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cricolli

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I so tutto io

Non ho mai amato i titoli e le etichette.

Ho sempre provato una sorta di fastidio in chi si presentava mettendo davanti un “dottor” o iniziando l’elenco dei suoi meriti professionali. A dire il vero, non mi sono mai piaciuti nemmeno quelli che ostentavano benessere, denaro, vestiti firmati e macchinoni. Ho scritto ostentavano, badate bene, perchè amo le belle cose e ovviamente ritengo fortunati coloro che possono permettersi agi e lussi che a me non sono accessibili. Ma l’ostentazione mi dà l’orticaria.

I so tutto io. Quelli che devono sempre e comunque farsi vedere, nella gioia e nel dolore, in salute e malattia, come se fossero sposati con la necessità di apparire.

Ho sempre creduto in chi è, non in chi si mostra. E chi è, badate bene, viene spesso fuori alla distanza. Man mano che lo conosci, che comprendi la sua profondità, le sue caratteristiche, i suoi talenti. Chi è parla semplice, si adatta a chi ha di fronte, nasconde i suoi titoli per non imbarazzare l’interlocutore, mette a proprio agio.

Adoro le persone intelligenti, ascoltare chi ne sa più di me, imparare ogni giorno qualche cosa di nuovo, da chiunque.

Non ostentate ma siate.

Non volate troppo in alto, rischiate di fare come Icaro e di finire in mare.

Regalate agli altri ciò che siete e crescete nel continuo scambio di conoscenza.

Non stancatevi mai di mettervi in ascolto e di imparare.

Siate veri. Al 100%. Sarete più vulnerabili, lo so, ma fingere è un lavoro che alla lunga logora. E, davvero, non ne vale la pena.

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La tempesta dentro

Giorni in cui dentro di te hai la tempesta. Anche se fuori splende il sole e tutto scorre al meglio. Anche se sei in un momento tranquillo e navighi in acque tranquille. Colpa del cervello. Sì del cervello che non smette mai di chiedere, di interrogare, di cercare di spiegare, prevedere, organizzare. Quel cervello che cerchi di spegnere allenandoti in palestra, ma non sempre ci riesci. Quel cervello che sovraccarichi di impegni quotidiani per allontanare il tempo di pensare eppure lui ti frega lo stesso. Quel cervello lì, che adesso cerca di comprendere che via seguire e quali pedine muovere. Perché sei sola e tocca a te farlo. Tu sola puoi decidere della tua vita. E in fondo non è ciò che hai sempre voluto? Non eri tu quella che voleva vivere libera da condizionamenti? Eccoti qui. Seduta ad un tavolo, le mani tra i capelli, i pensieri così affollati da far rumore. La tempesta dentro. La stanchezza di correre come il criceto nella ruota e la sensazione di non arrivare da nessuna parte. La percezione netta di avere i talenti in tasca ma di non sapere bene come spenderli. Sospesa. Stanca. Dubbiosa. Ti odi quando sei così. Passerà. Arriverà l’idea giusta e sarai di nuovo come il giorno che nasce. Con l’energia potente degli inizi. In fondo è questo che ti da forza, quella instancabile voglia di dare un senso a questo viaggio magico che è la vita e di non lasciare che ti scivoli addosso come le gocce sui vetri. Perché vivere è un vizio che non vuoi smettere mai.

