Ci sono giorni in cui devi essere forte. Non per te stessa ma per gli altri. Anche se non ne hai voglia e cerchi solo un abbraccio in cui sentirti una bambina indifesa. Quei giorni in cui il mondo si accorge di te, che ha bisogno di te. Perché tu ascolti. Perché tu non giudichi mai. Perché tu offri soluzioni semplici. Perchè tu sorridi. Perché tu hai sempre tempo anche quando non ne hai. Perché in fondo non ti aspetti più nulla dagli altri e vivi come un regalo anche un caffè e due chiacchiere al bar. E in fondo sei felice di poter essere un riferimento. Una spalla su cui piangere. Una roccia a cui aggrapparsi. Anche se sei fatta di argilla e dentro ti sgretoli ogni giorno nei tuoi mille dubbi. Forte. Per necessità. Per scelta. Per voi, per me.
Chi sono io?
Davanti allo specchio. Struccata. Un po’ schifata. “Ma cosa cazzo sono io? Cosa ho combinato finora?” Le rughe, le occhiaie, i capelli spettinati. Il cuore e la mente in subbuglio. Le foto in Instagram e sulle riviste di chi sembra avere tutto. Sui giornali le parole di chi tiene le redini di economia e politica. In tv il sorriso di chi sembra saperne di più di te. E tu? La lotta contro la cellulite e contro i fantasmi di chi non è mai contento. La corsa senza fine come un criceto nella ruota. “Chi cazzo sei?”. Sono una mamma. E guarda che non é facile esserlo. Non si è madri solo perché si partorisce. I figli vanno cresciuti, capiti, educati, accuditi. E io sí, lo faccio. Sono una moglie. E non è facile neanche questo. Tenere duro quando le cose non funzionano. Far tornare i conti. Crescere con l’altro e accettare reciproci compromessi. Sono una figlia. E non sono male dai. Anche se mi sono sempre sentita la figlia imperfetta e forse non ho fatto ciò che i miei si aspettavano da me. Ma sono qui e loro lo sanno. Sono una donna. Che lavora. Che cucina, stira, fa i mestieri, tiene nota delle scadenze. Sono una donna cazzo. E faccio tanto, anche se non si vede. Anche se non sono patinata. Anche se invecchio e si vede. Cosa sono io? Io. Ed è tanto. Tantissimo. Io. Una donna. Come tante. Che a volte si perde, però poi si ritrova. E ritrovarsi è davvero bellissimo.
Non una di meno
I lividi che fanno più male sono quelli lasciati sul cuore. Perché non si rimarginano, perché ti fanno sentire stupida, perché frantumano i sentimenti di una vita. Lo hai amato fin dal primo sguardo e ti sei detta che avresti fatto di tutto per averlo. Ecco. Di tutto. Noi donne siamo così. Toste, testarde, sognatrici. Per un suo sorriso hai accettato la sua gelosia, il no alle uscite con le amiche, i rimproveri per una foto postata, i paletti sempre più stretti. Per un suo bacio hai smesso di andare in palestra, hai modificato orari di lavoro, hai accettato di cambiare la tua vita. Per amore, ti dicevi. Anche se ti andava stretto tutto questo. Anche se lui non faceva lo stesso. Anzi. Ricambiava vivendo come voleva. Se vuoi stare con me, adattati alle mie regole. Se no, quella è la porta. Questo non è amore. Ricordalo. Amore è libertà, gioia, essere sè stessi pienamente e condividere la vita. Perché la violenza non sono solo le botte. Violenza è ciò che limita la tua persona.
Violenza è il controllo sulla tua vita.
Violenza è la mancanza di rispetto, per la tua mente e il tuo corpo.
Scappa se ti senti soffocare da un amore. Perché l’amore fa respirare a pieni polmoni, non soffoca. Mai.
#nonunadimeno
#noallaviolenzafisicaepsicologica
#giornatacontrolaviolenzasulledonne
Sogno
Sogno un mondo in cui non ci sia più spazio per l’invidia. Quel sentimento tanto dannoso quanto inutile, che fa male sia a chi la prova sia a chi ne è l’oggetto. Un tarlo che limita la possibilità di fare, perché vengono sprecate tante energie nel guardare gli altri, nel trovare elementi da criticare, nel sminuire i successi. Energia che invece andrebbe sfruttata per crescere, migliorarsi, vivere.
Sogno un mondo in cui le donne siano alleate. È questa la nostra debolezza rispetto agli uomini. La mancanza di cameratismo, la voglia di tendere la mano, la capacità di essere davvero amiche. Capita, per carità, ma spesso siamo rivali, senza motivo, senza senso. E danneggiamo noi stesse.
