Come stai?
Sto abbastanza bene dai.
Nel senso che il virus non ha ancora bussato alla mia porta e a quella della mia famiglia. Ho il frigorifero pieno e una casa accogliente. Posso gestire il mio lavoro da casa e abbracciare i miei figli tutte le volte che voglio. Ho un buon rapporto con mio marito e questa situazione rafforza la nostra unione, perché stare insieme ci piace e non ci pesa affatto, anzi.
Un idillio, quindi. No?
No.
Perché non sto bene, fingo.
Non sto bene perché il cuore sanguina al pensiero dei troppi morti e solo quando arriverà la notizia che non ce ne sono più, ecco solo allora ricomincerò a respirare.
Non sto bene perché mi sento impotente. Vorrei fare di più, ma l’unica cosa che posso e devo fare è stare a casa. Cosa che odio nel profondo.
Non sto bene perché penso a chi ogni giorno rischia la vita al lavoro negli ospedali, nelle case di riposo, sulle ambulanze, ai tanti amici e conoscenti, e ogni sirena ho il cuore in gola.
Non sto bene perché non riesco a fare progetti. Il virus si è portato via i miei sogni e mi ha lasciato solo gli incubi ricorrenti, gente con mascherine, gente nei letti d’ospedale, gente separata da vetri che non si può abbracciare.
Non sto bene perché mi mancano le mie giornate frenetiche e l’energia ogni giorno di affrontare la vita con entusiasmo.
Non sto bene perchè ogni tentativo di reagire, vestirsi, truccarsi ha un sapore amaro, che vanifica ogni sforzo. Un pagliaccio, un joker, insomma, che dietro il sorriso nasconde un abisso.
Mi chiedi come sto.
Sto.
Punto.