Forte. Instancabile. Tollerante. Sorridente. Si aspettano che tu sia così, ogni giorno, ogni momento, qualunque cosa accada. È quasi una responsabilità e una sorta di orgoglio personale. Quello di non mollare mai e di far sembrare tutto semplice. Te lo dicono fin da piccola poi, no? Fai buon viso a cattivo gioco. La gentilezza premia sempre. Se qualcuno ti attacca lascia cadere, le signore si comportano così. Ecco forse poi non sono una signora. Perché alla lunga tutto questo perbenismo logora. Questo voler essere Wonder Woman sempre e comunque, mentre avresti voglia solo di mandare tutti a quel paese. Questo caricarti di responsabilità che non sono tue, questo dover dimostrare sempre qualcosa. A chi? Perché? Fino a quando? Non dobbiamo dimostrare proprio nulla invece. Non dobbiamo essere sempre forti, anzi. Mostriamo le nostre debolezze, piangiamo senza nasconderci, insegniamo agli altri che anche noi siamo stanche, che abbiamo voglia di un abbraccio, che le invidie, le cattiverie ci fanno male, tanto male. Chiediamo aiuto e non sentiamoci per questo inadeguate. Solo gli stupidi pensano di poter reggere il mondo da soli e, noi, stupide, proprio non lo siamo. Proviamoci almeno. La vera forza sta nell’accettare la propria debolezza.
Cena a lume di candela
Organizzate una cenetta a lume di candela. Senza un perché. Non in occasione di un anniversario, di un compleanno, di una promozione. No no. Un giorno della settimana qualunque. Quando lui non se l’aspetta. Apparecchiate con cura la tavola. Cucinate qualcosa di semplice che lui adora. Stappate una bottiglia di vino. Coccolatelo e fatevi coccolare. Ritagliate del tempo per voi due. Per parlare del passato e per tessere sogni per il futuro. Per ricordarvi chi siete e cosa vi ha portato fino a qui. Non date mai nulla per scontato. L’amore è una scommessa che si rinnova ogni giorno, non il lento fluire di un fiume da cui farsi trascinare. Una scommessa su cui dovete continuamente puntare e alzare la posta in gioco. Sorprendetelo. Inventatevi sempre qualche cosa di nuovo. Semplice ma speciale. Come voi due. Come il vostro amore.
Mi fai una foto?
“Mi fai una foto?” Il più delle volte inizia così, con una richiesta innocente accompagnata da battito di ciglia. Innocente solo in apparenza, perché in realtà noi abbiamo già pensato che scatto vogliamo, con quale sfondo e soprattutto abbiamo ben chiaro il risultato desiderato. Che deve essere come l’immagine patinata che abbiamo visto su una rivista, popolare come quella delle blogger su Instagram ma assolutamente naturale e spontanea. Lui prende il telefono, la maggior parte con la stessa voglia che ha quando va dal dentista, e si appresta a scattare. “No, no, aspetta che ti spiego…” eh, caro mio, credevi di cavartela con un clic. E invece. Dopo la spiegazione dettagliata di tutti i particolari, lei si mette in posa e lui scatta. Accade anche che si impegni, per cui le dia indicazioni, spostati a destra, alza il vestito, no, seria no, dai. E intanto noi ci stufiamo. O meglio ci vergogniamo, perché qualche passante ci guarda e non ci va di fare la parte delle vanesie. E mentre lui va avanti, immedesimandosi in Richard Avedon, noi senza pudore, ad alta voce “Ma dai, tesoro, va bene così! Mi hai già fatto tante foto! Dai basta!” Come se fosse stato lui ad avere l’idea. A quel punto lui molla il telefono, noi lo afferriamo e, come da copione, non c’è una foto che risponda ai nostri desideri. Una ha gli occhi chiusi. Uhh, che rughe in quella. Ma guarda, qui sembro ancora più bassa. No no, lì ho gli occhi da pesce lesso. Ovviamente tutte considerazioni che le più educate fanno tra sè e sè, che già tanto che ci ha fotografato. Ci manca che ci lamentiamo e ci siamo giocate la giornata. Poi, mentre non ci vede, selfie di rigore e finalmente ci siamo. Non perfetto, ma nettamente meglio. Conservando però in memoria una delle sue, cosicché si senta fiero del suo lavoro. Amore è anche una foto con gli occhi chiusi, ma scattata con il cuore 😉
Gli anni difficili
Tu lo sai cosa ho passato. Tu ti ricordi di me tanti anni fa. Quando ero un passerotto affamato di vita ma incapace di vivere. Con questa sacca di talenti in tasca, una specie di zavorra per me che ero uno scricciolo e che non sapevo che farmene.
