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Joshua tree

La strada. Una striscia diritta, che sale, scende, sale, scende. Dolce ma senza finire mai. A lati, la vegetazione che lentamente scompare, la prateria lascia spazio a roccia, sabbia, arbusti. La strada. Continua. Non sai se sei tu a percorrerla o lei a portarti verso la meta. Il deserto del Mojave, quello di Las Vegas per intenderci, della Death Valley. Ma noi puntiamo a sud questa volta, verso il Joshua Tree Park, noi, inguaribili amanti del rock, sulle orme degli U2 e del loro mitico album del 1987. La strada. Ci conduce tra queste piante dal tronco duro e dall’aspetto unico, chiamate così dai mormoni che popolarono queste terre a fine ottocento e che videro nei loro rami l’immagine di Giosuè che leva le braccia al cielo per pregare il Signore. Da brividi. Joshua Tree strega anche noi. Come già aveva affascinato Bono e compagni. Non solo per gli alberi, ma anche per le rocce, levigate dal vento, per i tramonti, unici e affascinanti, per il panorama che si scorge dal punto più alto, Palm Spring, Coachella Valley, e laggiù la via che porta a Los Angeles. La strada. Perché come scrive Kerouac “Dobbiamo andare e non fermarci mai finché non arriviamo.

– Per andare dove, amico?

– Non lo so, ma dobbiamo andare”

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