Sogno un mondo fatto di persone corrette, che fanno il loro dovere, che non vivono di compromessi. Ci saranno sempre gli scorretti, lo so. Ma nel mondo dei miei sogni sono pochi e non sono loro a mescolare le carte nel mazzo della società.
Sogno un mondo di anime trasparenti, che mostrino chi sono, perché la falsità sta alterando troppe relazioni.
Sogno un mondo in cui regni l’autoironia, la capacità di mettersi in discussione, la voglia di sorridere.
Lo sogno. Lo voglio. Insieme, lo avremo.
Fior fiore degli anni
Proprio così. Non ci rendiamo conto del tempo che passa. Ci sentiamo delle leonesse. Abbiamo energia, voglia di fare, creatività. Abbiamo cambiato alimentazione e siamo in forma come non mai. I capelli sono folti e del colore che vogliamo. Camminiamo sicure sui nostri tacchi 12, senza calze nonostante le temperature sotto zero, il cappottino smilzo, l’aria da figa imperiale. Poi, nell’ordine.
Un ragazzo si alza in metro per farci sedere.
Una ventenne ti urta, si volta e “scusi signora!”…che pure l’unica ventenne educata hai beccato.
Tuo figlio, ascoltando una canzone dei Beatles, dice: “certo che hai tuoi tempi era strana la musica eh?!?”. E fagli capire che quelli erano i tempi di mia mamma e che la musica strana è quella che ascolta lui oggi, vabè.
Dal fior fiore dei tuoi anni a d’autunno cadono le foglie in un quarto d’ora. Ma l’importante è crederci, sempre 😜
I so tutto io
Non ho mai amato i titoli e le etichette.
Ho sempre provato una sorta di fastidio in chi si presentava mettendo davanti un “dottor” o iniziando l’elenco dei suoi meriti professionali. A dire il vero, non mi sono mai piaciuti nemmeno quelli che ostentavano benessere, denaro, vestiti firmati e macchinoni. Ho scritto ostentavano, badate bene, perchè amo le belle cose e ovviamente ritengo fortunati coloro che possono permettersi agi e lussi che a me non sono accessibili. Ma l’ostentazione mi dà l’orticaria.
I so tutto io. Quelli che devono sempre e comunque farsi vedere, nella gioia e nel dolore, in salute e malattia, come se fossero sposati con la necessità di apparire.
Ho sempre creduto in chi è, non in chi si mostra. E chi è, badate bene, viene spesso fuori alla distanza. Man mano che lo conosci, che comprendi la sua profondità, le sue caratteristiche, i suoi talenti. Chi è parla semplice, si adatta a chi ha di fronte, nasconde i suoi titoli per non imbarazzare l’interlocutore, mette a proprio agio.
Adoro le persone intelligenti, ascoltare chi ne sa più di me, imparare ogni giorno qualche cosa di nuovo, da chiunque.
Non ostentate ma siate.
Non volate troppo in alto, rischiate di fare come Icaro e di finire in mare.
Regalate agli altri ciò che siete e crescete nel continuo scambio di conoscenza.
Non stancatevi mai di mettervi in ascolto e di imparare.
Siate veri. Al 100%. Sarete più vulnerabili, lo so, ma fingere è un lavoro che alla lunga logora. E, davvero, non ne vale la pena.
La tempesta dentro
Giorni in cui dentro di te hai la tempesta. Anche se fuori splende il sole e tutto scorre al meglio. Anche se sei in un momento tranquillo e navighi in acque tranquille. Colpa del cervello. Sì del cervello che non smette mai di chiedere, di interrogare, di cercare di spiegare, prevedere, organizzare. Quel cervello che cerchi di spegnere allenandoti in palestra, ma non sempre ci riesci. Quel cervello che sovraccarichi di impegni quotidiani per allontanare il tempo di pensare eppure lui ti frega lo stesso. Quel cervello lì, che adesso cerca di comprendere che via seguire e quali pedine muovere. Perché sei sola e tocca a te farlo. Tu sola puoi decidere della tua vita. E in fondo non è ciò che hai sempre voluto? Non eri tu quella che voleva vivere libera da condizionamenti? Eccoti qui. Seduta ad un tavolo, le mani tra i capelli, i pensieri così affollati da far rumore. La tempesta dentro. La stanchezza di correre come il criceto nella ruota e la sensazione di non arrivare da nessuna parte. La percezione netta di avere i talenti in tasca ma di non sapere bene come spenderli. Sospesa. Stanca. Dubbiosa. Ti odi quando sei così. Passerà. Arriverà l’idea giusta e sarai di nuovo come il giorno che nasce. Con l’energia potente degli inizi. In fondo è questo che ti da forza, quella instancabile voglia di dare un senso a questo viaggio magico che è la vita e di non lasciare che ti scivoli addosso come le gocce sui vetri. Perché vivere è un vizio che non vuoi smettere mai.