Tu lo sai che avevo grandi sogni e che adoravo i miti del passato. Le storie degli dei e degli eroi, degli imperatori e dei re, dei grandi uomini che hanno creato il mondo in cui viviamo. Sognavo di poter un giorno afferrare il senso del vivere che loro di sicuro avevano trovato, chi nelle armi, chi nella poesia, chi nell’arte.
E leggevo leggevo leggevo.
E studiavo studiavo studiavo.
Tu lo sai quanto studiavo vero? Ti ricordi che ero una secchiona? E che ti passavo sempre la versione di greco? Perché non mi interessava essere la migliore rispetto agli altri. Io volevo essere migliore di me. Migliore di quello che ero stata fino al giorno prima. E conoscere tantissime cose.
Tu lo sai che volevo imparare tante cose, vero? Ma sai perché? Perché speravo di capire il mondo e così di capire cosa fossi io. Che senso avessi. Cosa ci si aspettasse da me. Quali passi avrei dovuto fare per non sbagliare strada. Quante domande.
Tu lo sai questo? Te ne sei mai accorta? Quando ci sedevamo nello stesso banco e per ore ascoltavamo i prof parlare? No, vero?
Sono sempre stata brava a nascondere. A fingere di essere forte. Impermeabile. A dire che per me andava sempre bene. Bè non era così. Passavo ore a farmi domande e a sedici anni non devi fartene troppe che poi fondi. Io un po’ sono fusa in effetti.
Te lo ricordi? Troppo concentrata sul cervello ho trascurato il corpo. Ma non ho mai mollato. Ed è passato anche l’inferno dell’adolescenza che non tornerei indietro neanche morta. Anni difficili. Anni tormentati. Anni di studio matto e disperatissimo. Ma anni che ora benedico. Perché mi hanno reso la donna che sono.
Tu lo sai cosa ho passato. E ora gioisci insieme a me, senza invidie, senza gelosie. Tanti non lo sanno e non capiscono. Ma non importa. Non devo spiegare a loro. Non devo spiegare a nessuno. Il tempo delle spiegazioni, delle giustificazioni, della paura è lontano.
Ora è tempo di vivere. Di sorridere. Di essere. Io. Semplicemente io.
Ti amo. Ti odio.
Ti amo. Anche se dovrei odiarti.
Sì, odiarti, disprezzarti, maledirti.
Perchè mi hai tradito.
Hai preso la nostra vita insieme, ne hai fatto un sacco e l’hai buttata via, lavandoti poi con cura le mani perchè non ti restasse addosso neanche l’odore. Mi hai detto di andarmene perchè non mi amavi più, perchè da troppo tempo le nostre vite avevano preso strade diverse, perchè non ci capivamo più.
Invece io ti amavo ancora. Invece per me stavamo correndo sullo stesso rettilineo. Invece io ti capivo benissimo. Capivo che avevi voglia di altro, di evadere, di rompere quella routine che a un certo punto si appropria dei rapporti e come un tarlo li mina nel profondo. Questo lo capivo ed ero pronta a lasciarti più libero, a inventarmi nuove avventure da affrontare insieme, a cambiare casa se tu lo avessi voluto, a farmi crescere i capelli, a colorare il nostro mondo che da un giorno all’altro sembrava diventato in bianco e nero. Capivo. Ero pronta a tutto. Non a essere lasciata, però. Per un’altra. Per una storia che mi sembrava pazzesca. Per qualcuno che improvvisamente ti aveva portato via da me.
Mi hai fatto impazzire. L’idea che tu fossi di un’altra, che lei percorresse con le sue mani il tuo corpo che era il mio fino a ieri. Che le dicessi che la amavi, che volevi stare con lei. Che io ero il passato e lei il futuro. Che non ero più nulla per te, mentre tu eri tutto per me.
Ho smesso di respirare per giorni. E ho giurato e spergiurato che saresti per sempre uscito dalla mia vita. Ho cercato di cancellare tutti i segni esteriori della nostra storia, di nasconderli, di rinnegarli. Ho evitato il tuo sguardo, le tue parole, i tuoi messaggi. Ero sicura di odiarti, sì, quanto mi eri odioso, con quel tuo modo di fare, con quella tua presunzione, con quella tua dannata bellezza il cui ricordo non mi faceva dormire.
Ma.
Ma l’amore ci frega. Più lo allontani più lui penetra nel profondo.
Sei tornato e mi hai detto ricominciamo. Ho detto no. E’ bastato uno sguardo e sono stata tua di nuovo. Non ho mai smesso di esserlo. Ho lottato. Sì, lottato con me stessa. Ricordando la dignità, l’orgoglio, i consigli degli amici. Mi sono guardata allo specchio e ho detto, no no. Poi ti ho guardato e ho detto sì sì.
Perchè ti amo. Anche se dovrei odiarti.
