Ho fatto il primo tatuaggio cinque anni fa. Era un po’ che ci pensavo ma, come sempre accade nelle decisioni importanti, avevo dubbi e paure. Non del dolore, ma del fatto che fosse definitivo e che andasse a raccontare qualche cosa di me. Alla fine é arrivata lei, la mia manta, su una cicatrice che non era solo segno della pelle ma memoria dell’anima. E con lei, dopo un po’, anche gli altri due, un geco e una libellula. Tutti meditati, elaborati, quasi partoriti. Con un significato ben preciso. Perché amo i tatuaggi, anche vederli sugli altri, alcuni sono opere d’arte e hanno colori stupendi. Però credo che questi segni sulla pelle non debbano essere una esibizione ma qualche cosa che facciamo per noi, prima di tutto per noi. Qualcosa di intimo. E infatti i miei si vedono solo se sono in costume. Concordo in questo con Nicolai Lilin, scrittore e tatuatore, di cui vi consiglio i libri, quando scrive “Nella mia visione del tatuaggio c’è una categoria terrificante: quelli che io chiamo ‘gli spensierati’. Si disegnano addosso di tutto, senza curarsi del significato. Immagini tribali, elementi botanici, corpi celesti, fate, lucertole, scrivono il proprio nome forse per non dimenticare come si chiamano, infilano date di nascita, stelle di ogni forma e grandezza. Non gli importa: vogliono solo farsi vedere e somigliare a modelli visti alla tv. Essere uguali, non peggio e non meglio degli altri, sapere bene integrarsi nella massa, non uscire fuori dal gregge per nessun motivo, essere come tutti. Così finiscono insieme, sulla stessa spiaggia, con gli stessi loghi addosso”.
Complimenti per il fisicaccio! Fai roccia, maratone o sei sempre in palestra? Meglio non sfidarti a “braccio di ferro!”
Palestra, grazie 😊