Vent’anni fa la stessa alba di una notte insonne prima degli esami. Che se ci pensi il ricordo è seppiato, un po’ accartocciato sui bordi, eppure certi particolari rimangono vividi come se fosse successo ieri. L’attesa sullo scalone, il toto tema, i banchi nel corridoio, il prof. di filo che ti dice state tranquilli, andrà tutto bene, e la forte sensazione che non ci creda nemmeno lui. I fogli sul banco e poi più nulla, che scrivere mi ha sempre trasportato altrove e la paura scompare per quelle ore. Un’altra notte insonne, e la versione di latino. Che Macrobio manco sapevi fosse uno scrittore romano, che ti sei sempre chiesta se la macrobiotica centri qualcosa e nel dubbio eviti lei e qualunque cucina che non comprenda una bella fetta di salamin d’la duja. Che quella versione ti sembra talmente facile che ti convinci che hai fatto un disastro, perché tre anni di sudore con una prof di greco e latino che non perdona la virgola omessa, ti hanno decisamente temprato. E poi passano i giorni, il cartellone delle materie, il tuo adorato greco sostituito da fisica, che tanto è la stessa cosa no? Che lì hai capito che le cose vanno sudate, che nulla è scontato, che forza è massa per accelerazione, come se te lo fossi tatuato. Perché la maturità ti dice che devi tirare fuori le palle, sei davanti ad un’incognita e devi uscirne, al meglio. E vent’anni fa non avevi i prof che ti aiutavano, anche con uno sguardo, eri lì di fronte ad estranei e dovevi far vedere che eri matura. Non ci credevi, non lo sei neanche ora, ma dovevi convincere gli altri, come un buon sofista. E questa è la vita, in sintesi, in cui non saremo mai più bravi e più belli degli altri, in cui le cose semplici non ci interesseranno, in cui le battaglie perse in partenza saranno una tentazione troppo forte. La maturità del 94, la nostra maturità…