Un paio di pantaloni, una maglietta, un cambio intimo, un vestito nero, un costume anzi due, le infradito, un paio di tacchi. Crema viso spazzolino e dentifricio. Caricabatterie del telefono. Aulin e spasmomen che viaggio sempre in compagnia. Trenta secondi per decidere di partire. 5 minuti per fare il bagaglio. Che una volta che sei in viaggio con la testa il corpo non può che seguirla. Meta, non esiste ancora. E forse questo è il bello. Partire per se stessi. Per un giorno, due tre, una settimana, una vita. A volte anche solo per qualche ora, con l’illusione di lasciare a casa tutti gli irrisolti della nostra vita. Ma il rito stesso del buttare in una borsa pezzetti di noi stessi a farci compagnia ha in sè il senso di libertà che a più riprese cerchiamo. In auto, musica a palla, tettuccio aperto, occhiali da sole e via. Senza pensare. Senza cercare. Senza un senso. Ecco una volta tanto un senso non c’è. La bellezza del viaggio, sembra la pubblicità di un’auto, non conta la metà ma il viaggio stesso. Proprio così. E ti trovi a puntare diritto verso il mare, che non potrebbe essere altrimenti in una giornata così, in cui le nuvole sono andate a riposare e il cielo è dell’azzurro dei disegni dei bambini. Il mare. Il riflesso dei raggi sulle onde, questi mille specchietti incantati che fanno sorridere l’anima prima del volto. Sì. Se potessi partire oggi andrei al mare. Mi tufferei nelle onde e lascerei che l’acqua avvolgesse tutto il corpo, lì sotto, al riparo da tutto, con la pelle d’oca, e l’azzurro tutto intorno. Se. Per oggi i se sono più forti di me. Disfo il bagaglio immaginario mi vesto e vado in ufficio. Domani. Forse. Intanto il mio viaggetto me lo sono fatta. Nella mente. E per un attimo la sensazione dell’acqua addosso c’é stata. E non era quella della doccia 😉