Odio la mascherina. Non perché mi dia fastidio, ci mancherebbe. La indosso qualche ora per fare la spesa, andare al lavoro, fare una passeggiata. Niente a che vedere con chi la veste per ore, magari in ospedale, con il resto dei dispositivi di protezione. Non si tratta di fastidio fisico. La mascherina va indossata per la propria e l’altrui salute e io continuerò a farlo. Però non la sopporto. Perché non posso sorridere a chi incontro. Perché non riconosco le persone. Perché la comunicazione è più difficile. Perché siamo tutti mascherati, ma per la più brutta delle feste. Incrocio sguardi, spesso nascosti dagli occhiali da sole, e spesso non saluto, perché non capisco chi ho davanti. E questo mi mette tanta tristezza. Mi manca la mimica che parla più di tante parole. Tantissimo. Oltre al fatto che sono spesso nella nebbia perché mi si appannano gli occhiali. Passerà, e forse impareremo tutti a sorridere di più.
Cambiamenti
Le persone non cambieranno in meglio dopo l’esperienza della quarantena. Anzi. Credo che saremo tutti più egoisti, avidi di vita e di esperienze, meno propensi ai compromessi. Abbiamo dato fondo alla pazienza e alla tolleranza. Esaurito la fiducia nelle istituzioni. Ci siamo goduti gli affetti più stretti e abbiamo cercato di compensare il credito di coccole ai nostri figli. Abbiamo capito i veri valori della vita e per questo ora abbiamo un bisogno smodato di superficialità. Delle cose inutili. Delle varie ed eventuali. Siamo stanchi dei messaggi ipocriti e buonisti. Abbiamo dimostrato di essere civili, ordinati, ubbidienti. Ma torneremo ad essere quelli di sempre. Più incazzati. Meno accomodanti. Meno tolleranti. E sarebbe bello anche più rivoluzionari, una volta tanto. Se dobbiamo cambiare, che sia a nostro vantaggio. Che da bravo, bello e buono a ciula è un attimo.
Le mamme non invecchiano mai
La festa della mamma quest’anno è una festa orfana di tante donne che il virus si è portato via. Mamme, nonne, bisnonne, che oggi avrebbero aspettato la visita dei loro figli, un fiore o un pacchetto di cioccolatini, e soprattutto il loro abbraccio. Invece se ne sono andate in silenzio, da sole, senza il conforto di stringere la mano a chi avevano messo al mondo. Le nonnine delle case di riposo, ma anche tutte le altre molto anziane, le cui morti vengono da molti accettate perché vecchie, perché malate, perché era la loro ora. E invece no. Una mamma non è mai vecchia. Una mamma ti stringe forte anche a cento anni e tu ti senti il suo bambino, anche se sei già diventato nonno. Una mamma è il nostro faro, sempre, e la sua saggezza ci aiuta nelle decisioni difficili. Ci sono mamme che hanno la terza media, ma, con il loro buonsenso, possono darti la soluzione per un accordo societario. È così. Le mamme amano a prescindere, senza senso, in ogni caso, anche se sei un delinquente e non le vai mai a trovare. Ecco perché oggi io penso ai tanti orfani a cui mancherà l’abbraccio della mamma. La loro mamma. Che si, aveva il diabete, la pressione alta, camminava a fatica, ma se non fosse arrivato questo virus odioso, oggi sarebbe lí, sulla sedia, con il suo sorriso sincero, ad ascoltare i loro racconti, ad accarezzargli il viso, a dire “come sei bravo, amore di mamma”. Ciao mamme, ovunque voi siate. Ciao.