Correre e rincorrere
Arriva quel giorno in cui ti senti stanca di cercare. Gli altri intendo. Lo hai fatto per una vita, per colmare quel vuoto che ogni tanto ti assale, per avere un confronto e un conforto, per cercare di unire, condividere, parlare. Hai messaggiato e aspettato ore, giorni, una risposta. E quando la risposta è arrivata, troppo spesso aveva il peso di una piuma, di un contentino distratto, di una faccina sorridente pescata a caso tra le emoticon. Hai telefonato senza successo e mai che qualcuno si degnasse di richiamare. Tutti troppo presi. Troppo impegnati. Non così é stato quando avevano bisogno, ma questa è una storia vecchia come il mondo e tu non sei una che si piange addosso. E sei anche una testarda. Che ci prova e riprova, a far capire che i rapporti non sono una foto taggata sui social o una serata insieme. Che ci vuole impegno e costanza, interesse e desiderio, come in tutte le cose. E tu sei stanca di mettercelo solo tu, sto impegno, sta costanza, sto interesse e desiderio. O comunque di avere questa sgradevole sensazione. Sí sei davvero stanca e delusa. E allora meglio un buon libro, ottima musica, la compagnia di quelle due o tre persone che davvero ci sono sempre, il mare, il sole, Il cielo. Perché correre ti piace, e tanto. Rincorrere anche no grazie.
Mi manchi
Mi manchi. In questa serata afosa, immobile, silenziosa. Che poi troppo immobile e silenziosa non è perchè intorno a me ci sono turisti che comperano il gelato, bambini che fanno i capricci perchè vogliono l’ennesima paletta, canzoni dal ritmo latino che escono dai locali, ragazzini in piena tempesta ormonale. Eppure per me è solo rumore senza senso. E quando qualche cosa non ha senso non lo sentiamo neppure. Avete presente quando siete sul tram o in metro nell’ora di punta ma siete talmente concentrati sui pensieri del lavoro o sulle grane familiari da non avvertire nulla? Ecco. Stasera è così. Mi manchi. Non sono qui. In questo posto bellissimo. Sono lì, accanto a te. La testa appoggiata sulla spalla, la televisione accesa, tu che sonnecchi da una parte e io dall’altra. Bè tu russi, a dire il vero, non sonnecchi. E se sei sveglio fai zapping e mi fai arrabbiare. Mi manchi. Che poi se fossi qui con me farei esattamente le stesse cose, gli stessi giri. Solo li farei con te accanto. E sarebbe infinitamente più divertente. Perchè, sai, io posso benissimo vivere senza di te. La mia esistenza mi soddisfa, il mio lavoro, le mie passioni, la mia voglia di fare. Se tu non ci sei tutto procede comunque, so pure piantare chiodi, aggiustare la spina del folletto se si rompe, arrangiarmi con le mille formalità del quotidiano. Però con te tutto assume un senso profondo. Noi, insieme, siamo questo senso profondo. Ed è per questo che stasera, davvero, mi manchi.
Intesa intellettuale
Mi piace il tuo modo di pensare.
Adoro la tua intelligenza.
L’intesa tra due cervelli è ciò che mi interessa veramente.
Ora, a meno che non abbiate 16 anni e siate fan sfegatate di Uomini e Donne, direi che frasi del genere dovrebbero farvi perlomeno sorridere. Soprattutto se pronunciate al primo incontro, gli occhi negli occhi di uno con cui la conversazione si è finora basata su Che bevi? Da dove vieni? Che fai? Eppure lui spergiura che non gli interessa il vostro aspetto, vuole instaurare un serio rapporto di complicità, poi si vedrà.
Perché sono ancora tanti gli uomini che pensano di intortarci con sta storia. E tantissime quelle che, il giorno dopo, messaggiano all’amica “è diverso! Non mi vuole portare a letto! Vuole solo venire per musei con me!”
Ecco. Chiariamo.
L’intesa tra uomo e donna scatta in prima battuta per una serie di motivi: aspetto fisico, simpatia, interessi comuni. Ed è evidente che a moltissimi non preme solo portarci a letto, ma si cerchi una complicità che renda migliore la vita. Mica sono tutti come quel mio amico di gioventù, che comperava dieci gettoni telefonici e faceva un giro di chiamate del tenore “me la dai? Ah ok ciao” finché non trovava quella che rispondeva sì. Per carità. Però scordatevi che il fine ultimo non sia quello. Di far goal. È questione naturale. Primordiale. Elementare. E per questo diffidate di chi cerca di strapparvela con tante lusinghe intellettuali. Che peraltro ai giorni nostri offendono pure un po’. Lo so anche io che ho un cervello, che sono una donna preparata, che posso benissimo rivestire un incarico una volta appannaggio solo maschile. C’è stata la rivoluzione sessuale, il ‘68, e mille battaglie vinte, per cui non vedo perché tu debba cercare di portarmi a letto con sti trucchetti. Mica io faccio lo stesso. No no.
