Surreale ma bello. Quell’incontro che non ti aspetti. Quel sentimento che nasce nel deserto di una quotidianità banale. Quell’amore che ti coglie quando ti eri rassegnata. Surreale perché lui appartiene a un mondo che non è il tuo e che pure avevi sempre sognato, osservato da lontano, come seduta a una finestra, con le imposte socchiuse, lì, a spiare un’esistenza che non poteva essere la tua. Surreale perché è successo tutto per caso, uno sguardo che non ti aspetti, un abbraccio più stretto del solito, una parola sfuggita e che ha aperto un universo di emozioni. Surreale perché in fondo lo conosci da sempre, sai come cammina, come parla, come muove le mani, cosa mangia, cosa beve, cosa ama perfino. Ma lo sai perché a legarvi è sempre stato altro, che ora non sai più definire perché quel bacio ha cambiato tutto e il solo pensarlo ti da i brividi. Surreale sì. Ma bello. Bellissimo. Perché l’amore improvviso ha riempito tutti i vuoti della tua vita. Bello perchè ti svegli al mattino e sorridi alla pioggia, canti sotto la doccia, vivi con una forza e una intensità tutta nuova. Bello perchè ogni sua parola ti fa sorridere e con lui dimentichi tutte le tue cicatrici. Bello perchè è un sogno, un’illusione, un’avventura che durerà meno di un battito di ciglia e poi lui tornerà al suo mondo, lontano, altro, irraggiungibile. Ma non importa. Perché sei felice, semplicemente felice. Di viverlo. Lui. Surreale ma bello
Cosa sono i tatuaggi?
Ho fatto il primo tatuaggio cinque anni fa. Era un po’ che ci pensavo ma, come sempre accade nelle decisioni importanti, avevo dubbi e paure. Non del dolore, ma del fatto che fosse definitivo e che andasse a raccontare qualche cosa di me. Alla fine é arrivata lei, la mia manta, su una cicatrice che non era solo segno della pelle ma memoria dell’anima. E con lei, dopo un po’, anche gli altri due, un geco e una libellula. Tutti meditati, elaborati, quasi partoriti. Con un significato ben preciso. Perché amo i tatuaggi, anche vederli sugli altri, alcuni sono opere d’arte e hanno colori stupendi. Però credo che questi segni sulla pelle non debbano essere una esibizione ma qualche cosa che facciamo per noi, prima di tutto per noi. Qualcosa di intimo. E infatti i miei si vedono solo se sono in costume. Concordo in questo con Nicolai Lilin, scrittore e tatuatore, di cui vi consiglio i libri, quando scrive “Nella mia visione del tatuaggio c’è una categoria terrificante: quelli che io chiamo ‘gli spensierati’. Si disegnano addosso di tutto, senza curarsi del significato. Immagini tribali, elementi botanici, corpi celesti, fate, lucertole, scrivono il proprio nome forse per non dimenticare come si chiamano, infilano date di nascita, stelle di ogni forma e grandezza. Non gli importa: vogliono solo farsi vedere e somigliare a modelli visti alla tv. Essere uguali, non peggio e non meglio degli altri, sapere bene integrarsi nella massa, non uscire fuori dal gregge per nessun motivo, essere come tutti. Così finiscono insieme, sulla stessa spiaggia, con gli stessi loghi addosso”.
Domani
Ogni sera mi dico che domani sarà il giorno giusto. Che inizierò a mettermi al centro. Che avrò il coraggio di buttare sul tavolo quel progetto che cresce dentro di me da sempre. Che verrò prima io e poi tutti gli altri. Sdraiata nel letto, al buio, sono così convinta che vorrei fosse già mattina. Perché se non comincio ora non lo farò mai. Non sono più una bambina e davvero basta rinunciare, avere paura, temere che gli altri possano essere delusi da me, che alla fine mi ritroverò con nulla in mano e un casino alle spalle. Sì basta. Mi giro e mi rigiro prima di addormentarmi ma sono convinta. Assolutamente. Poi mi sveglio al mattino e ricomincio come sempre. Colazione, letti, bagni da pulire, auto, ufficio, lavoro che non mi piace ma si deve, spesa, telefonate, una due cento, tutte inutili in fondo, messaggi, figli, marito, genitori, che chiedono e non sai dire di no. E arriva l’ora di cena e non hai fatto nulla per te. Sotto la doccia, le lacrime nervose nascoste dall’acqua, ti dici che non ci riesci. Non riesci a cambiare ma neanche ad accettare il presente. Un limbo che ti rende irrequieta, nervosa, scontenta. Vuoi ma non vuoi. Che rabbia. E la sera sul divano decidi che domani sarà il giorno giusto. E tutto riparte. Sogni, progetti, aspirazioni. Arriverà il momento. Lo so. Lo sento. Lo devo a ciò che sono, alla mia immagine riflessa nello specchio, agli anni di battaglie che vedo se mi volto indietro. Domani. Dopo. Ma questi talenti che ho in tasca li metterò a frutto tutti. E allora sotto la doccia canterò, anche se sono stonata. Perché la vita è una partita che voglio giocare fino in fondo.