Madeleine
Ogni volta che entro in bagno, lo vedo e la penso. Sempre. Me lo aveva regalato di ritorno dalla Costa Azzurra, dove trascorreva tutti gli anni una vacanza con suo marito e il nostro fantastico Stefano. E immancabilmente mi portava qualcosa. Una saponetta, un’acqua profumata, un piccolo oggetto che voleva dire “ti ho pensata”. Eppure non siamo mai state amiche. Semplicemente ci eravamo conosciute in biblioteca, dove Stefano collaborava come volontario, preciso, attento, speciale. Si, speciale, come sono i ragazzi come lui. Lei sorridente, colorata, estroversa, così vitale da riempire la stanza della sua luce. Una mamma forte, fortissima, l’ho sempre pensato, anche quando non ci siamo più viste spesso, perché sia io che Stefano non abbiamo più frequentato la biblioteca. Abbiamo continuato a seguirci sui social e a fare due chiacchiere se ci incontravamo per strada. E questo asciugamano sempre lì, su quel calorifero, di bellezza, tolto solo per essere periodicamente lavato. A ricordare la bellezza del suo cuore. Poi, la tragedia. Il virus se l’è presa e portata via, lasciandoci tutti sgomenti. Ma tu sei sempre con me, dolce Tiziana. Ogni volta che guardo questa lavanda, ti penso. Spesso accarezzo la superficie morbida del tessuto e poi ti mando un bacio. Perché non eri una mia amica, ma mi hai dato più di tante che ho indicato con quel nome. E, senza saperlo, mi ha ricordato come siano importanti i piccoli gesti nei confronti di chi amiamo, piccoli oggetti che ricordino loro che noi ci siamo. Perché la memoria a volte è labile e servono dolci Madeleine a riportare in vita nel cuore le persone speciali come te.
Navigli e covid
Io devo capire una cosa. Se sono stupida io oppure se davvero il mondo va al contrario. Sono due mesi che vivo in casa ed esco lo stretto necessario, per proteggere me e gli altri e poter accorciare i tempi di questa disastrosa pandemia. A fatica cerchiamo di mantenere un buon equilibrio familiare, perché il 24/24 + 7/7 non è facile per nessuno. Niente divertimenti, niente palestra, niente viaggi, niente di niente. Per movimentare un po’, cucino sempre nuove ricette e vi confido che mi sono decisamente rotta le palle. Sono nervosa, incazzata, annoiata, preoccupata, ansiosa di vivere. Ma rispetto le regole. Per me e per gli altri, ripeto. Non ne sono felice, spero funzionino, ma lo faccio. Poi apro internet e vedo le immagini dei Navigli di ieri, tardo pomeriggio. Happy hour. Tutti in giro per celebrare il dio aperitivo. E a questo punto mi incazzo e mi viene il dubbio di essere l’unica deficiente che si beve un prosecco sul balcone vista cortile da settimane, fingendo di essere in un locale di tendenza. Che fa le videochiamate con gli amici, fingendo di essere nella stessa stanza. Cosa che è figa una volta, poi diventa decisamente alienante e tristissima. Che da lunedì fa giri in campagna in bicicletta, rigorosamente con la mascherina, anche se incontra solo le prime zanzare e qualche agricoltore che controlla i campi. Una deficiente. Pure un po’ sfigata. Che me li immagino i brindisi di alcuni rivolti a “quegli sfigati che se ne stanno in casa”. La sfigata in questione spera, prega, che il virus abbia fatto il suo corso e che si sia stancato di infettare, che tutto questo non mi costringa a prolungare la mia permanenza tra le quattro mura, che chi ha brindato abbia dato il via alla ripartenza. Lo spero vivamente. Nel frattempo mi chiedo dove siano quelli che devono far rispettare i decreti, perché se legiferiamo ma poi non controlliamo tanto vale. Ma questo è un discorso lungo e tedioso. E oggi è venerdì. Per cui, dal mio balcone, prosit e che dio ce la mandi buona!
Muoviti!
