Amo le parole. Giocare con loro e metterle in relazione. Inanellare catene di lettere che di solito litigano e che io costringo a entrare in contatto, a prendersi per mano. Le parole creano la realtà, la definiscono, la rendono tangibile. Anche se, loro, tangibili non sono. Mi sono sempre nascosta dietro le parole. Voglio dire, è più facile scrivere un amore, un rimprovero, una riflessione, che guardare negli occhi una persona e lasciare che la voce riporti queste emozioni. Ci vuole coraggio a parlare, meno a scrivere. Anche se poi scripta manent e anche inculant. Perché ci sarà sempre qualcuno che interpreta una frase e te la rinfaccia nel momento sbagliato. Ma tant’è. Amo le parole. La settimana enigmistica è la mia droga. La scrittura la mia terapia analitica. I suoni di vocali e consonanti la mia colonna sonora. E con esse creo il mio reale spesso irreale, il mio paese delle fate in cui muoversi ha un senso, tra iati, similitudini, allitterazioni. Poi, un congiuntivo sbagliato mi tira per i capelli nella realtà fatta di parole a vanvera, impoverimento lessicale, generalizzazioni, cose che cosano per cosare. Per fortuna penna e carta sono sempre lì. Che mi aspettano. E il viaggio continua…