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cricolli

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Sciatterie

No ragazze, così non va bene. Inutile che ci lamentiamo che il nostro uomo ci trascura o, peggio, ci tradisce. Inutile, se poi cadiamo in sciatterie da brividi. Sí sì, lo so, l’amore è cieco e se lui vi ama accetta tutto. E ok, concordo, che in fondo basta dargliela per farli felici. Ma a tutto c’è un limite. Se non lo fate per lui, fatelo per voi, e per il vostro specchio, che merita rispetto. Allora. Partiamo dai capelli. La crescita. Se non siete più una ragazzina e avete i capelli bianchi, rassegnatevi a tingervi spesso o ai colpi di sole. Oppure optate per il grigio o il bianco, che ora va di moda. Ma la crescita no. Dà subito l’idea di incuria e trascuratezza. Anche se avete la piega perfetta. Idem il capello sporco. Avete presente quello unticcio? Ecco. Se non fate in tempo a lavarvi o se avete i capelli grassi, legateli. Perché a sembrare la strega Amelia di Paperino è un attimo. Le unghie. Se mettete lo smalto, per favore che sia perfetto. Quello sbeccato, sbiadito, rovinato fa il pari con la crescita. Meglio un unghia senza nulla, pratica, sportiva, pulita. I piercing. Bucatevi quanto volete, anche se a me la ferramenta in varie parti del corpo non piace e avrei il terrore di suonare sotto il metal detector all’aeroporto. Bucatevi, ma poi non tormentate quei poveri orecchini. Soprattutto quelli sulla lingua. Che voi non vi renderete conto delle facce che fate, in quel continuo stuzzicare il pallino con i denti. Sembrate uno scimpanzè che mastica e spesso parlate come Lino Toffolo. Please, no. Il rossetto sui denti. Mamma mia che fastidio! Quella roba rossa o rosa sul vostro splendido sorriso è un pugno in un occhio. Quasi come la foglia di insalata, che puntualmente si infila dove non deve se esco a pranzo in centro. I leggings bianchi. Neanche se avete un sedere da mille squat al giorno. Non stanno bene a nessuna. Evitate anche i leggings inguinali, quelli che delineano perfettamente il profilo delle vostre parti intime. Volgare, brutto da vedere, inutile all’acchiappo. Meglio un bel paio di jeans bianchi e il successo è assicurato. Le calze color carne. Quelle da effetto gamba di Barbie, e voi non siete la Barbie, e meno male perché il Ken non è dotato di attributi. Quindi. O senza calze o altra tinta grazie. Il gambaletto. Devo spiegare perché no? A parte che ammazza la circolazione e crea un solco permanente tipo laccio emostatico, è davvero inguardabile. Noi invece amiamo essere guardate e apprezzate. Che chi dice il contrario, mente. O lo fa per una sorta di vezzo snob a cui non crede nessuno. Curatevi ragazze. Siate sempre pronte ad incontrare il principe azzurro. Anche se, sappiamo benissimo, che ci imbatteremo nel figo paura, che puntiamo da mesi, la sera, in ciabatte e pigiama, il mollettone in testa, mentre andiamo a buttare la spazzatura. Ma quella è un’altra storia.

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Rispetto

Se tutti imparassimo a rispettarci l’un l’altro questo mondo sarebbe diverso. Ci avete mai pensato? A partire dalle relazioni più semplici, amicizia, amore. Spesso invece è proprio questo che manca. Il rispetto. Ci si avvicina ad altri, si prende ciò che serve, in termini materiali e spirituali, e poi ci si allontana, senza curarsi delle conseguenze. La nostra società è piena di persone che calpestano sentimenti e promesse, che credono che si possa dimenticare nel tempo di un battito di ciglia, che chiudono relazioni come armadi pieni di vestiti vecchi. E non si tratta di uomini e donne malvagi, no no, semplicemente di esseri che pongono al centro sè stessi e tutto il resto è solo una conseguenza. È terribile tutto questo. Intollerabile a tratti. Siamo libere creature, abbiamo un mondo in cui correre, ma non dobbiamo mai scordare che gli altri meritano quello che meritiamo noi. Che le persone non sono cose. Che i sentimenti vanno riconosciuti e rispettati. Che le menzogne sono boomerang che ricadranno su di noi. Impariamo ad essere sinceri e attenti a chi ci sta accanto. A pesare le parole e i gesti. Ad amare davvero senza doppi fini. Siamo esseri unici e meravigliosi. Se rispetteremo gli altri e il mondo, lo saremo ancora di più.