Il mio senso per i social
Mi sono messa a nudo sulla rete. Ho raccontato la mia vita, i miei sogni, le tante cadute, i pianti. L’ho fatto per un bisogno personale, come se, raccontandolo, lo ascoltassi anche io e imparassi ad accettarlo. Internet è stato per me terapeutico, perché mettermi così in mostra mi ha fatto superare tante, tantissime fragilità. Non è stato facile ma mi ha fortificato. Mi ha anche aiutato a superare la solitudine, quando chi amo era via, nei pomeriggi in cui lavoro, lavoro, lavoro e non arriva neanche un messaggio da un’amica, alla mattina presto e alla sera tardi, quando i conti con l’anima si fanno più pesanti. Ora questo bisogno non c’è più, ho fatto pace con i fantasmi, con il mio corpo, con la mia vita. Sono diventata grande e tante cose sono scivolate via. Mi trovo quindi a chiedermi il perché di essere nei social, di pubblicare foto, brani, sensazioni. E la domanda è ricorrente e resta lì, appesa, mentre i giorni passano frenetici. Non ho fini economici nè pretese di visibilità. Pubblico per ridere. Per far vivere Lacolli. Per diffondere cultura. Per spingere allo sport. Ma è tutto meno necessario. Triste vero che io abbia avuto bisogno della rete per buttarmi fuori? Già. Ma quando sei circondata dal silenzio e dall’idea sbagliata che gli altri hanno di te un modo lo devi trovare. Perché scrivo questo? Perché si scrive tutto e si pubblica tutto. E perché io un mio senso per i social ce l’ho. Vi invito a trovare il vostro perché tutti impariamo ad usarli e non, come spesso accade, ad essere usati.
Adolescenza
Avere un adolescente in casa è un continuo allenamento per l’autocontrollo. L’hai creato tu, ma a volte vorresti disintegrarlo. Perché un adolescente ha il magico potere di farti incazzare come non mai e un attimo dopo sorprenderti con le intuizioni della sua età. Con la sua creatività. Con la bellezza di un periodo che è cambiamento continuo. Lo guardi e non ti sembra vero che quello spilungone brufoloso sia proprio uscito da te. Lo riempiresti di baci. E un attimo dopo sputi le tonsille a furia di urlargli dietro. Perché è disordinato. Perché ti sfida. Perché fa esattamente il contrario di quello che gli consigli. Una psicologa mi ha detto che hanno bisogno di sperimentare e che noi genitori dovremmo essere come materassi che si adattano a loro, fermi nell’educazione ma attenti ai loro bisogni. Io più che un materasso mi sento spesso un divano, su cui lui salta senza togliere le scarpe. Ma lo adoro. E se non mi fa partire le coronarie, tra qualche anno l’adolescenza sarà passata e io forse la rimpiangerò. Forse.
Abbasso la perfezione
Mi sono voltata a guardare la mia vita e ho visto una corsa. Continua. Una rincorsa per cercare di esserci sempre. Per i genitori, per i figli, per il marito, per i colleghi, per gli amici. Per tutti. E non esserci tanto per, ma esserci con tutta me stessa. Una vita alla rincorsa della perfezione. Alla soddisfazione delle aspettative. Le dannate aspettative. Brava a scuola, ma non basta. E allora bravissima. Educata e sorridente. Anche quando avevi il fanculo in canna. In orario, sempre. Mai uno sgarro o una bugia ai genitori. Nessuna droga. Nessuna pazzia. Nessuna trasgressione. Che noia? Sì che noia. Precisa al lavoro, corretta, senza fare sgambetti. Solo quello che puoi raggiungere con le tue forze. Giusto. Una vita a cercare di mettere davanti sempre gli altri. Anche quando questo vuol dire sacrificare il tempo per te stessa, le tue aspirazioni, la tua voglia di libertà. Infelice? No no, felicissima. Davvero. Perché la vita è così bella che non vale la pena di essere infelici. Però, se guardo indietro, mi rendo conto che, per quanto io abbia fatto, disfatto, rinunciato, lottato, costruito, c’è sempre un ma. Qualche cosa che non ho fatto come si deve. Il tono della voce sbagliato in quella occasione, che ha ferito chi ti stava di fronte. Un “non posso” non tollerabile da te che puoi sempre. Uno sbuffo invece di un sorriso. E sempre questa pretesa che tu sia sempre al posto giusto al momento giusto, mentre intorno a te si tollerano comportamenti pazzeschi, gesti senza senso, risposte maleducate. Ma gli altri possono. Mi sono voltata indietro. E poi ho guardato avanti. Senza correre. Nè rincorrere. Stanca di darmi da fare per arrivare ovunque. Convinta di arrivare dove io voglio andare. E se qualcuno sarà scontento, bè, pazienza.