Porte chiuse
Ogni tanto bisogna imparare a chiudere la porta. Bene. A doppia mandata. E restare sordi se il citofono suona. Perché per giorni, mesi, anni non abbiamo fatto altro che aspettare e perdonare e dare una dieci cento possibilità. Promesse non mantenute, silenzi inspiegabili, notti insonni. E noi lì, a dire un basta che poi basta non era. Ci fregano i sentimenti, ci frega il cuore, ci frega questa forza chiamata amore. A un certo punto però continuare significa mendicare. Perdere fiducia in noi stessi. Battere la faccia contro un muro che diviene sempre più alto. A un certo punto però bisogna dire basta. Davvero. Buttare via la chiave. Urlare se necessario. Sfanculare pure. Torneranno, forse, ma noi non ci saremo più. Avremo deciso che le briciole non fanno per noi. Avremo guardato lo specchio e vi avremo visto donne forti, che non possono perdere tempo ad aspettare un treno sempre in ritardo. Perché è proprio vero che quello che non è stato è perché non doveva essere.
La spesa, una perdita di tempo
Mercoledì e già il frigo piange. Devo capire perché il sabato sembra scoppiare e nel giro di tre giorni ha più eco che nelle valli del Trentino. Così stasera mi toccherà pure l’ennesima spesa. Ma quanto tempo perdiamo tra scaffali, banchi frigo ibernanti, code alle casse con l’immancabile signore che “ho solo la carta igienica posso passare?”, indeciso davanti a noi che decide all’ultimo che le brioche le vuole al cioccolato e ferma il traffico più che nel l’esodo estivo? E quelli che leggono tutte le etichette e si fermano in mezzo ai corridoi? Soluzione possibile, la spesa online. Ma comperare senza toccare non mi riesce ancora. Vecchia scuola la mia. Carrello, soldino, sacchetto, bagagliaio, spalle, bicipiti, e tricipiti allenati anche questa sera, che la lista ha due cose e torno con venti. E se va bene sabato siamo da capo. Se va bene 😉
Cosa mi metto oggi?
La mattina davanti all’armadio e la scelta di che maschera indossare. Perché gli abiti sono anche questo. L’immagine che vogliamo offrire di noi stessi, il travestimento quotidiano, il gioco delle parti che ci coinvolge tutti. Perfino quando infiliamo la prima cosa che capita. E ci diciamo chissenefrega, oggi ho fretta, non ho voglia, lasciatemi nel mio guscio e va bene così. Al mattino esco molto presto e spesso preparo i vestiti alla sera. Senza guardare il meteo. Il risultato è che più della metà delle volte sono fuori luogo. Gonnellina leggera sotto l’uragano Katrina e pantaloni pesanti nella giornata più calda dell’anno. Ma poco importa. Avevo voglia di indossare quello e l’ho fatto. Mi faceva sentire a mio agio. Mi piaceva. Perché è vero che l’abito non fa il monaco ma è vero anche che il vestito giusto può darci quella spinta in più. Come il tacco 12, ovviamente 😜
La magia della scrittura
Ci sono giorni in cui tutto sembra andare storto. Discussioni familiari. Bollette inattese. Notizie spiacevoli. Tutto. Perfino lo smalto semi permanente che si solleva come carta velina dopo quattro giorni che l’ho messo. Allora mi siedo davanti al mio pc. Apro word. Le mani sulla tastiera. E creo un mondo nuovo. Fatto di persone, animali, luoghi lontani e vite altre. Per qualche ora dimentico tutto. Per qualche ora sono in una dimensione tutta mia. Poi mi accorgo che si è fatto tardi e che devo preparare la cena. Tolgo le mani dalla tastiera e mi sento svuotata. Così stanca. Eppure libera. Felice. Come dopo una cena tra amici o un pomeriggio a chiacchierare sotto gli alberi. Le bollette sono ancora lì. Le disgrazie pure. Eppure sento di poterle gestire ora. Con i miei amici. Quelli lì. Impressi nella pagina, vivi nella mia mente. Pronti ad essere regalati a tutti coloro che avranno voglia di perdersi tra le righe di un romanzo, di un racconto, di parole senza un perché.
