Ieri sera ho fatto un giro sui Navigli. E, come ogni volta che capito da quelle parti, mi sono soffermata davanti alla casa di Alda Merini. Quasi fosse un pellegrinaggio. Una sosta dovuta a chi é riuscita con tratti lievi eppur taglienti a dissezionare l’essenza della vita e dell’amore. Considerata folle. Ma d’altra parte folle non é colui che vede la realtà meglio dei cosiddetti sani? Dove sta la sanità mentale? Nella razionalità? Nel calcolo? Nell’omologazione da gregge che scandisce i nostri tempi? Basta leggere Pirandello e tutto si spiega. Nulla è più affascinante e terribilmente vero della teoria delle maschere, che tutti noi indossiamo per poter essere animali sociali, per dirla con Aristotele. E chi questa maschera non la indossa, chi é sè stesso senza adeguarsi, è un diverso, un folle, un artista, uno strano. La Merini scriveva “Io vorrei essere aiutata, ma non a capire. Ho capito fin troppo”. Come i folli che nell’antichità venivano guardati con rispetto, come i ciechi, perché solo chi sa guardare oltre il reale ha gli occhi degli dei. Così ieri sera senza scarpe mi sono messa sotto casa sua. Non per fare la folle ma perché avevo male ai piedi. E perché adoro calpestare la terra, sentirne il freddo, sentirmi libera, ovvio meglio in spiaggia che sul pavimento lercio dei Navigli, ma non sempre si può decidere dove essere. E lì, senza la sua presunta follia, senza il suo talento, senza la sua straziante sensibilità, ho pensato ai suoi versi. Io così diversa, ma anche io, come lei, senza pelle. Tutto troppo forte contro il cuore, tutto troppo intenso, e l’armatura che si sgretola ogni volta e mi lascia senza maschera, così, semplicemente io, e il mondo che neanche se ne accorge e ci passa sopra. Panta rei. Lo diceva Talete. Lo canta anche Gabbani. Per quelle come me mica troppo. Tutto scorre ma lascia indietro un sacco di detriti. E a noi non resta che cercare di levarceli di dosso. Pezzetto per pezzetto. E poi sederci in un angolo e sentire, sentire l’essenza, come diceva lei. “Mi piace il verbo sentire…Sentire il rumore del mare, sentirne l’odore. Sentire il suono della pioggia che ti bagna le labbra, sentire una penna che traccia sentimenti su un foglio bianco. Sentire l’odore di chi ami, sentirne la voce e sentirlo col cuore. Sentire è il verbo delle emozioni, ci si sdraia sulla schiena del mondo e si sente…”
Brividi
Mi è stato insegnato che nella vita devi dare cento per ricevere, forse, uno. Che la bellezza dell’amore e dell’amicizia consiste nel donare e che questo non deve mai essere un do ut des. Sono fermamente convinta che uno dei sommi piaceri della vita sia organizzare una sorpresa ad una persona a cui vuoi bene. Il fermento dell’idea che prende forma. L’ansia che tutto vada secondo i piani. La gioia di pensare alle possibili reazioni. L’adrenalina dell’ultimo momento e delle possibili complicazioni. E alla fine, se tutto funziona, l’impagabile sorriso del destinatario. Nulla batte tutto questo. Nessun regalo, nessun oggetto, nessun complimento. La felicità dell’inatteso, preparato per lui, solo per lui. Sarà che a me piacciono le sorprese, e che in questa vita sembrano esistere solo quelle brutte, di sorprese. E sempre meno qualcuno disposto a idearne, crearne, metterle in essere. E sia. Io non smetterò mai di essere una “surprise maker”, per dirla all’anglosassone che fa molto figo, e peccato per chi ci rinuncia per pigrizia. O, peggio, per mancanza di fantasia. Mi hanno insegnato a dare. E ci provo, ogni giorno. Tanto non sarà mai abbastanza per chi invece sta lì, immobile, e spera di ricevere. Che stupidi. La vita ci emoziona agendo, non patendo. La vita è un brivido che vola via, dice Vasco, e non so voi ma io, di brividi, non voglio perdermene neanche uno….
