Seduta sulla spiaggia, di fronte al mare che tanto bene conosco, il sole che sparisce dietro alle case, l’aria che si fa fresca. Una mamma richiama i bimbi, basta giochi nell’acqua, bisogna stare qui, un po’ tranquilli, assaporare la bellezza del tardo pomeriggio sulla sabbia. Accoccolati vicino a lei, mamma raccontaci una storia, siamo nella città delle favole, sì una storia al tramonto in riva al mare è il testo ideale alla musica delle onde che si infrangono sulla battigia. C’era una volta, sì perché le fiabe iniziano sempre così ed è già magia, c’era una volta una principessa che viveva in un castello in riva al mare, un mare lontano, abitato da pesci grandi e di mille colori. La principessa aveva un re e una regina che le volevano bene, tanti vestiti e servi a sua disposizione, ma era sola, senza amici, non fosse per un cagnolino che le aveva regalato un giorno un paggio e che le scodinzolava sempre intorno. E amava il mare, la spuma delle onde che si infrangeva sugli scogli, l’azzurro, il turchese, il verde, il blu, tutta la tavolozza che quella distesa le offriva ogni giorno mentre la guardava, dal suo balcone, con il suo cagnolino a fianco. Spesso si soffermava sulle barche dei pescatori, sul loro lavoro continuo, prima, durante, dopo, sulla loro carnagione riarsa dal sole, sulle mani nodose, sull’abile maestria nel manovrare le loro imbarcazioni. E spesso lo sguardo si fermava su di uno che pescava da solo, rientrava la mattina presto dopo la notte in mare e non si soffermava con gli altri; forse per questo l’aveva attirato, sembrava solo come lei, intento nel suo lavoro. Eppure non era mai riuscita a vederlo bene, sembrava giovane, ma aveva sempre calato sugli occhi un cappello, che non lasciava palesare nulla del suo aspetto. Poi, una mattina, all’alba, affacciandosi ancora in camicia da notte, il pescatore alzò lo sguardo verso di lei e la tavolozza dei colori si tinse tutta di verde, un verde che esiste solo nel mondo delle favole, mille pagliuzze di mille verdi differenti che si fondono in una magia. La principessa corse giù dalle infinite scale del suo castello, a piedi nudi, corse per il cortile, attraversò il portone dell’ingresso, la brezza marina che sollevava le vesti, corse sulla sabbia e se lo trovò di fronte. Avrebbe voluto chiedere che cosa voleva dire vivere il mare, sentire le onde nel cuore, respirare la vita, ma non riuscì a pronunciare parola. Tante domande in tante giornate trascorse su quel balcone si erano in dissolte in quello sguardo. Portami via con te, gli disse. Non posso, rispose. Perché? Io sono il mare tu sei la terra, io mi infrango sui tuoi scogli, a volte invado i tuoi terreni, tu mi impedisci di arrivare ovunque, ma saremo sempre due elementi distinti. Le mie onde baciano la spiaggia, con delicatezza o con ardore, io posso farti sognare, ma solo se tu sei la terra e io il mare. Allora una lacrima scese dal volto della principessa, sulle vesti, fino a cadere sulla sabbia, e scivolare giù giù fino al mare. Lei si spogliò e si tuffò, apparve e scomparve più volte nell’azzurro, uscendo dall’acqua come per volare e rituffandosi nel profondo. Da allora nessuno l’ha più vista ma tutti giurano che ogni volta che il pescatore esce a gettare le sue reti, una manta elegante vola sull’acqua all’orizzonte.
quando mi hai detto “guarda il mio blog, così per ridere” io stupidamente ti ho snobbata rispondendo “adesso lo vedo poi vado sui porno”. invece non posso esimermi dal complimentarmi per lo straordinario uso del linguaggio e degli argomenti che hai, non sono solo solo le cose che ti stanno passando per la testa, per quanto magari lo siano davvero. sono lezioni di giocoleria delle parole e delle emozioni, e a me le giocolerie di parole e di emozioni piacciono un sacco. bel colpo! adesso però vado sul porno, ciao. sandro passi