L’attività fisica mi ha sempre aiutato a superare i momenti difficili. Mi ha rimesso in sesto più di una volta e non tanto fisicamente, quanto psicologicamente. Quando mi alleno scarico le tensioni e per un po’ dimentico ciò che non funziona. Butto fuori tutto e dopo sto meglio. Per questo mi vedete sollevare pesi, correre, fare addominali. Perché mi aiuta. Alcuni cucinano per rilassarsi, altri fanno bricolage, altri ancora guardano serie tv. Io faccio ginnastica. L’aspetto fisico c’entra, mentirei se dicessi il contrario, ma ciò che conta di più è il benessere mentale che ne ricevo. Altrimenti avrei già mollato da tempo. E la palestra mi ha salvato anche questa volta. Mentre fuori partivano ambulanze di continuo, mentre i tg snocciolavano numeri da conflitto bellico, mentre i social si riempivano di terrore e opinioni variegate, mentre il mondo che tanto amo era fermo, pietrificato, in attesa che la tempesta passasse, ecco, io ho provato a chiudere fuori tutto per non impazzire. Leggere mi faceva pensare, scrivere non parliamone. E allora ho preso i pesi che avevo in casa e ho iniziato ad allenarmi nella cameretta dei miei figli. In sottofondo, la musica rock. Sudare mi ha aiutato a non pensare. Riflettere sugli esercizi mi ha fatto concentrare su altro. Mi sono anche iscritta ad una challenge, per avere l’impegno dell’allenamento. Che per una abituata a vivere fuori casa dodici ore al giorno, con mille progetti attivi, bè questo periodo è al limite dell’esaurimento. Ha funzionato. Ma non avevo dubbi. La palestra è il mio balsamo, il mio booster, la mia ancora di salvezza quando sto per sbarellare. E quando si ama qualche cosa, lo si condivide. Specialmente in tempi difficili come questi. Perdonate dunque le mie immagini da Jane Fonda dei poveri, ma sono convinta che ci voglia “un fisico bestiale per resistere agli urti della vita,
a quel che leggi sul giornale e certe volte anche alla sfiga” 💪🏻
Compleanni
Oggi il mio piccolino compie 15 anni. Una data importante, soprattutto per lui. Perché i compleanni in adolescenza hanno un sapore particolare, sono traguardi che si portano dietro un vissuto di sentimenti difficilmente definibile. Sono quelli della pizza con gli amici, delle prime birrette che fanno sentire grandi, del bacio rubato alla più carina con la scusa degli auguri, dei regali dei compagni di scuola, da conservare come reliquie di un apprezzamento che a quell’età è la base su cui si fonda l’autostima. Giorni speciali, unici. Ma quest’anno non è andata così. Il virus si è rubato pure i compleanni dei miei ragazzi, tutti e due, quindici e sedici anni fagocitati da una quarantena che ha reso tutto piatto e uguale. A me questo fa arrabbiare, tantissimo. Lo so che sono banalità di fronte alle migliaia di decessi e malati, ma io sono una mamma e mi spiace che i miei bimbi debbano essere privati anche di questo. Come un Don Chisciotte, sono arrabbiata con il virus, con la situazione, con questo periodo orrendo, che mi va stretto come i jeans a vita alta che odio e che non mi fanno respirare. Avrei voluto vederli prepararsi per la loro serata, versarsi addosso la boccetta di profumo, sistemarsi i capelli, chattare nervosamente per accordarsi, eccitati, agitati. Avrei voluto essere esclusa da tutto questo, invece di vederli festeggiare con mamma e papà, più i nonni in videochiamata. Che orrore, poverini! Eppure entrambi non si sono lamentati. Mai. Hanno ringraziato per il regalo via Amazon, per la torta raffazzonata, per la chiamata via zoom dei loro amici. Va bene così, mamma, è un giorno come un altro. Troppo maturi, sti ragazzi. Eccezionali. In questa occasione e in tutta la quarantena. Migliori di noi adulti che ci siamo lamentati ovunque e che facciamo continue polemiche. Loro hanno chiesto solo un Wifi illimitato e la libertà di chiudersi in camera. Da lunedì, anche di poter andare a fare un giro in campagna con la bicicletta, ovviamente con la mascherina. Io arrabbiata e stufa, stufa, stufa. Loro anche, ma con la leggerezza della loro adolescenza. Li adoro. Non ci sono storie ❤️
Metà e metà
