La vita sembra a volte così complessa. Ti sforzi di migliorare, crescere, innovare, eppure sembri un criceto nella ruota. Eppure basterebbe banalmente abbracciare la filosofia di Forrest Gump. Ve lo ricordate? La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita. Ecco i cioccolatini appunto. Davanti alla scatola noi passiamo ore a valutare quale incarto sia meglio, quale meno calorico, quale contiene lattosio o glutine, quale più buono. E alla fine capita pure che qualcun altro se li pigli tutti sti cioccolatini mentre noi pensiamo e li finisca per noi. Chiudete gli occhi e pescate a caso. É cioccolato, è cibo, comunque vada sarà una scelta. E le scelte sono il sale della vita, perché solo chi non sceglie è vero non sbaglia ma resta lì, immobile, a bocca asciutta. Prendetene uno e gustatelo fino in fondo, senza guardare quello degli altri, che l’invidia è il veleno del nostro mondo. E vedrete che tutto sembrerà più semplice. E quando avrete voglia di cambiare rotta, fate ancora una volta come Forrest, dite “sono un po’ stanchino” smettete di correre e andate a casa. Senza problemi, spiegazioni, giustificazioni. Solo perché vi va di farlo. Perché, ricordatelo sempre, stupido è chi lo stupido fa….
Kisses
Ed è proprio vero che ci sono mille posti dove dare un bacio. E i più belli sono quelli che non ti aspetti, che non ci avresti mai pensato. Quelli che ti lasciano senza fiato perché ti colgono alla sprovvista. Mentre sali in macchina, le mani che tengono la borsa le chiavi il cellulare, di corsa, in ritardo al solito, e lui è lì e a quel paese il ritardo, ferma il mondo con quel bacio, che fa cadere chiavi borsa cellulare insieme al cuore che sobbalza come se fosse la prima volta. Quelli che arrivano di soppiatto, da chi mai e poi mai ti aspetteresti, senza chiedere permesso, per favore, posso. Che un bacio non si chiede, si prende, si ruba. Quelli che non finiscono mai, come le canzoni dei Pink Floyd, e quando finiscono, ma di già?!? Che i baci migliori devono lasciare insoddisfatti, perché ne vuoi ancora e ancora e ancora. Quelli senza senso e il senso trovatelo voi, io lo vivo un bacio, e poi al massimo ci penso. Quelli in riva al mare, sotto il piumone, in mezzo a una piazza affollata, tra la neve, sotto la pioggia, dietro a un muro, in un viale. Il dove importa? Forse no, eppure sarà il dove che ci ricorderemo. E il più delle volte sarà il più assurdo e, diciamocelo, il meno romantico. Ma la poesia, questo è garantito, l’avremo creata noi ❤️
Bye bye
Sono iniziati i titoli di coda della mia storia di dipendente pubblico. Ho sperato in questo mese che fosse un film con il sequel, ma la regia ha accettato questo finale e tra due giorni sarò un cittadino come tanti. Non metterò più timbri allo Zalone e mi mancheranno i miei colleghi, mi mancheranno tanto, con le loro manie, i loro pregi e difetti, le loro abitudini. Che in un piccolo comune sei un po’ una grande famiglia, e se per alcuni sono stata sempre un’adozione mal sopportata, in altri ho trovato davvero il piacere di venire a lavorare la mattina. Non so come sia in altre realtà. Non so se si passi il badge e poi si vada a fare la spesa. Io so che nel mio comune ho sempre visto tanto lavoro e che come dovrebbe essere ognuno ci mette del suo. Si lavora. Punto. Ho visto anche tanta stanchezza, perché non sempre a questo lavoro corrisponde una crescita, e forse è questo il limite del posto fisso. Troppo fisso. E le competenze poco valutate. E alla fine ti stanchi e ti siedi. E ne nascono i disservizi. Io non sono fatta per questo. Mi manca l’aria. E alla fine il film l’ho fatto finire come mio costume, uscendo di scena senza rompere troppo le balle, lasciando il posto ad altri che, come mi è stato più volte poco delicatamente ricordato, hanno più bisogno di me. E così sia. Nell’Italia del 2016 c’é chi ancora non riesce ad andare oltre il tuo nome e la tua origine, come nella tragedia greca. E ben venga. Io sono la colli, la figlia del Colli, e vi assicuro che il meglio deve ancora venire….
