Morire per un selfie. Per uno, dieci, cento like. Per fotografare un’impresa, una bravata, una trasgressione. Succede troppo spesso e fa paura. Da adolescenti tutti abbiamo rischiato, osato per farci vedere dagli altri. Chi lo faceva più degli altri era ritenuto un leader, il capobanda, insomma il Figo del gruppo. Ora che i social hanno reso globale anche un’unghia incarnita, tutto questo è diventato ancora più diffuso. E soprattutto pericoloso. Perché se cammino sull’orlo di un precipizio e poi lo racconto al bar, rischio la vita; se cammino sull’orlo di un precipizio e intanto mi filmo o mi fotografo la rischio due volte e al bar forse poi neanche ci arrivo. Fa paura. Sì perché siamo tutti immersi in questa realtà virtuale, in questo The Truman show che ci pervade e i ragazzi ci imitano, non c’è niente da fare. Navighiamo, usiamo social, facciamo selfie anche mentre siamo sul water. Inutile dire ai nostri ragazzi di non usare il cellulare. Non regge. Insegnargli come però sì. Insegnargli soprattutto che la vita è reale e non un videogame. Che se sbagli paghi. Che fotografarsi mentre trasgredisci è stupido, oltre che pericoloso. Che le amicizie non sono quelle virtuali ma quelle con cui vai in giro in bici, con cui vai a scuola, che vedi, tocchi, con cui parli e ti confronti. Che la vita è già pericolosa senza cercarlo il pericolo, che ti fotte anche se non vuoi, per cui sprecarla per un selfie non ha senso. Nessuno. Fa paura. Perché abbiamo a che fare con adolescenti. Che non ci ascoltano, che si oppongono, che ci sfidano. Come abbiamo fatto noi con i nostri genitori, e i nostri genitori con i nostri nonni. E le disgrazie sono sempre accadute, purtroppo. Ma a quel punto è troppo tardi. Fatevi un selfie ragazzi. Anche più di uno. Mentre sorridete accanto alla vostra ragazza. Mentre siete con gli amici. Mentre vivete. Non quando state sfidando la morte. Quella purtroppo vince troppo spesso ed è meglio non fotografarla.