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cricolli

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Io

Una vita a cercare di essere come gli altri ci chiedono. Educata, composta, tranquilla da piccola.

Studiosa, volenterosa, pudica da ragazza.

Moderata, perbene, sorridente da adulta.

Disponibile, comprensiva, buona ascoltatrice nelle amicizie.

Passionale, fedele, comprensiva nell’amore.

Riconoscente, paziente, affettuosa con i genitori.

Corretta, puntuale, ordinata nel lavoro.

Autorevole, amorevole, amica con i figli.

Ad un certo punto ti rendi conto che tutti questi aggettivi hanno disegnato il profilo di una donna stucchevole e perfetta, quella che certo non vuoi essere.

Prendili e buttali via.

Sacco nero, indifferenziata.

E sii semplicemente te stessa.

Indefinibile, incasinata, inafferrabile.

Untaggable, per dirla all’inglese.

Hashtag sono come sono.

Scoprirai che agli altri andrai bene lo stesso e tu finalmente ti sentirai nella tua pelle.

Viva, vera, forte.

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San Valentino (banalmente)

Buon San Valentino. Che non si deve amare un solo giorno, ma è bello che ci sia un giorno dedicato all’amore.

Buon San Valentino a chi è solo, a chi cerca l’amore, a chi porta nel cuore chi non c’è più, a chi aspetta una mano da stringere forte.

Buon San Valentino a chi vive un amore malato, a chi non conosce baci ma solo carezze troppo pesanti, a chi vorrebbe scappare ma non ci riesce, perché sappia trovare la via della felicità.

Buon San Valentino ai ragazzi che si baciano agli angoli delle strade e sulle panchine, l’amore è questo, ricordatelo, fatto di carne e ossa e non di immagini o suoni virtuali.

Buon San Valentino a chi odia, a chi non conosce il senso del perdono, a chi vive egoisticamente, a chi non sa amare. State perdendo il senso della vita. Perché una vita senza amore è come un corpo senza testa: vuota e disanimata.

Buon San Valentino ❤️

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Fiore

Oggi ero triste. Anche ieri lo ero. Giornate in salita. Difficoltà a capire e a capirsi. Momenti in cui l’armatura si sgretola e ci ritroviamo dubbiosi su tutto, sulle scelte, sui sorrisi, perfino sul gusto del gelato con cui cerchiamo di consolarci. Poi arriva a casa lui. Con in mano una rosa rossa, come il principe venuto a svegliare la bella addormentata. A dirle che ci sono dei qui ed ora che dimostrano chi sei davvero e che spazzano via ogni tristezza. L’amore nelle piccole grandi cose quotidiane è la nostra ancora nel mare in tempesta di questo mondo difficile.

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Io sono Mia

La storia di Mia Martini ha molto da insegnare. A tutti noi. Ci deve insegnare che la cattiveria e l’invidia potranno affossarci ma, se saremo tenaci e onesti, dimostreremo che siamo più forti. Ci insegna a dosare le parole, perché ci sono animi fragili che da un aggettivo o da un’espressione possono essere emotivamente distrutti. Ci insegna a lottare per i nostri sogni, perché, anche se non li realizzeremo, avremo comunque un motivo per vivere. Ci insegna ad andare avanti, anche quando tutto sembra finito. Lei è stata distrutta dal dolore: ecco, non permettiamo che questo succeda a noi e alle persone che ci circondano. Non sparlate, non calunniate, non invidiate. Quello che fate ad altri potrebbe essere fatto a voi. Ricordatelo. E siate sempre corretti. Anche se il mondo, oggi, sembra insegnare altro.

