Mattina di primavera. Sole, cielo terso, un’arietta frizzantina che tonifica. La primavera, finalmente. Basta piumini, sciarpone, guanti, anfibi. Hai voglia di vestiti leggeri e soprattutto di tacchi. Alti. Una passione di lunga data, da quando eri un’adolescente sotto misura con una passione per il basket. Per i ragazzi del basket. Una passione che da vent’anni è necessità di colmare i trenta centimetri che ti separano da tuo marito. Si ok. Sono scuse. Un tacco dodici è un tacco dodici. E uno è diverso dall’altro. Ecco perché ne hai sempre bisogno un paio nuovo, perché così non ce l’hai, perché così si abbina al panta giusto, perché quello ti serve assolutamente. E sogni una di quelle scarpiere dove poterli mettere tutti in fila, così da poter dire la frase che tutte noi amiamo alla follia “non so cosa mettere”…ci avete pensato? Siete anche voi quelle della valigia che devi sederti sopra se no non si chiude? In ginocchio? E che quando l’avete chiusa inevitabilmente da un lato esce il lembo di una maglietta e la dovete riaprire? Ecco tutto questo viene fatto solo perché così in vacanza potremo guardare schifate il nostro bagaglio e dire “ecco! non so cosa mettere? Che dici? La maglia blu o la canotta rossa?!?”…anche per le scarpe. Ma questa mattina è troppo bello e mi sento sicura. In due minuti mi vesto, jeans, giacchina e una bel tacco sottile, alto. Senza calze. Perché il gambaletto no, grazie. Esci e dopo cento metri sai già che ora di sera avrai la circolazione delle dita dei piedi azzerate e almeno due vesciche. Ma ti senti in forma. Cammini spedita perché sei abituata così. Anche se è innegabile che il crampo al polpaccio è quasi assicurato. Ti sbirci nelle vetrine e questo aumenta a dismisura la tua autostima. Arrivi in centro. Il porfido è in agguato, non importa, cammini sul marciapiede e ogni due minuti saluti qualcuno, perché è l’ora di punta e tu conosci tutti. Arrivi sul corso principale, caffettino nel bar dell’angolo, te lo offrono pure, ovvio con dei tacchi così. Esci e attraversi sulle strisce. La coda di macchine si ferma e ti lascia passare. Sulle strisce. Sul porfido. Un tacco si incastra tra un sampietrino e un altro. Non rallenti. Ti è già successo, basta tirare. Ma stavolta non viene. Uno strattone. E tu ti ritrovi con il tuo piedino fresco di pedicure sul porfido e la scarpa incastrata. Ohibò. Velocemente ti chini e a fatica recuperi la décolleté. Alzi lo sguardo e fai un cenno con la mano all’auto ferma per scusarti, quello al volante scrolla la testa. Zoppicando raggiungi l’altro lato della strada. Testa bassa. Autostima meno quindici. Infili il tacco e riparti. Perché l’importante è crederci. E tu ancora ci credi. Arrivi in ufficio. Al terzo scalino ti senti molleggiata, lo strattone è stato troppo forte, il tacco si piega e ti abbandona. E tu rimani lì, dodici centimetri di differenza tra una gamba e l’altra, una giornata da trascorrere in quelle stanze. Fingere di avere tutti e due i tacchi e rischiare di passare per matta oltre che una lesione al polpaccio? No. Stare seduta tutto il giorno? Impossibile. Alla fine opti per la versione figlia dei fiori. Scalza. Senza calze. In fondo ti piace stare a piedi nudi. Tiri fuori la camicia dai pantaloni. Look anni settanta. Ti convinci che farai tendenza. Perché l’importante è crederci. Essere sicuri di sè. E tu. Bè. Sì, cioè, in che senso?!
Questo racconto é bello da morire dal ridere! Ti ho immaginata! Io i tacchi così alti non li so proprio portare e già con un sobrio tacco, non so nemmeno dirti quanto alto, coi cuogoli di Padova impazzisco e li rovino tutti! Baci
Ahahah Simona, è una questione di allenamento…e di masochismo!! Baci!!