Francesco Moro, studioso e amante della nostra terra, scrive nella prefazione di un suo testo che il Signore, dopo aver lavorato per sei giorni e faticato per creare tutto il mondo, si riposò. E mentre si rilassava posò gli occhi su una terra di una bellezza unica e speciale, ricca di rogge e campi coltivati, di filari di alberi e di molti animali e decise di renderla ancora più bella e armoniosa. Questa terra era la Lomellina di Moro, la nostra Lomellina. Ecco, in questi due giorni, mentre dal balcone guardavo una nube scura colorare il nostro cielo di una tinta innaturale, triste e minacciosa, mi veniva in mente questo racconto di Moro. Sì perchè in fondo quella che lui descrive è la terra in cui sono nata e di cui sono fatta. Io sono fatta di terra e di acqua, di umidità che sale dalle risaie, del fumo della nebbia, dell’azzurro nelle giornate terse che ci fanno salutare il Rosa; la mia pelle porta su di sè le impronte delle innumerevoli zanzare che l’hanno percorsa (zanzare ormai innocue, magari fastidiose, ma innocue che qui la malaria l’abbiamo sconfitta da tempo…ma ops quella è un’altra storia), le mie orecchie risuonano delle cicale, dei grilli, delle rane, delle mille specie di uccelli che si trovano qui intorno; i miei occhi sono abituati agli aironi, che belli gli aironi che planano sulle risaie in una danza che vorresti non finisse mai. La mia Lomellina non è quella che vedo dal mio balcone. Con quella colonna che si leva proprio da lì, da via Enrico Fermi (che nome…), da quella via dove ho trascorso tanti pomeriggi, in mezzo ai campi, a fare bamboline con i papaveri e ad ascoltare il nonno che mi spiegava cosa cresceva nell’orto. Sì perchè a fianco a quel mucchio di rumenta informe che va a fuoco, c’era la casa dei miei nonni, e c’era l’amatissimo orto del nonno Francesco, che nei campi della nostra Lomellina ha sputato il sangue e che nel suo orto, sì quell’orto lì a fianco a questa vergogna, si è pure spento. Il posto più bello per lui, la sua terra, la sua campagna. Cosa direbbe oggi? Oggi che la Lomellina è un puzzle di industrie che smaltiscono non si sa bene che cosa e di aziende di vario tipo? Non vado oltre. Sono per il progresso. Amo il progresso. So che questo ha un prezzo per l’ambiente e chi mi conosce sa che non sono incline ai falsi moralismi. Ma oggi sono arrabbiata. Sono arrabbiata con chi ha permesso che quella che i Visconti e gli Sforza chiamavano Beldiporto, ovvero bel luogo dove venire a fare le “vacanze”, a cacciare, a respirare aria buona sia diventata quello che vedo dal balcone. Sono arrabbiata con chi non sa valorizzare la cultura del nostro territorio, la sua ricchezza naturale e ambientale, la bellezza dei suoi borghi e invece di investire in quello accetta che si arrivi a tutto questo. Sono arrabbiata con chi, dopo aver accettato certi compromessi in nome del progresso, poi non vigila che le regole di sicurezza vengano rispettate, con chi multa chi sbaglia la raccolta differenziata ma lascia che si accatastino tonnellate di schifo senza smaltirle. Sono arrabbiata con chi costringe me e i miei figli a stare in casa sigillati, o altri a girare con le mascherine, in un clima spettrale che non è la mia Mortara. La mia Mortara è quella del mercato del venerdì, della gente nei caffè, delle scampagnate in bicicletta, della Sagra e dei pettegolezzi ad ogni angolo. Non è quella chiusa in casa e spaventata, su tutti i tg, che vedo ora. Sono arrabbiata con me stessa, con i miei cittadini, perchè tra una settimana avremo dimenticato tutto e respireremo, mangeremo, berremo schifezze per i prossimi dieci anni. E tutto rimarrà uguale. O forse no. Lo spero. Perchè io quella colonna di fumo che rovina il mio orizzonte non la dimenticherò mai.