Ore 22. Domenica sera. Nel mio lettone sotto il piumone grigio, un velo di mal di testa che non mi da tregua da giorni, gli occhi che si chiudono mentre cerco di leggere poche pagine di un libro. Ma le righe scorrrono e la mente è altrove. È stato uno di quei week end da incorniciare, si da incorniciare come il disco fantastico che ho ricevuto venerdì sera. Segno di una generosità inaspettata di chi ti regala del suo e lo fa per il piacere di farlo. Un bene davvero prezioso, che ricordate che l’amicizia è generosa, altrimenti è solo egoistica conoscenza. Un week end senza locali speciali, senza sbronze, senza ristorantini, senza divertimento ricercato. Eppure perfetto. Con quelle cene e apertivi che ti riconciliano con la natura umana, che ti danno la speranza che ancora si possa dare e ricevere in allegria, che ti fanno sentire confusa e felice. No va bè quella era Carmen Consoli. Io sono solo felice, chiaramente felice, perché sono un animale sociale e se il sociale manca o è scadente soffro. Perché lo cerco, e il più delle volte rimango delusa. Ma non in queste sere. Queste sere la musica ha suonato le note giuste e non avrebbe potuto altrimenti, tra i mille cd e vinili di un animo speciale. Un brindisi all’amicizia. Un Brindisi al nostro essere semplicemente noi stessi. Un brindisi alle feste e buon Natale. Si perché il Natale quando arriva arriva. E per me questa sera è stato davvero Natale con tanto di sorpresa….
Lider
Ti accorgi che stai invecchiando quando il mondo in cui sei cresciuta pian piano scompare. I punti saldi della tua cultura storica, geografica e politica non ci sono più. E quello che sembrava utopico è reale. È iniziato tutto con la morte di Papa Wojtyla credo. Il papa per me era quel volto e quello stile, quella forza e quel corrigerete che non tramonterà mai. Abbiamo avuto poi un papa dimesso e un presidente della Repubblica Italiana rieletto, seppur per poco. Sono venuti meno tutti i partiti politici e quello che ne resta ci lascia senza riferimenti. In America è stato eletto Paperon de Paperoni, che si è fatto un baffo di chi diceva ma vaaa. La geografia dell’est Europa che ho imparato a scuola non c’è più, e i confini sono relativi, con buona pace di Gorbaciov. Le nostre strade sono un melting pot senza controllo e la sensazione che faremo la fine dell’Impero Romano nessuno me la toglie. E adesso non c’è più neanche un dittatore di tutto rispetto. Che ok Kim Yung e altre schegge impazzite sparse per il mondo, ma qui mi riferisco a chi a buono o cattivo diritto è stato il mito per una generazione. Il Lider Maximo se ne va e lo fa ormai malato e anziano. Che a uno come lui spettava una morte diversa, che se sei stato un grande leader come muori è quasi più importante di quello che hai fatto in vita. Nel bene e nel male ripeto. Non ho competenze politiche e lungi da me giudicare. Ma Cuba era Fidel, e Fidel era Cuba. E oggi sono un pochino più vecchia anche io. Mentre lui resterà nei libri di storia, piaccia o no, perché “Per non lottare ci saranno sempre moltissimi pretesti in ogni epoca e in ogni circostanza, ma mai, senza lotta, si potrà avere la libertà.”