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Il mio senso per i social

Mi sono messa a nudo sulla rete. Ho raccontato la mia vita, i miei sogni, le tante cadute, i pianti. L’ho fatto per un bisogno personale, come se, raccontandolo, lo ascoltassi anche io e imparassi ad accettarlo. Internet è stato per me terapeutico, perché mettermi così in mostra mi ha fatto superare tante, tantissime fragilità. Non è stato facile ma mi ha fortificato. Mi ha anche aiutato a superare la solitudine, quando chi amo era via, nei pomeriggi in cui lavoro, lavoro, lavoro e non arriva neanche un messaggio da un’amica, alla mattina presto e alla sera tardi, quando i conti con l’anima si fanno più pesanti. Ora questo bisogno non c’è più, ho fatto pace con i fantasmi, con il mio corpo, con la mia vita. Sono diventata grande e tante cose sono scivolate via. Mi trovo quindi a chiedermi il perché di essere nei social, di pubblicare foto, brani, sensazioni. E la domanda è ricorrente e resta lì, appesa, mentre i giorni passano frenetici. Non ho fini economici nè pretese di visibilità. Pubblico per ridere. Per far vivere Lacolli. Per diffondere cultura. Per spingere allo sport. Ma è tutto meno necessario. Triste vero che io abbia avuto bisogno della rete per buttarmi fuori? Già. Ma quando sei circondata dal silenzio e dall’idea sbagliata che gli altri hanno di te un modo lo devi trovare. Perché scrivo questo? Perché si scrive tutto e si pubblica tutto. E perché io un mio senso per i social ce l’ho. Vi invito a trovare il vostro perché tutti impariamo ad usarli e non, come spesso accade, ad essere usati.

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Adolescenza

Avere un adolescente in casa è un continuo allenamento per l’autocontrollo. L’hai creato tu, ma a volte vorresti disintegrarlo. Perché un adolescente ha il magico potere di farti incazzare come non mai e un attimo dopo sorprenderti con le intuizioni della sua età. Con la sua creatività. Con la bellezza di un periodo che è cambiamento continuo. Lo guardi e non ti sembra vero che quello spilungone brufoloso sia proprio uscito da te. Lo riempiresti di baci. E un attimo dopo sputi le tonsille a furia di urlargli dietro. Perché è disordinato. Perché ti sfida. Perché fa esattamente il contrario di quello che gli consigli. Una psicologa mi ha detto che hanno bisogno di sperimentare e che noi genitori dovremmo essere come materassi che si adattano a loro, fermi nell’educazione ma attenti ai loro bisogni. Io più che un materasso mi sento spesso un divano, su cui lui salta senza togliere le scarpe. Ma lo adoro. E se non mi fa partire le coronarie, tra qualche anno l’adolescenza sarà passata e io forse la rimpiangerò. Forse.

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Abbasso la perfezione

Mi sono voltata a guardare la mia vita e ho visto una corsa. Continua. Una rincorsa per cercare di esserci sempre. Per i genitori, per i figli, per il marito, per i colleghi, per gli amici. Per tutti. E non esserci tanto per, ma esserci con tutta me stessa. Una vita alla rincorsa della perfezione. Alla soddisfazione delle aspettative. Le dannate aspettative. Brava a scuola, ma non basta. E allora bravissima. Educata e sorridente. Anche quando avevi il fanculo in canna. In orario, sempre. Mai uno sgarro o una bugia ai genitori. Nessuna droga. Nessuna pazzia. Nessuna trasgressione. Che noia? Sì che noia. Precisa al lavoro, corretta, senza fare sgambetti. Solo quello che puoi raggiungere con le tue forze. Giusto. Una vita a cercare di mettere davanti sempre gli altri. Anche quando questo vuol dire sacrificare il tempo per te stessa, le tue aspirazioni, la tua voglia di libertà. Infelice? No no, felicissima. Davvero. Perché la vita è così bella che non vale la pena di essere infelici. Però, se guardo indietro, mi rendo conto che, per quanto io abbia fatto, disfatto, rinunciato, lottato, costruito, c’è sempre un ma. Qualche cosa che non ho fatto come si deve. Il tono della voce sbagliato in quella occasione, che ha ferito chi ti stava di fronte. Un “non posso” non tollerabile da te che puoi sempre. Uno sbuffo invece di un sorriso. E sempre questa pretesa che tu sia sempre al posto giusto al momento giusto, mentre intorno a te si tollerano comportamenti pazzeschi, gesti senza senso, risposte maleducate. Ma gli altri possono. Mi sono voltata indietro. E poi ho guardato avanti. Senza correre. Nè rincorrere. Stanca di darmi da fare per arrivare ovunque. Convinta di arrivare dove io voglio andare. E se qualcuno sarà scontento, bè, pazienza.