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Avverbi

Usiamo avverbi pericolosi.

Ti amo PER SEMPRE.

Non ti dimenticherò MAI.

Saró SEMPRE QUI.

La nostra amicizia durerà IN ETERNO.

Su di me potrai SEMPRE contare.

Pericolosi perché il per sempre non esiste. Perché siamo esseri fragili e appesi a un ramo sottile come le foglie. Perché le situazioni cambiano e noi con esse. E quei per sempre possono far male a chi li aveva presi sul serio.

Promettete con moderazione.

Mantenere è SPESSO difficile.

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Cambiamento

Comincia sottile in un angolo dell’anima. Poi si fa sempre più forte. Sale nel cuore. In gola. In testa. Preme dentro di te e non riesci ad afferrare cosa sia. Poi capisci. E lasci che avvenga. Il cambiamento. Quello vero, che chiude tutti quegli spiragli lasciati aperti per paura, pigrizia, affetti. Chiude tutto e apre una strada nuova. E a quel punto puoi, anzi vuoi, seguirla senza indugi. Non ho più tempo per chi é stato e non è rimasto. Per chi ha chiesto senza dare. Il mio treno è partito e corre veloce, senza più ritardi. Felice, curiosa, entusiasta. Sí.

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Fiori e botte

Un mazzo di fiori. Tutte le volte mi regala un mazzo di fuori. Con un biglietto su cui scrive “Scusa. Non lo farò più”. Li ho tenuti tutti i biglietti, li ho messi in una scatola di latta rossa, quella dei biscotti Krumiri. È la scatola dei non lo faccio più. Però poi lo fa ancora. Basta un nulla. Un asciugamano piegato male in bagno. Una camicia stirata non perfettamente. Una mia gonna troppo corta. Inizia a urlare. A volte arriva una telefonata oppure qualcuno citofona e finisce lí. Però spesso urla sempre più forte. Come se non riuscisse a fermarsi. Inizia a seguirmi per tutta la casa, in un crescendo di parole, insulti, accuse. Se parlo urla di più. Se sto zitta pure. È come se qualcosa si impadronisse di lui e all’improvviso esplodesse. E finisce sempre nello stesso modo. Che sia una sberla, un calcio, un pugno. Finisce che mi picchia. E poi inizia ad accarezzarmi, a baciare dove ha picchiato, fino a venire dentro di me e a sussurrarmi che mi ama e che non può stare senza di me. Una volta o due ho provato a negarmi, ma mi ha fatto così male che ora lo lascio fare. Perché poi si calma. Dorme. La mattina dopo mi prepara il caffè e dopo due ore arrivano i fiori. Con il biglietto. Dovrei denunciarlo. Lasciarlo. Ma ogni volta spero che sia l’ultima. Che questi fiori siano il nostro giardino per una vita migliore. Che il bimbo che sta crescendo dentro di me lo plachi una volta nato. Che possa tornare ad essere il mio ragazzo speciale, che mi aspettava fuori da scuola con il motorino e mi portava al mare. Con cui sognavo di fare lunghi viaggi e di camminare sempre mano nella mano. Lo spero e intanto sto zitta. Nascondo i segni delle botte. Sorrido sempre. I fiori che mi manda mi danno la nausea. Il loro profumo sa di sangue. Ma sto zitta. Forse spero che mi faccia tanto male da non potermi più nascondere. Perché mi vergogno. Mi vergogno ad accettare tutto questo. Mi vergogno a raccontarlo in giro. Mi vergogno di essere incapace di ribellarmi. Mi vergogno di amarlo. Perché lo amo e mi odio. Stringo sta scatola di Krumiri e vorrei aprirla e trovare solo i biscotti che mangiavo da bambina. Nessuno merita un amore così, nessuno. Lo dirò al bimbo nella mia pancia. Se è un maschio gli insegnerò a rispettare le donne, se è una femmina che l’amore non usa le mani, se non per accarezzare. Non si vive nella paura, si sopravvive. Non si respira nel terrore, si è in affanno. Ribellatevi. Aiutatevi e aiutatemi. Non accettate tutto questo. Fatelo voi e portatemi via da qui. A volte, la morte si sconta vivendo.