Sulla sabbia
Hai scritto ti amo sulla sabbia. Lo hai fatto di sera, una sera d’estate mentre il sole tramontava nella baia e le case colorate tremolavano sulle onde leggere. Lo hai fatto sorseggiando una birra, la seconda o la terza di un aperitivo forse un po’ lungo, forse un po’ triste, di sicuro solitario. Hai scritto ti amo con un legnetto scuro, portato dal mare, proveniente da chissà dove, perché i flutti rimescolano tutto e annullano i confini. Lo hai scritto bene, con attenzione, calcando sulle cinque lettere come a renderle indelebili. Indelebili sulla sabbia in riva al mare. Ecco l’amore è proprio così. Ha la presunzione tutta umana di essere eterno ma in fondo è una scritta sulla sabbia in riva al mare. Tutto dipende dalle onde. Dalla schiuma che accarezza scritta e sentimenti, un po’ come il tempo e la vita, che pian piano se li mangiano tutti i nostri sentimenti. E noi dobbiamo essere bravi e attenti, con il nostro legnetto in mano, a ripassare le lettere ogni volta che un’onda le porta via. Senza stancarci mai. Hai scritto ti amo sulla sabbia e adesso guardi le parole e sorseggi la birra. Nessun nome a fianco. Tu lo sai a chi è rivolto. E forse lo hai scritto più per te che per lei, che talvolta abbiamo paura di esprimerlo questo amore, come se dire urlare scrivere ti amo fosse mettersi troppo a nudo in una società che ci insegna ogni giorno a rifugiarci dietro la nostra corazza. Ho scritto ti amo ieri sera. E la scritta è ancora qui la mattina dopo. É vissuta una notte intera. Come il più bello degli amori. ❤
Gap
Ho 42 anni. Quando mia madre aveva la mia età io ne avevo 17 ed ero convinta che non capisse nulla di me, del mio mondo, di ciò che volevo nella vita. Pensavo che vivesse una vita parallela alla mia e che, fuori dalla mia stanza e dalle pagine della mia Smemo che scoppiava di emozioni, lei e tutti gli adulti fossero troppo lontani da me per potermi ascoltare. Lei era una donna e io una ragazzina con la testa troppo ingombrante. Adesso la donna sono io, anche se di certo più insicura di quanto fosse la mia mamma allora, e mio figlio ha 13 anni. E di sicuro anche lui pensa che io non ci capisca nulla della sua vita, dei suoi videogiochi, del suo slang, dei suoi bisogni. E in parte ha ragione. Ci capisco poco e lo capisco poco. Sebbene mi sforzi, ogni giorno, di comprenderlo senza invadere, di ascoltarlo senza prevaricare, di consigliare in modo fermo senza che lui lo viva come un ordine. Un domani saprò se è andata bene o male. Se nella mia totale mancanza di equilibrio sono riuscita ad essere una via. Se in un modo o nell’altro mi avrà amato per quello che sono. La sua mamma.
Giorni
Ci saranno giorni in cui avrai i miei sorrisi e altri in cui i miei fantasmi tormenteranno anche te. Non sarà facile chiuderli in soffitta ma dovrai accettarli perché la bellezza è composta di luci e ombre e solo così potrai davvero avermi. Ci saranno giorni in cui la mia follia ti porterá sulle montagne russe e altri in cui la stessa pazzia annullerà le tue certezze. Perché lei scava nel profondo, si attacca alle parole, non lascia nulla di scontato. Ci saranno giorni in cui il mio corpo ti farà girare la testa perché in stato di grazia avrò deciso di amarlo e di amarti. Non cercare di afferrarmi però, di tenermi troppo stretta: gli animali sono fedeli se li lasci liberi, altrimenti scappano via. Ci saranno giorni in cui ti chiederai perché e forse troverai una risposta. Non dirmela. Mai. Non mi serve sapere perché. Mi basta che tu ci sia. Lì. Come ora. E che per questo tratto di cammino, breve o lungo che sia, tu sia tanto folle da scommettere su di me, su di te, su di noi.
Ritorno al futuro
“Ritorno al futuro” coi miei ragazzi. E gli anni ’80 che ti scorrono davanti agli occhi. I tuoi anni ’80. Le musicassette e i vhs. Il telefono fisso con la rotella. I capelli con il ciuffo e le spalle imbottite. Le felpe della Naj Oleari e le Vans, la cintura del Charro e i pantaloni della Energy. Umberto Tozzi e Claudio Baglioni. La vecchia Golf e le macchine squadrate. “Cioè” e le domande su dove mettere la lingua quando dai un bacio, che poi la provi davanti allo specchio e ti fa schifo, e cresci complessata. Che poi tu lo avevi capito ma l’altro no e se ne stava lì fermo immobile, che non c’è nulla di peggiore di uno che tiene la lingua ferma in quella situazione, è come uno che ti da la mano morta invece di stringerla. Gli anni ’80 e Raf che cantava “Cosa resterà di questi Anni Ottanta afferrati già scivolati via…”, mentre il muro di Berlino si sgretolava e tu credevi che tutto fosse possibile. Ecco Il mio ritorno al futuro vorrei mi restituisse questo, la capacità di credere, ancora, che tutto sia possibile….
