Sono una che non sa aspettare. Una impaziente. Una di quelle che in coda in auto è già stufa quando vede la segnalazione della coda. Una di quelle che al supermercato prende il biglietto del banco carni, poi va a fare la spesa e quando torna il più delle volte il numero é già passato. Ma stare lì ad aspettare no. Una di quelle che nove mesi di gravidanza sono un’eternità, già sarebbero troppe nove settimane. E infatti i miei figli, che erano già svegli, sono nati un pochino prima. Una di quelle che non pensa mai prima di parlare, conto al massimo fino a uno, e così si incasina regolarmente. Una di quelle che quando prende una medicina come idea questa deve fare effetto nel momento stesso in cui la deglutisce, se no vuol dire che non serve a nulla. Sì, sono impaziente ed é uno dei difetti peggiori che mi porto dietro fin da piccola. Perché se la pazienza é la virtù dei forti, l’impazienza è il vizio dei ciula. Per fortuna esiste il telefono, e la sua funzione appunti. Così quando, come adesso, sono qui ad aspettare in posta che arrivi il mio turno, almeno posso scrivere. Mi stufo ed irrito ugualmente, e non sapete quanto, ma le lettere hanno sempre un forte potere endorfinico su di me. E se non raggiungerò un’atarassia stoica perlomeno eviterò di seccarmi troppo e di attaccare bottone con tutti gli esseri viventi e semiviventi intorno a me, che sono anche logorroica. Ma questa è un’altra storia.