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Google

Oggi Google compie vent’anni. Il 4 settembre del 1998 Larry Page e Sergey Brin hanno fondato infatti il motore di ricerca che usiamo praticamente tutti. Una curiosità. Il nome deriva da Googol, termine coniato dal matematico Edward Kasner negli anni Trenta per indicare un numero che ha un uno e cento zeri. Googol, Google, Gugol che sia non possiamo più vivere senza. I miei figli non sanno neanche cosa voglia dire cercare delle notizie al buio spulciando tra i libri in biblioteca. Adesso basta digitare un nome qualunque e un minimo di idea sull’argomento ce l’hai. Fondamentale nel lavoro, nel tempo libero, nei viaggi, in tutto insomma. E non dite che si stava meglio quando si stava peggio perché davvero Google ha reso semplice un’infinità di azioni di ricerca che impattano sul nostro quotidiano. E pensate che i due inventori, quando si conobbero, si stavano discretamente sulle balle. Un po’ a insegnarci che, nella vita, un conto è il lavoro, un conto l’amicizia. Mentre noi siamo portati a mescolare un po’ tutto e a prendere così molto sul personale delusioni che sono in realtà solo professionali. Google come la doccia, il telecomando, il frigorifero, la lavatrice. Come tutte quelle cose di cui potremmo fare a meno ma che per fortuna ci sono. D’altra parte, come ho letto da qualche parte, Google è donna: non ti dà nemmeno il tempo di finire una frase, che già ti dà suggerimenti.

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Forte

Forte. Instancabile. Tollerante. Sorridente. Si aspettano che tu sia così, ogni giorno, ogni momento, qualunque cosa accada. È quasi una responsabilità e una sorta di orgoglio personale. Quello di non mollare mai e di far sembrare tutto semplice. Te lo dicono fin da piccola poi, no? Fai buon viso a cattivo gioco. La gentilezza premia sempre. Se qualcuno ti attacca lascia cadere, le signore si comportano così. Ecco forse poi non sono una signora. Perché alla lunga tutto questo perbenismo logora. Questo voler essere Wonder Woman sempre e comunque, mentre avresti voglia solo di mandare tutti a quel paese. Questo caricarti di responsabilità che non sono tue, questo dover dimostrare sempre qualcosa. A chi? Perché? Fino a quando? Non dobbiamo dimostrare proprio nulla invece. Non dobbiamo essere sempre forti, anzi. Mostriamo le nostre debolezze, piangiamo senza nasconderci, insegniamo agli altri che anche noi siamo stanche, che abbiamo voglia di un abbraccio, che le invidie, le cattiverie ci fanno male, tanto male. Chiediamo aiuto e non sentiamoci per questo inadeguate. Solo gli stupidi pensano di poter reggere il mondo da soli e, noi, stupide, proprio non lo siamo. Proviamoci almeno. La vera forza sta nell’accettare la propria debolezza.

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Cena a lume di candela

Organizzate una cenetta a lume di candela. Senza un perché. Non in occasione di un anniversario, di un compleanno, di una promozione. No no. Un giorno della settimana qualunque. Quando lui non se l’aspetta. Apparecchiate con cura la tavola. Cucinate qualcosa di semplice che lui adora. Stappate una bottiglia di vino. Coccolatelo e fatevi coccolare. Ritagliate del tempo per voi due. Per parlare del passato e per tessere sogni per il futuro. Per ricordarvi chi siete e cosa vi ha portato fino a qui. Non date mai nulla per scontato. L’amore è una scommessa che si rinnova ogni giorno, non il lento fluire di un fiume da cui farsi trascinare. Una scommessa su cui dovete continuamente puntare e alzare la posta in gioco. Sorprendetelo. Inventatevi sempre qualche cosa di nuovo. Semplice ma speciale. Come voi due. Come il vostro amore.

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Mi fai una foto?