Non so voi, ma io mi sento come quando da piccola andavo in spiaggia, ma non potevo fare il bagno perché il giorno prima non ero stata bene. Me ne stavo sotto l’ombrellone, con la maglietta, a guardare le onde, il mare, e mi chiedevo che cosa facessi li. Per me spiaggia è uguale a bagno e se non posso tuffarmi, bè faccio un giro in passeggiata. Oppure come quando anni fa mi hanno invitato a mangiare la raclette e non ho potuto rifiutare: per una intollerante al lattosio, che adora però il formaggio, ma l’effetto crampo colite notte insonne è una certezza, è un supplizio, ve lo assicuro. Ecco io mi sento un po’ così in questa fase 2. Avrei voglia di uscire, prendere aria, pedalare in relax, e ok, questo lo posso fare, ma devo stare attenta se incontro qualcuno che conosco, fare due chiacchiere solo a distanza, mascherina, lava le mani prima, dopo e magari anche durante. Amuchina al posto della crema solare, tanto per non sbagliare. Un caffè da asporto, ma se mi togli il bancone e le chiacchiere da bar, a me fa più tristezza che gioia. Ecco. Vorrei ma non posso. Tra diligenza e paura. Sospesa per due settimane, in attesa dei numeri del contagio. Siamo stati bravi? E allora potremo avvicinarci un po’ di più. Abbiamo fatto i cattivi? Chiusi in camera e gettiamo via la chiave. Inutile che piangi, avresti dovuto pensarci prima. Me lo dicevano sempre i miei genitori. E questo ha fatto di me una che si regala seghe mentali come se non ci fosse un domani. Pensiamoci, pensateci. Rispettate le regole. Vogliamo la libertà, quella vera. Vogliamo ripartire, senza freno a mano tirato. Vogliamo vivere, senza se e senza ma. Quando? Credo proprio che dipenda da noi 😉
Violenza
Ogni giorno ci ripetiamo che tutto andrà bene e postiamo video commoventi, che ringraziano sanitari e tutti coloro che ogni giorno lottano in prima linea contro il virus. Condividiamo campagne di raccolta fondi e ci stringiamo in applausi sul balcone, cantando l’Inno di Mameli. Siamo tutti fratelli e ci riscopriamo nazione. Almeno nei proclami, negli hashtag, nelle frasi ben costruite. Poi, però, i social sono pieni di violenza. Una violenza verbale senza contegno. Uno scagliarsi contro questo e quello, con foga, urlando dietro lo schermo del computer una rabbia senza fine. Altroché fratelli, cani rabbiosi che scattano all’attacco alla più piccola sollecitazione. Fa paura questa verbosità aggressiva. Provate a leggere un po’ di commenti sotto post che parlano di dati, vaccini, riaperture, cure: centinaia di idee, e ben vengano, ma quasi tutte espresse con un’acredine terribile. Stare confinati tra le quattro mura di casa ha determinato anche questo. Ha fatto uscire il peggio, altroché cambiarci in meglio. Un peggio confinato però ai social. Perché nessuno di quelli che urlano sulla tastiera farà poi nulla di concreto. Per quello ci vuole coraggio, convinzione, slancio vitale, preparazione. Per parlare, invece, no. Soprattutto se a proteggere vi è lo schermo di un pc e il calore della nostra casa: mi piacerebbe vederli seduti intorno a un tavolo tutti questi leoni da tastiera, mostrerebbero la stessa animosità oppure in silenzio si adatterebbero al potere dominante? Fatto sta che tutta questa violenza non è bella. Inquina gli animi, prima di tutto quelli di chi scrive. Abbruttisce il cuore e rende ancora più difficile la situazione. Bisognerebbe sempre ricordate che dietro ogni schermo c’è una persona reale, non un avatar, con il suo vissuto e le sue necessità, che le conversazioni virtuali hanno un peso e che un commento pesante può sedimentare e fare danni. Verba volant, scripta manent. Anche sui social.
La vigilia
Domenica 3 maggio. La vigilia. Un po’ come quella di Natale o dell’anno nuovo. Abbiamo atteso questo 4 maggio come se fosse il D-day, anche se per molti non cambierà nulla. Io sono una dei molti, che continuerà a lavorare in casa, a fare la spesa una volta alla settimana, ad allenarsi in casa, a non uscire se non per andare sul balcone. Potrò fare due chiacchiere a casa della mia mamma e bere un caffè con lei, e questo sarà il bello per molti “congiunti” che non si vedono da due mesi. Per il resto nulla cambierà, per un po’. Anche se non ne posso più e vorrei cambiare cielo. Vedere le mie montagne e fare una passeggiata nei boschi oppure brindare mentre il sole tramonta in baia del silenzio. Per cui vi chiedo una cosa. Anzi, vi prego. Usate il cervello. Uscite se è necessario. Usate mascherina e tenete la distanza. Correte se siete podisti e non potete farne a meno, altrimenti contattatemi e vi insegno tanti bei circuitini cardio hiit che vi faranno muovere, consumare calorie, sudare, ma nella sicurezza di casa vostra. Che il primo che mi dirà in futuro che gli italiani non fanno sport, lo rimando alle migliaia di post sulla mancanza del movimento che ho letto in questi giorni. Anche da parte di chi, prima d’ora, aveva corso solo per non perdere il treno. Vi prego, siate responsabili. Che io per ora posso stare sul balcone al sole, ma a giugno arrivano afa e zanzare e di stare barricata tra quattro mura non ne ho proprio la forza. Se mi volete bene, vogliatevi bene.
Buona domenica ❤️