Un venerdì di un aprile qualunque. Che poi non è un aprile qualunque, ma il terzo di pandemia. L’”andrà tutto bene” è stato convertito in “speravo meglio, il “saremo tutti più buoni”, in “mors tua vita mea”, con buona pace di arcobaleni ai balconi e bandiere italiane. Un aprile di guerra, di siccità, di crisi economiche. Che mai una gioia è un mood planetario e alla fine ci siamo pure abituati alla resilienza, che mi piaceva così tanto come parola e ora, come tutti i termini abusati, mi porta effetti allergici più del polline e del lattosio.
Ma iniziare con un venerdì di un aprile qualunque fa molto scuola di scrittura creativa, per cui lo lasciamo lì. Tempo incerto, che pure la pioggia non prende posizioni decise, come i nostri parlamentari, tre gocce per gli agricoltori ma abbastanza per non far arrabbiare chi odia gli ombrelli. Un venerdì grigio insomma.
Che la voglia è di chiudersi in casa, spegnere tutto e leggere. Eppure la vita chiama, chiama forte. Ci provi a tenerti lontano dalla mischia, ma è più forte di te. Vivere vuol dire esserci, rinnovarsi, accettare le sfide, metterci la faccia. E allora via le ciabatte, su i tacchi, il sorriso migliore, un velo di trucco e andiamoci a prendere il futuro. Senza girarsi indietro. Perché il passato mi ha reso ciò che sono ma è l’oggi che conta per costruire quel futuro che, nelle sue incognite, è adrenalina pura. Venite con me?