“Mi fai una foto?” Il più delle volte inizia così, con una richiesta innocente accompagnata da battito di ciglia. Innocente solo in apparenza, perché in realtà noi abbiamo già pensato che scatto vogliamo, con quale sfondo e soprattutto abbiamo ben chiaro il risultato desiderato. Che deve essere come l’immagine patinata che abbiamo visto su una rivista, popolare come quella delle blogger su Instagram ma assolutamente naturale e spontanea. Lui prende il telefono, la maggior parte con la stessa voglia che ha quando va dal dentista, e si appresta a scattare. “No, no, aspetta che ti spiego…” eh, caro mio, credevi di cavartela con un clic. E invece. Dopo la spiegazione dettagliata di tutti i particolari, lei si mette in posa e lui scatta. Accade anche che si impegni, per cui le dia indicazioni, spostati a destra, alza il vestito, no, seria no, dai. E intanto noi ci stufiamo. O meglio ci vergogniamo, perché qualche passante ci guarda e non ci va di fare la parte delle vanesie. E mentre lui va avanti, immedesimandosi in Richard Avedon, noi senza pudore, ad alta voce “Ma dai, tesoro, va bene così! Mi hai già fatto tante foto! Dai basta!” Come se fosse stato lui ad avere l’idea. A quel punto lui molla il telefono, noi lo afferriamo e, come da copione, non c’è una foto che risponda ai nostri desideri. Una ha gli occhi chiusi. Uhh, che rughe in quella. Ma guarda, qui sembro ancora più bassa. No no, lì ho gli occhi da pesce lesso. Ovviamente tutte considerazioni che le più educate fanno tra sè e sè, che già tanto che ci ha fotografato. Ci manca che ci lamentiamo e ci siamo giocate la giornata. Poi, mentre non ci vede, selfie di rigore e finalmente ci siamo. Non perfetto, ma nettamente meglio. Conservando però in memoria una delle sue, cosicché si senta fiero del suo lavoro. Amore è anche una foto con gli occhi chiusi, ma scattata con il cuore 😉

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Gli anni difficili

Tu lo sai cosa ho passato. Tu ti ricordi di me tanti anni fa. Quando ero un passerotto affamato di vita ma incapace di vivere. Con questa sacca di talenti in tasca, una specie di zavorra per me che ero uno scricciolo e che non sapevo che farmene.

Tu lo sai che avevo grandi sogni e che adoravo i miti del passato. Le storie degli dei e degli eroi, degli imperatori e dei re, dei grandi uomini che hanno creato il mondo in cui viviamo. Sognavo di poter un giorno afferrare il senso del vivere che loro di sicuro avevano trovato, chi nelle armi, chi nella poesia, chi nell’arte.

E leggevo leggevo leggevo.

E studiavo studiavo studiavo.

Tu lo sai quanto studiavo vero? Ti ricordi che ero una secchiona? E che ti passavo sempre la versione di greco? Perché non mi interessava essere la migliore rispetto agli altri. Io volevo essere migliore di me. Migliore di quello che ero stata fino al giorno prima. E conoscere tantissime cose.

Tu lo sai che volevo imparare tante cose, vero? Ma sai perché? Perché speravo di capire il mondo e così di capire cosa fossi io. Che senso avessi. Cosa ci si aspettasse da me. Quali passi avrei dovuto fare per non sbagliare strada. Quante domande.

Tu lo sai questo? Te ne sei mai accorta? Quando ci sedevamo nello stesso banco e per ore ascoltavamo i prof parlare? No, vero?

Sono sempre stata brava a nascondere. A fingere di essere forte. Impermeabile. A dire che per me andava sempre bene. Bè non era così. Passavo ore a farmi domande e a sedici anni non devi fartene troppe che poi fondi. Io un po’ sono fusa in effetti.

Te lo ricordi? Troppo concentrata sul cervello ho trascurato il corpo. Ma non ho mai mollato. Ed è passato anche l’inferno dell’adolescenza che non tornerei indietro neanche morta. Anni difficili. Anni tormentati. Anni di studio matto e disperatissimo. Ma anni che ora benedico. Perché mi hanno reso la donna che sono.

Tu lo sai cosa ho passato. E ora gioisci insieme a me, senza invidie, senza gelosie. Tanti non lo sanno e non capiscono. Ma non importa. Non devo spiegare a loro. Non devo spiegare a nessuno. Il tempo delle spiegazioni, delle giustificazioni, della paura è lontano.

Ora è tempo di vivere. Di sorridere. Di essere. Io. Semplicemente io.