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Il Covo

Io al Covo ci andavo. Il Covo di Santa. E quale se no? Che per i non addetti alla movida del Tigullio è il Covo di Santa Margherita Ligure. Ci andavo quando ero una ragazza e soprattutto quando trovavo il passaggio. Trascorrevo le vacanze poco lontano, a Sestri Levante, e le mie serate in discoteca erano alla Piscina dei Castelli o allo Schooner. Parliamo di una relativa preistoria, gli anni ‘90. Il Covo di Santa era un posto un po’ per fighetti, lo stesso nome va pronunciato con quella cadenza da “mi consenta” che sa di Rolex, macchinone, tiriamocela che tanto possiamo. Ecco, a me non sono mai piaciuti i fighetti, mai fatto effetto il tipo montato, ma il Covo era bello, c’era tanta gente, d’estate, si ballava, si prendevano le prime ciuche, insomma “sapore di sale” in versione Tigullio. Ho pure visto un concerto di Baglioni al Covo, lì, a cantare questo piccolo grande amore in riva al mare. Vedere le foto oggi mi dá i brividi. Lo ricostruiranno, certo. Ma in questo momento è come se fosse stata spazzata via parte della mia gioventù. Come se mancasse un pezzo al puzzle del mio passato. E sono triste.

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Odio il vento

C’è vento stasera. Un vento forte. Fortissimo. E a me non piace il vento. La brezza sí, quella leggera, che solleva appena i vestiti o che ti coccola in riva al mare. Il vento no. Mi infastidisce quello suo scompigliarmi i capelli. Quel suo sollevare le foglie e trascinare via tutto. Quel suo spirare gelido, portando con sè spilli di ghiaccio, lassù sulle mie montagne, vento sul corpo, vento sul viso, vento fin nell’anima. Mi fa paura questo ululare che sento fuori dalla finestra, qui, sotto le coperte, come un animale spaventato dalla tempesta. Dicono porti cambiamento il vento, dicono. Potesse spazzar via tutte le grane di questo nostro Paese, restituire serenità a chi arranca a fine mese, rendere sereno un clima che da troppo tempo cova rancori ad ogni angolo! Potesse fare quello, allora sopporterei anche la cervicale che puntualmente mi tormenta quando lui arriva. E anche quella irrequietezza che lo preannuncia. Perché io il vento lo sento. Dentro. Fin dal giorno prima. Quando tutto è in pace, sento un moto interno e capisco che lui sta correndo da me. Amante non corrisposto. Per niente. Dispettoso, irriverente, noioso, dannoso. Il vento.

