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Capelli

Giornata di pioggia fitta oggi, di quelle che ti senti l’umidità fino al midollo, che vorresti startene sotto la coperta, libro, tisana, musica. E invece i soliti venti giri tra lavoro e figli, in macchina, a piedi, sempre di corsa. L’ombrello, un dettaglio, troppa fatica aprirlo, chiuderlo, una cosa in più da tenere in mano, quindi mi lavo. Sempre. Così, quando salgo sull’ascensore per rientrare finalmente in casa, lo specchio riflette l’immagine della mia piega perfetta, Coppola Via Manzoni, collezione primavera estate 2015. Che poi non è che normalmente io sia pettinata. Ci ho provato, per anni, a domarli. Essendo riccia, ovviamente li ho sempre desiderai dritti. Basti dire che il ricordo più vivo del primo giorno di liceo non sono stati professori, aule, parole, ma i capelli dritti della ragazza seduta davanti a me, lunghissimi e lisci, pure con la frangia, altra chimera per me. Eppure ci ho tentato. A nove anni ho tagliato la frangetta per la prima volta e, per paura che si arricciasse, ho dormito una settimana con la mano sulla fronte, con l’inevitabile risultato che si appiccicassero alla mano con relativo pianto mattutino. Crescendo, ho acquisito saggezza e parsimonia, inutile andare dal parrucchiere solo per tagliare tre peli sulla fronte: davanti allo specchio, forbicina delle unghie in mano, scelta che già denotava la mia attitudine all’hairstying, taglio netto e senza esitazioni. Perfetto. Sì peccato che, invece di tagliare sotto al dito che tendeva i capelli, lo avessi fatto sopra. Risultato una peluria informe lunga un centimetro, un mese a litigare tutte le mattine con sto tirabacio non desiderato e una carriera da coiffeur troncata sul nascere. E poi vogliamo mettere i capelli diritti, con i miei, ricci crespi e gonfi? E allora via di piastra, e grazie alla mamma che con pazienza me li tirava, e nell’enfasi di farli liscissimi, piastrava ogni tanto pure l’orecchio, ma come si dice se bella vuoi apparire un’ustione di primo grado al padiglione auricolare è di certo il male minore. Tanto non si vede, i capelli, diritti, lo coprono. E che dire del dilemma lungo o corto? Sempre desiderato tagliarli corti, ma no, stanno bene lunghi, ma sei matta, un peccato, e allora mi ero messa in testa che a quarant’anni li avrei tagliati. Non so perché questa età, forse mi vedevo ai tempi con una piega alla Jane Fonda, sciura sprint, sta di fatto che corti, meno corti, li ho portati anche prima. E per no farmi mancare nulla, ho provato pure le estension, ovviamente lunghissime, del tipo che volevo essere come le Barbie, con una massa di capelli che arrivavano fin sotto al sedere. E visto che ho molti capelli, le estension erano pure tantissime, e soprattutto pesantissime. Insopportabili. Cervicale e fisioterapia, altroché Barbie e Ken. E veniamo al colore. Si perché il mondo è pieno di sfumature, vorrai mica essere monotonale? Vi basti dire che tra patente, carta di identità, passaporto, non ne ho una con lo stesso colore, il prossimo documento lo faccio con una parrucca rosa, perché in fondo quello che conta è farsi notare. Che poi i capelli sono lo specchio di ciò che siamo, e io sono davvero come i miei ricci, spettinati, indomabili, spontanei, a proprio agio lontano dalla spazzola e dalla lacca che cerca di imbrigliarli in una forma prestabilita. Come dice Nicolò Fabi “Non sono venuto in motocicletta, non mi sono pettinato con le bombe a mano, non ho messo le dita dentro la spina, non mi sono lavato con la candeggina, sono uno di quelli che porta i suoi lunghi capelli per scelta e non usa trucchi, e voi levatevi la parrucca”….

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