Me lo ricordo ancora la prima volta che ho messo su carta un pensiero. Mio, intendo, non chiesto dalla maestra, non frutto di un dovere, semplicemente mio. Non mi piaceva scrivere, non amavo i pensierini, mi mancavano le idee e immancabilmente piangevo. Sono sempre stata una piagnona, quello si, ma non per il dolore, no no, per il nervoso, la rabbia. Ancora adesso. Quel magone da nervi, che è l’alternativa pacifica al sacco da boxe per sfogare le giornate no. Ecco, davanti al foglio vuoto, non c’era verso, piangevo ancora prima di arrivare a casa da scuola, la mamma apriva la porta e c’era un tipetto con le trecce, la faccia scura, la ruga sulla fronte che già faceva capolino. Poi, un giorno, ho provato a tenere un diario. Era un quaderno alto, copertina rigida, a righe. Si perché a me le sfide sono sempre piaciute toste. Mica ho preso un Block notes, no, un tomo da riempire, con le righe fitte, neanche un po’ di bianco per i disegni. E mi sono messa lì. I primi due pensieri li ricordo, tipo lista della spesa, di una palla immensa, una faticaccia arrivare in fondo alla pagina. E avevo scritto grosso, un bluff come quando ho dichiarato sulla carta di identità di esser alta 1.60, neanche in punta di piedi, ma ci hanno creduto e poi il tacco è sempre in aiuto. Poi però è arrivato il momento, ero stata al circo, che peraltro non amo, e mi sono persa nella descrizione di animali, giocolieri, forme e colori, quattro pagine senza accorgersene. E ho trovato la via. E voi direte mannaggia al circo, mi sa che diventate tutti animalisti, che se non fosse stato per Nando Orfei, ora il pippone ve lo risparmierei. E invece no. Non ho più smesso. E adesso con gli Smart phone è ancora più facile, perché posso scrivere sempre, in ogni occasione, anche per strada, mentre cammino con l’iPhone tipo navigatore in mano, e quando arrivo a casa mi accorgo che ho pestato pure il biologico di qualche dolce cagnolino, e tu spiega al tuo lui che stavi scrivendo una pagina di grande intensità letteraria mentre gli porgi la tua scarpina e l’espressione “per favore fallo tu che io sto male”. Incompresa ma felice. Oggi più che mai, che grazie a qualche amico e a un editore che forse non si rende neanche conto della follia, questi pensieri sono stampati in un libricino vero, con tanto di ISBN, che per me vale più del numero di una carta di credito gold.