Viscere
C’é un amore che non si spiega. Lo puoi solo provare. Ha radici così profonde che vanno oltre il cuore e invadono le viscere. È quello che sento quando li guardo. Li ho amati prima ancora che nascesse l’idea di loro. Quando da ragazza ero convinta che non ci sarebbero mai stati, che questo corpo non fosse in grado di dare la vita, lui che già faceva fatica a darla a se stesso. Li ho amati fin dal primo brivido dentro di me, mentre li cercavo, desiderati, desideratissimi. Li ho amati non appena una linea rossa ha confermato quello che già sapevo, e allora sì ogni atomo del mio essere ha avuto un senso. Sono impazzita quando ho sentito il loro cuoricino, eh cuoricino, un martello pneumatico che mi vibrava dentro “sono qui!! Mi senti?” Forte e chiaro come non mai. Li ho amati mentre la pancia cresceva e disegnavo i contorni del loro corpicino mentre, sdraiata sul divano, gli facevo ascoltare Vasco, il Liga, gli Stones, i Pink Floyd, i Cure, che le basi bisogna metterle dall’inizio. Li ho amati quando li ho visti la prima volta, uno coi suoi piedoni, l’altro fatto su come un gomitolo, così unici nel loro profumo, così raggrinziti, così, così belli. Non ho pianto, nè allora nè mai, non per i primi passi, le prime parole, scuola, comunione o cresima, io non piango, mi fanno sorridere loro, sempre, oppure arrabbiare terribilmente perché sono adolescenti e nulla è più irritante di un adolescente che vuole irritarti. Sì sono quasi grandi e mentre camminano davanti a me, penso che sono davvero un regalo speciale. Che non sono la mamma che cucina i manicaretti, che spesso mi rimproverano la mia follia, il mio cantare a squarciagola, il mio vestire poco consono, la mia follia velata dalla buona educazione. Ma che va bene così, che nessuno ti insegna a essere mamma, puoi solo viverlo. Seguendo il cuore. Anzi, le viscere.
Black Friday
Black Friday. Blec fraidei per i non anglofoni. Che la pronuncia è importante. Ovvero negli Stati Uniti il venerdì dopo il Thanksgiving in cui tutti sono a casa da lavorare e i negozi fanno mega sconti. Dimostrazione lampante del perché gli americani saranno sempre un passo avanti: fissano una delle feste più importanti della loro tradizione di giovedì, così da avere garantito un bel ponte per smaltire tacchino, mush potetoes e cheese cake. Così anche il labour day, la festa dei lavoratori, il primo lunedì di settembre, che un week end lungo a fine estate non è male. E noi lì a fare la conta dei ponti per mettere giù le ferie. Altro livello. Comunque black friday. Carte di credito a lucido, e la crisi ci fa un baffo. Che ai miei tempi i saldi erano a gennaio e a luglio, adesso non si capisce più una mazza e dobbiamo pure importare sto venerdì nero da Trump per vedere di far girare un po’ l’economia. Anche se a farla da padrone sarà al solito internet, dove gli sconti ci sono per le feste americane, francesi, inglesi, cinesi. No cinesi no. Per quelli basta andare al Best One (supermercatone china del mio paese, dove trovi dallo spillo alla pelliccia) ed è black, anzi yellow, da lunedì a domenica. E se non ci fosse questa colonizzazione selvaggia a mandorla del blec fraidei non avremmo bisogno. Vi auguro buono shopping allora. Per lacolli il venerdì è di mercato, quello della mia città. Con buona pace del tacchino.
1992
Era il 1992. Che anno, lo ricordate? Mani pulite, le stragi mafiose, l’Italia nel caos. Io me lo ricordo bene quell’anno. Terzo anno di liceo e una adolescenza difficile. La mia passione per la moda e quelle modelle, le grandi modelle degli anni ’90. E la voglia di essere anche io un po’ come loro. Loro alte, io beh il metro e sessanta ancora lontano. I capelli lunghi e diritti, i miei ricci ricci che neanche la piastra, e in più vivo in mezzo alla nebbia e mai una volta che stiano come dico. Le gambe affusolate, lunghissime, le mie muscolose, toste, frutto di anni di sci, sport, sport e ancora sport, corte come tutto il resto. Le mie amiche sicure e forti, io secchiona, sempre in difetto, che nulla è più controproducente di cercare di piacere, effetto contrario garantito. Ecco 25 anni fa, come ora, alla vigilia del 1992 io sono andata a massa. E ho perso quelli che chiamano gli anni più belli. Gli altri uscivano io dimagrivo, impegnata in una lotta tutta mia, che danneggiava solo me, allontanava amicizie che non ho più ritrovato, che se stai male a 17 anni di crocerossine mica ne trovi. Mi è andata bene poi. A un certo punto ho tirato fuori le palle. E a fatica, quanta fatica, mi sono tirata in piedi. Ci sono voluti anni e tanta forza, che l’anoressia è un tarlo che ti inquina la mente e ti rovina il corpo. Ma ho vinto. Ho vinto io. E da quel momento so che posso vincere sempre. Però mi incazzo. Sì mi incazzo quando vedo queste foto, nel 2016, oggi che i disturbi alimentari sono noti a tutti, che gli stilisti hanno promesso e ripromesso solo taglie 40 in passerella. Palle. Sfilano ancora queste ragazze oggi. E ok i disturbi alimentari hanno altre origini, ma io sono convinta che questa sia una violenza deliberata. Alle donne, al buon gusto, alla visione di sè, alla moda, al rispetto del corpo. E a distanza di anni mi fa male. Ecco in giorni di campagne sul si o sul no, anche qui palle confuse di politici che non sono in grado neanche di fare da autisti a quelli del 1992, il mio no va a tutto questo, a chi sfrutta il corpo femminile, a chi inquina la mente con modelli sbagliati, a chi permette passerelle del genere. E scusate lo sfogo.