Per cui meno ipocrisia. E noi donne smettiamo di credere a frasi che possono fare davvero male. Perché se dopo un po’ di corteggiamento intellettuale non la sganciamo “Eh, sai” ti diranno, “l’intesa sessuale é fondamentale per me. E se non scatta, non scatta”. E ciao moneta.
Poi è evidente che, nei rapporti veri, importanti, che insomma durano più di un mese, se non hai nulla da dirti non c’è storia. E che davvero il dialogo a quel punto diventa un ulteriore strumenti di intesa nell’intimità. Ma il maschio resta maschio, ricordatevelo. Che dimenticarlo significa prendere amare delusioni. E da questo, purtroppo, nessuna rivoluzione sessuale ci salverà.
Coerentemente autoironici
Coerenza, Rispetto, Ironia.
Basterebbe questo e tutto sarebbe più facile.
Coerenza nelle scelte. Perché non si può avere tutto e piacere a tutti. No no. Decidere non è semplice e state sicuri che perderete qualche cosa, qualunque strada prendiate. Secca, lo so. Ma non si può cambiare bandiera e pensiero ad ogni soffio di vento. Dire tutto e il contrario di tutto. Adattarsi sempre al miglior offerente e rinnegare quanto affermato il giorno prima. Non nel mio mondo almeno. Coerenza perché siamo persone e abbiamo una dignità.
Coerenza perché la vita merita un disegno, impressionista, informale, cubista, naïf: non importa la stile ma trovate il vostro e difendetelo.
Coerenza perché gli altri meritano il nostro rispetto e fare il saltimbanco dei sentimenti non è corretto, mai.
Eccolo qui il rispetto.
Di noi stessi, prima di tutto. Del nostro corpo, della nostra anima, di questa vita che ci è stata regalata senza che lo chiedessimo e che merita di essere vissuta al meglio. Senza se e senza ma, senza fuggire davanti alle responsabilità, senza buttarsi via per un amore finito, per una delusione professionale, per un insieme di ragioni che nulla valgono di fronte alla potenza di un’esistenza da assaporare fino in fondo.
Rispetto degli altri, totale. Perché ferire una persona è facile come respirare ed è un atto senza scuse, soprattutto se deliberato. Perché siamo liberi, di parlare, di scrivere, di vivere come vogliamo ma ricordiamo sempre il banale principio per cui la mia libertà finisce dove inizia la tua. Ricordatevelo sempre. Perché far marcia indietro è difficile e i vasi rotti si aggiustano, le anime no.
Ironia. Anzi, autoironia.
Prendersi troppo sul serio è controproducente, affrontare le situazioni senza un pizzico di leggerezza aumenta il rischio del fallimento, essere persone tutte d’un pezzo raramente paga. Imparate a sorridere dei vostri sbagli, a sminuire le situazioni troppo pesanti, ad accettare le vostre imperfezioni e a riderci su. Che non vuol dire superficialità. Anzi. Proprio il contrario. Vuol dire comprendere la profondità delle cose e capire che non siamo invincibili, che sbagliamo e tanto, noi come gli altri, che puntare il dito non serve a risolvere i problemi e ci rende giudici non richiesti.
Coerenti con rispetto e autoironia. Si può. Si deve.
Destino
Stai lì, attonita. La forchetta in mano con sopra qualche chicco di riso e nell’altra il telecomando con cui hai appena sintonizzato sul tg.
Deve esserci uno sbaglio. Non può essere il notiziario questo. Deve essere un film, uno di quelli con gli effetti speciali, elicotteri che cadono, auto che carambolano sulle strade, ponti che crollano, urla in sottofondo.
E invece no. È tutto vero.
E il pensiero corre veloce a quella stessa sensazione di incredulità che ti aveva colto nel 2001, l’11 settembre.
Non può essere vero, solo al cinema succede, e a volte neanche lí. Come può essere? Che mentre viaggi con la tua auto il ponte ti si sgretoli sotto? O che tu lo veda frantumarsi davanti a te mentre molli la macchina e corri indietro. Così come non pareva vero che aerei potessero schiantarsi contro grattacieli nel centro di una città.
Attentati, incuria, fatalità. Le cause verranno analizzate da chi deve farlo. Ma sempre più spesso la realtà supera la fiction, in tragedie che lasciano così, a bocca aperta. Che ci fanno arrabbiare, inorridire, riflettere, spaventare. Perché tutti noi potevamo essere su quelle auto, in quei grattacieli, in quelle strade. E questi dolori sono anche i nostri, ci devastano dentro, perché noi siamo solo stati più fortunati e le Moire sono sempre al lavoro, nel loro tessere i destini, incrociarli, reciderli al momento stabilito.
Attonita. La forchetta in mano.
Un pensiero.
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie.