Estate. Di nuovo. Con le giornate lunghe e le albe luminose che mi buttano giù dal letto che in realtà è ancora notte, perché quando imparerò a tirare bene giù le tapparelle sarà davvero troppo tardi. E così ti svegli con quel raggio di luce poetico che ti colpisce gli occhi, e un po’ ti senti come il Giovin Signore del Parini, peccato che per lui fosse mezzogiorno, per te le cinque e non è un piacere. E ti giri e ti rigiri, a quel punto tanto vale accoglierla questa estate, il giorno più lungo, alla finestra, con il sole che sorge dietro al condominio di fronte e solo tu con la tua fantasia pensi di essere un druido a Stonehenge e vedi la poesia in un’alba Lomellina di una domenica mattina davvero troppo assonnata per essere goduta a fondo. Estate. Di nuovo. Mare salsedine sabbia e la sensazione del corpo che si risveglia. Del sole che penetra così in fondo e scalda anche gli angoli più freddi, e ti scaldi così tanto che al solito ti scotti, perché sei quella che annulla in due giorni mesi di antirughe e trattamento viso, che altroché protezione adeguata, acceleratore che se non sono nera nera non è estate. Fa niente se dopo una settimana sarò come un rettile del Sud America, e se il naso sarà spellato fino a settembre, e se la ruga sulla fronte sarà sempre più profonda. In fondo in quella ruga c’é la bellezza di tutte le estati passate, degli occhi strizzati a fissare il cielo assolato, delle ore a leggere mentre il mare risacca la sua melodia, dei mille pensieri che l’estate porta con sè, leggeri e azzurri come il colore del mondo. Estate. Di nuovo. Sulle note di un concerto rock, che è quello di uno stadio che ondeggia di mille luci, ma anche quello del mio cuore, che non sa battere al ritmo barocco di uno spartito vivaldiano, ma risuona sempre come i piatti della batteria di Will Hunt, e non sempre è facile ballarci a ritmo. Estate. Di nuovo. Benvenuta…