#miamartini #iosonomia

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Addii

Ti ho dato tutto ciò che potevo. Ho sacrificato me stessa, la mia famiglia, il mio tempo libero. Hai impegnato la mia mente anche quando non ero con te, pensando a come aiutarti, soffrendo con te, gioendo con te, vivendo in un’empatia che è propria dei grandi amori. Forse non era la strada giusta, forse il destino la pensa diversamente, forse forse forse. Non c’è più nulla tra di noi, se non il ricordo di emozioni e lacrime, sogni e abbracci, un ricordo che cerco di allontanare, perchè fa male come aghi nella pelle, che entrano pian piano e scavano nel profondo. Ci sono finali che non ci piacciono e allora proviamo a riscriverli, ma sono e rimangono finali. Con i titoli di coda in cui ho sperato di leggere il suggerimento di un nuovo inizio, ma ho visto solo il silenzio di chi ormai è lontano. Buon viaggio e che la vita ti regali i sorrisi che mi hai negato.

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Io ci credevo

Non commento il vincitore di Sanremo, non ho gli strumenti critici e musicali per farlo. Non mi piaceva quella canzone, come molte altre dei giovani, ma forse sto invecchiando e un certo tipo di musica non la capisco. Per me la vincitrice é stata Loredana Berté, con i suoi capelli azzurri, due gambe ancora da urlo e la borsina a tracolla. Ma soprattutto una voce che graffia più che mai, che entra dentro e che ci fa urlare insieme a lei “che cosa vuoi da me?”. Standing ovation ad ogni puntata. E non è un caso. Credevo vincesse lei, sí “io ci credevo, io ci credevo sì, ci vuole soltanto una vita per essere un attimo….”

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Come me

Quelle come me sono sempre in cerca di approvazione. Non vogliono applausi, no. Hanno bisogno del cenno di un amico, dell’abbraccio di un genitore, del sorriso di chi le incontra per strada. Perché quelle come me non si bastano mai e ci vuole un niente per renderle insicure, una parola, un gesto distratto, una dimenticanza. Quelle come me sono sempre alla ricerca di qualche cosa. Non sanno bene cosa, ma vanno sempre oltre. Oltre il presente, oltre le facili soddisfazioni, oltre ciò che è a portata di mano. Agiscono ma già pensano a cosa verrà dopo. E allora quelle come me hanno spesso la sensazione che la vita sfugga di mano, perché guardano sempre al domani e non si godono l’oggi. Quelle come me sanno amare in un solo modo. Con il corpo, con l’anima, con il cuore. Provano sentimenti forti e sono sensibili, troppo sensibili. Quelle come me piangono tanto, di rabbia, di dolore, di delusione, ma le vedrai sempre sorridere, perché hanno imparato a contagiare il mondo con la loro gioia, non con il loro pianto. Quelle come me non cambieranno mai e ogni notte si domanderanno se la strada che stanno percorrendo sia quella giusta. Chissà. Intanto viviamo, penseranno, e forse un giorno ci capiremo qualche cosa. Forse.

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San Remo

Quando ero una bambina, il festival di San Remo era vissuto a livello condominiale. Ci si trovava a casa di uno o dell’altro, le mamme bevevano il caffè, poi ognuno prendeva foglio e penna e si davano i voti ad ogni canzone. Ricordo una vicina che, ogni volta che usciva Cristian con il suo sorriso a 50 denti, gli dava 10 prima ancora che l’orchestra iniziasse a suonare. E quella che, dimostrando un intuito degno di un talent scout, aveva dato 10 a Vasco nel 1983, quando con Vita Spericolata si era classificato penultimo. Non vi dico i commenti su vestiti, acconciature, trucco, oltre che sulle canzoni. Perché San Remo è un evento unico e sinceramente non capisco lo snobismo di molti che “ah io San Remo non lo guardo” “ah neanche so che canzoni ci sono” “ah che noia”. A parte che è impossibile che non sentiate le canzoni, perché dovreste non accendere la radio da oggi a fine maggio. Se non volete guardarlo, che bisogno c’è di scriverlo? Leggetevi un libro e bon. Io San Remo lo guardo. Con penna, foglio e anche il cellulare per leggere i commenti sui social e i whatsapp della mamma. E poi, quanto è figo Matteo Bocelli?!?!?

