Ho rivisto il video di un mio saggio di danza moderna di trent’anni fa. L’altro ieri, praticamente. Era il 1990 e avevo 15 anni. Non lo rivedevo credo da più di vent’anni e, sinceramente, non me lo ricordavo. Dopo due minuti, però, mi sono trovata a ballare gli stessi pezzi e a rifare esattamente le splendide coreografie della mia insegnante, Patrizia Lanza. Altrochè Franco Miseria, la Patty ci sapeva fare, tenendo conto che doveva gestire uno stuolo di bambine e adolescenti ormonalmente confuse e non tutte propriamente portate per la danza. Anche mio marito, in genere terribilmente critico e per nulla amante della danza, è rimasto sorpreso. Anvedi la Colli come sculettava sul palco dell’Odeon di Vigevano, non l’avrei mai detto. E, devo confessarvelo, la vista di quello spettacolo ha fatto partire una serie di seghe mentali in puro stile Colli, che hanno fatto lavorare il mio cervello per tutto il sabato sera. Primo. Ero convinta di essere una schiappa a ballare, una sorta di plumcake con i riccioli, che sentiva il ritmo, ma non riusciva ad esprimerlo. E invece, dai, non ero Heather Parisi, ma nemmeno andavo a destra mentre le altre andavano a sinistra. Secondo. Ero davvero carina. Voglio dire, io ho un ricordo personale annebbiato dei miei quindici o sedici anni. Ho le foto, ok, ma ciò che mi ricordavo io era una ragazza insignificante, fisicamente appesantita, non particolarmente interessante, pure secchiona. Ecchecavolo, no! E’ stato come vedere sullo schermo un’altra me: mio marito che mi dice “eccoti!” e io “ma quale? Ma no, non sono io”. Ero io. Carina, fisicamente a posto, già muscolosa, pensa un po’, con un bel nasino e due occhioni grandi. Per nulla plumcake o appesantita, anzi, un bel culotto, che ora si fanno le protesi, altrochè. Ci crederete o no, è stato uno shock. E ho capito quanto l’immagine di me stessa fosse alterata in quegli anni, quanto tutta la sofferenza che ne è derivata, nella ricerca di un corpo diverso, potesse essere evitata. Perchè ero già perfetta così e avrei potuto fare a meno di tanti, tanti complessi, che mi hanno rovinato l’adolescenza. Alla fine ho imparato a guardarmi allo specchio e a vedere l’immagine che vedono tutti gli altri, nel bene e nel male, ad essere abbastanza obiettiva su pregi e difetti, ma in quegli anni non era così. E c’è voluta la pandemia e la noia di un pomeriggio tra vecchi filmati a sbattermi in faccia la mia stupidità. O semplicemente l’immagine di una ragazzina che si è sempre fatta troppe domande e che non si è mai accontentata delle risposte.