Cenerentola
Non credo alle favole. Non le ho mai particolarmente amate, neanche da bambina. Tranne Cenerentola. Quella sì. Con le due sorellastre stronze e la matrigna che di sicuro si faceva di botulino. Con bidibibodibibu che mi ha sempre messo allegria. E ogni volta che arriva Halloween spero che la zucca si trasformi in carrozza, o meglio nella Lotus che il mio vicino ogni tanto posteggia sotto casa. Cenerentola e il suo tacco. Altroché Sex and The City, quella su un tacco ha costruito una fortuna, è la dimostrazione che un tacco 12 risolve sempre e a volte ti cambia la vita. Ecco perché ci proviamo sempre anche noi sui nostri trampoli. Che poi se Ceverentola fosse vissuta a Mortara sai quante scarpette avrebbe perso. Nel porfido, in mezzo ai sanpietrini, io li lascio un giorno sì e uno anche. Spesso ovviamente la perdo la scarpa ma visto che la mattina presto più che studenti non incontro, mi becco solo le risate di sfottò. Che i principi qui o non ci sono o si nascondono davvero bene. Come quello della favola che gira tutto il regno con una scarpa in mano, e la prova a tutti. Una scarpetta di cristallo poi. Sarà stato un soprammobile Svarovsky, di un numero strano visto che non va a nessuno. Io porto il 37, standard, quindi di sicuro qualcuno mi fregherebbe principe e scarpa. Che morto un principe se ne fa un altro. Ma il mio tacco12 no. Aspiranti principesse sono avvisate….
Love
E poi ti scopri innamorata. Sì innamorata. Che a 41 anni è davvero un lusso. Lo senti crescere dentro piano piano e ti sembra qualche cosa di nuovo. Un po’ ti da pure fastidio, abituata al tuo quotidiano, in cui i balzi al cuore sono quelli in cui non trovi più le chiavi di casa o l’ennesimo buu dietro la porta di tuo figlio. C’è l’amore nella tua vita, ma tanto amore. Complicità, tenerezza, attenzione, consapevolezza. Ed è un nido sicuro che in fondo dai per scontato, il tuo guscio contro il mondo, il tuo mondo che ti ha reso la persona che sei e che finalmente ami guardare dritto nello specchio. Ecco in questa tranquillità ti senti in fermento. Ti scopri ad emozionarti per un sorriso o per una carezza. A mandare messaggi coi cuoricini e a scrivergli bigliettini da lasciare ovunque, nel cappotto, nella borsa del lavoro, nella tasca dei jeans. A farti bella, bè insomma a provarci, per te, per lui, per lo sguardo in una serata tutta per voi. Ti scopri innamorata. Ed è bellissimo. Soprattutto se l’uomo che ti fa battere il cuore è il ragazzo per cui hai perso la testa a 18 anni. Quello con cui hai condiviso una vita intera e che di nuovo ti ha fatto innamorare, se mai ci fosse bisogno di aggiungere qualcosa al vostro amore. Con la sua dolcezza. Con la sua bellezza. Con l’ironia delle sue battute, che ti fanno ridere la mattina appena svegli, quell’ironia intelligente mai sguaiata. Con la nostra complicità, come ieri sera, rientrati un po’ tardi, un po’ brilli, un po’ su di giri, a rimboccare le coperte ai nostri ragazzi e a guardarci con sguardo un po’ colpevole che forse saremmo dovuti tornare prima, ma va bene così. Con il suo modo di essere. Unico e speciale. Ecco. Io sono innamorata. E per questo posto tanti ❤️️❤️️❤️️. Come se avessi diciotto anni. E che un po’ davvero mi sento….