Mi sono voltata a guardare la mia vita e ho visto una corsa. Continua. Una rincorsa per cercare di esserci sempre. Per i genitori, per i figli, per il marito, per i colleghi, per gli amici. Per tutti. E non esserci tanto per, ma esserci con tutta me stessa. Una vita alla rincorsa della perfezione. Alla soddisfazione delle aspettative. Le dannate aspettative. Brava a scuola, ma non basta. E allora bravissima. Educata e sorridente. Anche quando avevi il fanculo in canna. In orario, sempre. Mai uno sgarro o una bugia ai genitori. Nessuna droga. Nessuna pazzia. Nessuna trasgressione. Che noia? Sì che noia. Precisa al lavoro, corretta, senza fare sgambetti. Solo quello che puoi raggiungere con le tue forze. Giusto. Una vita a cercare di mettere davanti sempre gli altri. Anche quando questo vuol dire sacrificare il tempo per te stessa, le tue aspirazioni, la tua voglia di libertà. Infelice? No no, felicissima. Davvero. Perché la vita è così bella che non vale la pena di essere infelici. Però, se guardo indietro, mi rendo conto che, per quanto io abbia fatto, disfatto, rinunciato, lottato, costruito, c’è sempre un ma. Qualche cosa che non ho fatto come si deve. Il tono della voce sbagliato in quella occasione, che ha ferito chi ti stava di fronte. Un “non posso” non tollerabile da te che puoi sempre. Uno sbuffo invece di un sorriso. E sempre questa pretesa che tu sia sempre al posto giusto al momento giusto, mentre intorno a te si tollerano comportamenti pazzeschi, gesti senza senso, risposte maleducate. Ma gli altri possono. Mi sono voltata indietro. E poi ho guardato avanti. Senza correre. Nè rincorrere. Stanca di darmi da fare per arrivare ovunque. Convinta di arrivare dove io voglio andare. E se qualcuno sarà scontento, bè, pazienza.