Lorella
La Lorella l’ho conosciuta tantissimi anni fa. Ci legava, e ancora ci lega, una passione tutta speciale per la musica, il palco, la danza, l’espressione di sè in tutte le sue forme. E il destino ci ha legate in un modo tutto particolare, un momento speciale per lei, un periodo di grazia per me. Ho preso il suo posto sul palco e credo che interpretare ciò che avrebbe dovuto fare lei, sia stato come fondere le nostre anime. Sono passati anni. Non ci frequentiamo, ci incrociamo raramente anche se abitiamo davvero vicine, non ho nemmeno il suo numero di telefono. Ma il legame resta. Almeno per me. Fortissimo. Ogni mio post un suo commento, sempre sentito, in grado di cogliere l’essenza di ciò che lo ha suscitato. Auguri Lorella, di cuore. Anche se non so neanche quanti anni hai. Ma direi che la cosa non ha nessuna importanza. E grazie, per aver spesso aggiunto fiori e poesia ai miei giorni ❤️
Una di quelle
Io sono una di quelle che sorridono sempre a tutti, anche a quelli che ci stanno facendo del male, buon viso a cattivo gioco, e poco importa se questo ci costa una gastrite perenne. Io sono una di quelle che si illudono, si illudono forte, altroché Leopardi, ci ripromettiamo di non farlo più, di tenere le distanze, ma la bellezza delle illusioni è il richiamo delle Sirene a cui non sappiamo e non vogliamo dire di no.
Io sono una di quelle che non hanno scheletri negli armadi, solo tanti vestiti, con cui ogni giorno mettere in scena la maschera della vita, perché davvero io sono colei che mi si crede.
Io sono una di quelle senza pelle, tutte le emozioni dirette al cuore, tutte le parole capaci di scalfire, tutti i gesti vissuti senza filtri.
Io sono una di quelle che ha sbagliato tanto, che ha pagato tanto, e che comunque non ha ancora imparato la lezione.
Io sono una di quelle che nonostante tutto ha ancora voglia di vivere, ridere, correre, saltare, amare, creare. Perché io sono una di quelle che in questa vita ci crede, sbaglio consapevole che non voglio smettere mai.
Attendendo
Sala d’aspetto di uno studio medico. Asettica. Incolore. Inodore. Le riviste su un tavolo che nessuno guarda più perché tutti impegnati con lo schermo di un cellulare. Il medico in ritardo. I medici sono sempre in ritardo. Come i treni. Che uno si abitua alla relatività degli orari e siamo un popolo di approssimativi ritardatari. Un bambino. Anzi due. Che sono già stufi quando entrano e anche se versi la quota annuale per Save the children dopo un quarto d’ora che ti saltano sui piedi salgono e scendono dalla sedia cantano parlano ridono, ecco dopo un quarto d’ora così alle prossime Elezioni voti Erode e non ci pensi più. Poi entra il pensionato. Che ha fretta. Hanno sempre fretta. Un sacco di tempo e tutto subito. Si siede. E inizia a sbuffare. Si alza, va in bagno, esce, si siede. Sbuffa. Guarda l’ora tira su dal naso e inizia la litania. E tu che eri con Erode a questo punto sopprimeresti pure i pensionati. Anche perché si ciucciano i miei contributi e la cosa non mi va mica tanto. Tocca quasi a te ed entra trafelata una biondona con in mano le chiavi la borsa il cappotto e pure il cane. Chiede chi è l’ultimo e dice che lei deve solo ritirare una impegnativa. Che ci mette poco. Che è in ritardo. Che tu le diresti col cavolo che passi davanti, sono qui da una vita, usciró e scoprirò che nel frattempo l’uomo ha edificato sulla luna e quindi non ho nessuna intenzione di farti passare. Figuriamoci il pensionato. Inizia una protesta dialettale che potremmo definire colorita, attingendo da tutto il bagaglio bestemmiatorio della nostra sana tradizione orale. Però tu sei una signora. Sei gentile. Fai il fioretto per quaresima. E sorridendo la fai passare. Ovviamente la sua visita dura quanto tutte le altre insieme che probabilmente ha fatto un check up completo e fatto dare un occhio pure al cane mignon. Quando tocca a te non ti ricordi neanche più perché sei lì. Entri e vergognosamente dopo tre minuti sei fuori. Due ore di attesa, tre minuti di visita, una ricetta in mano. Economicamente un disastro, come al solito. Che coi numeri la colli non c’azzecca. A meno che non si tratti di altezza dei tacchi, ovviamente 😜
Sliding doors
Sliding Doors. Ve lo ricordate? Il film con Gwyneth Paltrow in cui una banale azione come prendere o perdere la metropolitana cambia tutto il corso di una vita. Quante sliding doors, quante porte scorrevoli ci sono nella vita di tutti noi? La mia vita è una sliding door continua e l’impressione che il destino faccia di tutto per rimescolare sempre le carte è davvero forte. E quando sembri navigare tranquilla ecco che arriva la sorpresa. Bella o brutta non importa. Quella che ti costringe a cambiare rotta, a ribaltare piani, a iniziare tutto da capo. C’è chi reagisce con rabbia, chi si arrocca sulle proprie posizioni, che si deprime. Io sorrido. Perché nulla è più eccitante del cambiamento, nulla più stimolante di uno spazio vuoto da riempire di tante idee. E ripartire è faticoso ma molto meglio che restare immobili, ripetutamente avvezzi alle proprie abitudini. Si chiude una porta, si apre un portone. O una birra. O un brunello. Fate voi. L’importante è non fermarsi mai. On the road perché, come diceva Kerouac, basta seguire la strada e prima o poi si fa il giro del mondo. Non si può finire in nessun altro posto, no?