Avete diritto a vitto, alloggio, indumenti ed assistenza sanitaria. Tutto il resto consideratelo un privilegio.
(Numero 5, Regolamento del penitenziario di Alcatraz, 1934)
Visitare Alcatraz è un brivido continuo, lungo la schiena e sulla pelle. Merito anche della visita guidata attraverso audioguide, che ti immerge nell’atmosfera di quei muri, tra le celle, tra i detenuti. Senti il silenzio, il freddo, le grida. Percepisci la mancanza di aria, luce, libertà. Guardi fuori e vedi San Francisco, bellissima in questa giornata di sole e vento, inarrivabile per chi stava scontando qui la sua pena. E questa doveva essere davvero una tortura, nell’ora d’aria, raramente concessa, vedere come un miraggio quella libertà così vicina eppure irraggiungibile. Delinquenti della peggior specie ma anche ladri, borseggiatori, scappati da altri penitenziari e relegati qui, nel carcere senza via di fuga. Come dice il direttore a Clint Eastwood nel celebre “Fuga da Alcatraz”, “Alcatraz è una prigione che vanta la massima sicurezza e pochissimi privilegi. Noi non creiamo buoni cittadini, però creiamo dei buoni detenuti”. Al Capone ne uscì matto, alcuni tentarono la fuga, nessuno vi riuscì mai. Una visita che fa riflettere. Che fa capire quanto vale la libertà. Quella libertà che ci appare scontata e su cui non ci soffermiamo mai abbastanza. Perché, come scrive Montesquieu, la libertà è quel bene che ti fa godere di ogni altro bene.