Amarcord
Seduta alla scrivania dopo cena. Mentre scrivevo ho alzato gli occhi e l’ho vista lì. È sempre stata lì, da quando abitiamo in questa casa. Stasera l’ho notata. Stasera, che sono già nostalgica di mio. Il mio pezzo di carta, la mia laurea. Vent’anni fa. Quante esperienze da allora, quanti lavori diversi, quante conoscenze. Che io sono l’emblema che il posto fisso non è più il destino perfetto di ogni lavoratore. Che pure il posto fisso io l’avevo e mi sono dimessa. Dovrebbero segnalarmi alla pubblica amministrazione, credo di essere stata una dei pochissimi che l’hanno fatto. Ma io ho fame. E sete. Di conoscenza. Di esperienze. Di crescita. Sfide. Continue. Traguardi. Da spostare sempre un po’ più avanti. Una continua istorìa, nel senso etimologico del mio adorato greco, ricerca, senza sosta. Venti anni e nuovi traguardi in questi due mesi, i libri, il giornalismo, il blog. Eppure mai sazia. Mai. Che quel pezzo di carta avevano ragione è una partenza, solo una partenza, per un viaggio che davvero non voglio smettere mai.
Le rondini e la voglia di te
Quando ero piccola amavo sedermi sul balcone nelle prime sere calde e seguire il volo delle rondini. Ascoltare il loro canto. Immaginare i loro viaggi. Annusare l’estate. Godere della luce, fino a tardi, fino a quando dovevo andare a dormire. Stasera sono la stessa bimba di allora. Qui, seduta sulle stesse piastrelle, gli occhi all’insù e la voglia di respirare il mare. Sì il mare, la salsedine, il profumo della pelle riarsa dal sole. Voglia di serate passate a chiacchierare mentre il sole tramonta, senza orologi a lamentare il dovere del quotidiano. Voglia di giri in bicicletta tra le risaie, le mie risaie, con le zanzare, gli aironi, le rane e qualche serpente d’acqua che fruscia ai bordi dei canali. Voglia di te. Qui, accanto a me. Che senza di te è sempre inverno e una serata così bella è bella a metà. Tu. La mia stagione migliore ❤️
Divorare il cielo
Ho comperato questo libro attratta dal titolo e spaventata dal nome dell’autore. Sì perché quando hai scritto un romanzo come “La solitudine dei numeri primi” ogni altra frase che ti trovi a pubblicare è un esame di maturità. Temevo di subire una delusione, fatto che accade non raramente nelle mie numerosissime letture, e di rivedere il mio giudizio su questo autore che sa indagare l’animo umano e restituirlo al lettore in tutta la sua cruda verità. È stata invece una passione. Totale, improvvisa, netta. Per questa storia che sa di sale, vento, terra, di rapporti primitivi e senza mezze tinte, di amori giovanili che segnano una vita, di utopie e sogni senza i quali non vale la pena vivere. “Divorare il cielo”, i minuti, i giorni, le esperienze, amare, rischiare, lottare, perdere, sì perdere, perché i personaggi non sono dei vincenti e questo li rende così vicini a noi da spingere al pianto in alcuni passi. È finito in un giorno e mezzo. Troppo poco. Ma le sue parole hanno nutrito il mio cuore di sensazioni e la mia fantasia di suggestioni. Leggere è quel vizio che non voglio smettere mai e questi libri sono la mia droga preferita. Fatelo anche voi. Entrare nelle vite altrui attraverso la scrittura è un brivido che vi consiglio. Sempre. 😘