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Brandy

Brandy Vela ha 18 anni. Texana, bionda, occhi azzurri. Una bella ragazza americana come tante. Va a scuola alla Texas City Indipendent School. Qualche amica, le feste, i messaggini. Una ragazza come tante che la globalizzazione ha reso simile a tutte quelle della sua età in giro per il mondo, per interessi e stile di vita. Ma si sa. Di deficienti è pieno il mondo. E qualcuno comincia a prenderla in giro per il suo peso, che non è eccessivo, solo non è filiforme. La chiamano cicciona e lei soffre. E tanto. Anche perché ai miei tempi, venti anni fa, se ti prendevano in giro il tutto si risolveva tra le mura della scuola, al massimo nella tua piccola comunità. Ora no. Ora i deficienti, detti bulli, ma sempre deficienti sono, usano internet. E lo fanno con la cattiveria che solo gli adolescenti possono avere. La martellano, creano profili falsi su Facebook ed invadono il suo profilo di insulti. Lei li denuncia. Ma poco serve, sfuggono come anguille nel mondo virtuale. E a un certo punto questa ragazza dal sorriso aperto, con l’apparecchio ai denti che la rende ancora più dolce, non ce la fa più. Prende una pistola, in un Paese dove le armi sono troppo a portata di mano, e davanti ai genitori si uccide. Sì si uccide. Perchè qualcuno l’ha convinta che così non valga la pena vivere, così “grassa”, così presa in giro, così terribilmente popolare. Perché qualcuno crede che il mondo sia dietro uno schermo e dobbiamo educarli questi ragazzi, e forse prima ancora noi stessi, che il mondo è all’aperto, nel confronto diretto con gli altri, in un aperitivo tra amici, in una litigata faccia a faccia. Perché in America una pistola la trovi ovunque, e non è quella ad acqua che ti regalano d’estate con le riviste. Brandy Vela non c’è più per tutto questo. E domani ci sarà un’altra come lei vittima del nostro quotidiano. A meno che non ci diamo tutti una regolata. Al più presto. Altrimenti le lacrime di chi ora la piange avranno il valore di una emoticon di watsapp. Vere ma destinate ad essere cancellate con un clic. 

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