mentre lo fa segue con un occhio la partita in tv. Gli racconti dell’ultimo litigio con la tua migliore amica, seguendolo per casa perché col cavolo che si siede ad ascoltarti, e alla fine lui ti dice “mandala al diavolo è una stronza”. Piangi per un film e lui ti guarda e ride. Non sai cosa metterti alla sera e lui, invece di sedersi accanto a te e sostenerti in un momento così decisivo, ti dice “ma stai bene con tutto”. Ora, capite che la sensibilità è un’altra cosa. Quanti dedicano ancora una poesia ad una donna? Quanti una canzone? Quanti improvvisano a sorpresa cenette e viaggi? Romanticismo, altro sconosciuto. Che poi se gli dico che non è romantico, mi tira fuori l’esempio di Leopardi, che era sensibile, colto, delicato, “però dai Colli, era un po’ sfigato, no?” Uff. Per sto Natale voglio sensibilità sotto l’albero. Non scrivo tra le palle perché potrei essere fraintesa. Un pelino in più no? Voglio dire, se mi cade il fondotinta e va in mille pezzi sul pavimento e butto così via il costo di una cena, tu non puoi ridere e farmi la foto mentre pulisco, devi piangere con me ed aiutarmi a spalmarmelo sulla faccia. E poi comperarmene uno nuovo. Minimo. Questa è sensibilità. Capito?!??