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Tacco12

Le scarpe con il tacco danno alle donne quell’andatura incerta che le fa sembrare sempre sull’orlo di un precipizio. Un misto di fragilità e sicurezza, di grazia e audacia, che le rende terribilmente attraenti. Il tacco 12 è l’estensione naturale del cervello di una donna, il suo dirti barcollo ma non mollo, anzi avanzo sicura e sono pronta a conquistare il mondo.

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La ragazza sul tappeto

Aveva i capelli lunghi, raccolti in una coda. Gli occhi erano neri, piccoli ma intensi, veloci e irrequieti. Correva su quel tapis roulant come se fosse seguita da un branco di lupi. Ma i mostri li aveva dentro. Quei mostri che avevano iniziato a tormentarla un anno prima e che all’inizio sembravano i migliori amici possibili. Erano apparsi d’improvviso una mattina, mentre si guardava allo specchio, prima di andare a scuola e le avevano fatto notare che quei pantaloni sarebbero stati meglio se le gambe fossero state più sottili. Erano tornati poi il giorno dopo, mentre studiava,e le avevano fatto notare il giornale di moda della mamma, con quelle modelle filiformi. Avevano iniziato a sfidarla, lei, che era la prima della classe, la figlia modello, così perfetta agli occhi degli altri, ecco, lei, perché non prendeva controllo del suo corpo? Perché non lo modellava come dicevano le sue amiche? In fondo era facile. Era determinata. E ci sarebbe riuscita. E poi avrebbe dimostrato a tutti che valeva, che era bella, perché aveva sempre pensato di essere trasparente. Ecco, ora l’avrebbero notata. Aveva iniziato a togliere il pane, poi la pasta, poi il gelato che le piaceva così tanto. Aveva iniziato a godere del senso di fame e di stordimento, della testa che girava, delle ossa che si sentivano sull’addome, la sera, prima di dormire. I suoi se ne erano accorti ed erano iniziate le battaglie. Questo l’aveva incoraggiata ancora di più. Li avrebbe fregati quei due, loro, con le loro idee vecchie, con le loro imposizioni, con le loro buone maniere. Mangiava e vomitava. Mangiava e prendeva lassativi. E intanto si spegneva. Non nel corpo, quello sembrava trovare risorse nei suoi diciassette anni. Nel viso. Negli occhi. Nel sorriso. Era sparito da quel bel viso con il naso all’insù. Fin quando un giorno si accorse che non ce la faceva più. Che l’ossessione era insopportabile. Che pensava solo al cibo e a come non mangiarlo. Era un’incapace. Incapace anche di morire. Questo pensava di se stessa piangendo ma per fortuna aveva chiesto aiuto. Pian piano aveva cominciato la terapia e a mangiare di nuovo. Ma era una montagna altissima. E lei inciampava di continuo. Con il tempo aveva capito che lo sport l’avrebbe aiutata ma, nello stesso tempo, continuava a ingannare se stessa. Ecco perché correva su quel tappeto. Perché la pasta della mamma era davvero troppo calorica, perché aveva chiuso con dita in gola e lassativi, ma in qualche modo doveva smaltire. Si sentiva in colpa. Sempre. Con tutti. Con i suoi. Con i dottori. Con se stessa. Con i demoni dentro di lei. Io la guardavo correre e rivedevo me stessa. Avrei voluto dirle qualche cosa ma sapevo che ogni parola era inutile. Corri bambina mia, ma lontano da questa prigione inutile, che ti disegna un corpo fragile, che non ti fa sorridere, che rovina la tua splendida adolescenza. Io so che ce la farai, so che tornerai più bella di prima, so che userai lo sport per ricostruirti e che scoprirai di nuovo quanto è buona una pizza. E da quel momento sorriderai ogni volta che potrai. Sarà così, ne sono sicura.