I miei figli, adolescenti liceali, non usano più il diario scolastico. Quest’anno mi hanno detto che non lo acquisteranno, perchè tanto c’è il registro elettronico e non ne hanno bisogno. Ai miei tempi, tra gli anni ’80 e ’90, il diario era invece fondamentale. Non solo per segnare compiti e lezioni, ma perchè accompagnava ogni giorno, raccoglieva frasi, oggetti, immagini.
Il mio diario era la Smemo e la comperavo a giugno, perchè andava a ruba e perchè, in questo modo, avrei potuto già iniziare a scriverci durane l’estate.
Disegni, canzoni, ritagli di giornale, cannucce, biglietti dei concerti, ingressi in discoteca, ma anche le frasi memorabili dei prof, le tracce degli amori eterni, che duravano una settimana, rabbia, paura, ansia, amicizia. C’è tutto in quelle Smemo, vere testimonianze materiali di anni complessi eppure indimenticabili. Ci sono anche tante fotografie, qualche polaroid, un po’ sfuocate, mai in posa, che non c’era il digitale, nè photoshop e i rullini costavano per essere sprecati.
Puntualmente, a dicembre la Smemo non si chiudeva più, spesso si staccava la copertina, ma questo dava l’idea del vissuto, del reale. E allora ci si ingegnava con elastici colorati, nastri, fiocchi, in una gara a chi la rendeva più bella e soprattutto unica.
Passavi dai corridoi, buttavi gli occhi nelle classi ed eccole lì, sui banchi verdi con il buco per il calamaio, a colorare le ore di inverni troppo lunghi e ora così lontani. Che belle le nostre Smemo e che bello sfogliarle oggi, a più di trent’anni di distanza, a ricordarci ciò che eravamo e ciò che ci ha resi ciò che siamo ora.
Che, in fondo, tutti noi non siamo altro che il diario colorato della nostra stessa vita.