Dieci anni fa, a quest’ora, ero con marito e figli al bar Garibaldi e ci preparavamo alla finale di Champions League. Inter – Bayern. Era l’anno del triplete e di Mourinho.
Della partita ricordo poco e niente, non sono mai stata una tifosa attenta, ma per me quello era un giorno speciale. Mio marito era rientrato il giorno prima dal Kosovo, in licenza, dopo tre mesi di lontananza. No, non era tornato apposta per vedere la partita al Garibaldi, era stata una casualità, ma questa gioia aveva amplificato tutto. Ho sempre patito la lontananza da lui e quel periodo era stato difficile. Tre mesi senza di lui, con i bambini piccoli, il lavoro, i casini del quotidiano. La distanza mette alla prova i rapporti, ma anche la troppa vicinanza. Ironicamente, dieci anni dopo, nello stesso periodo, ho sperimentato tre mesi di quarantena, convivenza forzata, con lui e con i ragazzi, in un clima teso, dove una scintilla può far divampare facilmente un incendio. Sapete che le richieste di separazione sono aumentate in tutto il mondo a seguito della pandemia? In fondo non mi sorprende. Per fortuna, noi abbiamo retto e oggi ne usciamo rafforzati, come dieci anni fa.
Eppure, non sottovalutiamo il peso psicologico della quarantena. Chi ha perso il lavoro, chi è sull’orlo del fallimento, chi ha visto franare il proprio rapporto di coppia, chi ha perso un genitore, un amico, un fratello. Siamo tutti stanchi e nervosi, mai come ora bisognosi di un supporto. Non solo economico. Spero che chi ci governa tenga conto anche di questo, perché la sensazione di vivere in una situazione pronta a detonare è davvero forte. Un clima teso, elettrico, pericoloso. Quanto vorrei tornare al 22 maggio 2010! Alla gioia di abbracciarci di fronte al maxischermo. Con le nostre birre in mano e i bambini che sventolavano le bandiere. In questo momento mi manca anche il calcio, di cui si parla solo per fare polemica, allenamenti sì, allenamenti no, campionato sì, campionato no. Ma che partita è senza il tifo, senza la calca sugli spalti, senza i cori e gli sfottò?
Ho una sete di normalità almeno quanto quella sera, euforica dopo la vittoria, di birra, spritz e chi più ne ha più ne metta. Voglio ubriacarmi di normalità, quando sarà possibile. Voglio andare allo stadio, al cinema, a vedere un concerto, a teatro. Di più. In questo momento, vorrei pogare da Pepe o ballare in discoteca. So che non si può. Ma desiderare, seppur azione molto contagiosa, credo sia concesso in questo momento. O no?