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40enni

I 40 anni sono un punto di svolta per noi donne. Inutile negarlo. Non so cosa succeda a livello fisico e mentale, ma sono davvero in poche quelle che passano indenni al salto di decennio. Un po’ come succede agli uomini verso i 50, che, si sa, loro arrivano sempre un pochino dopo. E non è neanche un male, se ci pensiamo bene. Ora, le quarantenni e dintorni hanno l’argento vivo addosso. Le vedi, che sono irrequiete, che vogliono uscire, piacere, prendere la propria vita e stravolgerla, sentirsi indipendenti, dare un calcio a convenzioni, moralismi, al non si fa e al non si dice. A maggior ragione se sono diventate mamme intorno ai trenta, per cui hanno passato gli ultimi dieci anni a pulire culetti (sì, diciamo culetti perché dei nostri bimbi anche la cacchina è santa e profumata), a fare pappe, a non dormire la notte, ma non perché impegnate su un cubo in discoteca, a parlare e sparlare di maestre, tate, pediatri. Insomma un decennio a vivere per gli altri. Cercando di essere sempre al top, di non far mancare nulla a nessuno, marito, compagno, figli, genitori, datori di lavoro. È la fase “Santa subito” di noi donne. Chi non ha avuto figli, d’altra parte, ha vissuto prima dei quaranta la rincorsa di una carriera, la voglia di affermarsi, il cercare di essere meglio e ancora meglio per dimostrare di valere. E così via. Ecco, comunque tutte, abbiamo cercato per quattro decenni di dimostrare quanto siamo brave. Agli altri. Per poi magari piangere dal nervoso la sera nel letto prima di dormire. A un certo punto qualcosa scatta dentro. Un fanculo grande come una casa. Un basta con tremila a. E iniziamo a pensare a noi stesse. Solo che siamo donne. E quando scoppiamo siamo un’eruzione esplosiva, senza freni. Non ci ferma più nessuno. Iniziamo a prenderci cura di noi stesse, ma in maniera quasi ossessiva. Passiamo dal look tuta da ginnastica sette giorni su sette al look tigre del ribaltabile anche per andare al supermercato. Proviamo tutte le diete del mondo, da quella del pompelmo a quella Ducan, diventiamo vegane, poi crudiste, poi facciamo digiuno intermittente e identifichiamo come nemico numero uno i carboidrati. Da animali da divano, diventiamo le regine del Fitness, salvo poi spararci dose massicce di Aulin, che la nostra mente è in fibrillazione ma il nostro corpo non capisce più un tubo. Mettiamo in discussione rapporti consolidati, ci beiamo dei complimenti del primo pirla che nota il nostro nuovo taglio, perché noi vogliamo vivere, non vegetare come hanno fatto le nostre mamme. Devo andare avanti? Ci siamo passate tutte, no? Poi, pian piano, il più delle volte la situazione rientra, e prima dei 45 siamo tornate in noi e ci prepariamo alla crisi dei 50 dei nostri uomini, che inizieranno a fare apprezzamenti alle ventenni, a tingersi i capelli, a vestirsi come i tronisti di uomini e donne, peccato che abbiano il fisico di Vito Catozzo. E sia. Invecchiare è dura, ragazze. Cerchiamo almeno di non renderci ridicole e ricordiamoci che 40 restano 40 e non si dimezzano perché ci siamo fatte un po’ di botulino o siamo entrate nei pantaloni che mettevano a vent’anni. Viviamo il presente, intensamente sí, ma senza bruciare tutto troppo velocemente. La vita va assaporata, non trangugiata.

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Delusa

Ci ho creduto. Mi sono impegnata. E alla fine mi sono trovata con un pugno di mosche in mano. Anzi, con il portafoglio vuoto e la sensazione di aver perso solo tempo. Perché capita. Se sei uno che vuole arrivare, capita spesso. Perché si deve investire mille per ottenere forse uno e il rischio è la via per il successo. Lo so. Lo dico anche agli altri. Ma quando capisci di aver fatto un buco nell’acqua, ti girano immensamente. Ti senti delusa e un po’ presa in giro. Perché si promette tanto e si celano accuratamente i dettagli negativi. Avete presente quei contratti scritti a caratteri piccoli piccoli così da nascondere le clausole poco piacevoli? Ecco, la vita è spesso così. E ogni tanto ti frega. Delusa oggi, un po’. Ma in fondo se non avessi tentato avrei sempre avuto il dubbio, il rammarico di non mettercela tutta. E invece io ci provo sempre. E lo farò ancora, e ancora. Imparo dalle delusioni ma non mi fermo. Sedersi è il primo passo verso l’insuccesso. Recriminare inutile perdita di tempo. Piangersi addosso un atteggiamento che non mi appartiene e che non porta da nessuna parte. Vado avanti come sempre, senza cercare scorciatoie e senza illudermi di veloci successi. Sempre con il sorriso, ovviamente.

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Leggere

In questi giorni sto avendo la splendida occasione di incontrare tanti scrittori, di attraversare con loro la storia e le storie, di percorrere le vie infinite della letteratura. È per me come essere in un parco dei divertimenti perché leggere è ciò che mi appassiona da sempre. La lettura nutre, fa viaggiare, insegna, diletta, porta via per un po’ dalle brutture del mondo. Leggete. E sarete uomini e donne migliori. ❤️📚