Sveglia all’alba, che di dormire oggi non se ne parla. Alle quattro e mezzo stiri una camicia e la mente rimbomba. Rolling Stones, stasera, a Roma. Per giorni hai cercato di evitare il pensiero, adesso però Start me up ti martella nel cervello e l’adrenalina sale. Un bambino che entra a Disneyland o una sedicenne alla sua prima in disco sarebbero meno agitati. Freccia Rossa per Roma. Sembra il treno dell’Oftal, trasporta malati di Rock e non ha bisogno dell’elettricità, perché l’eccitazione collettiva ne produce da corto circuito. All’arrivo non hai bisogno di chiederti dove si va perché basta seguire la fiumana di gente di tutte le età che costeggia il Colosseo, l’Arco di Costantino, calpestando parte di quella via Sacra che hai la certezza che Orazio avrebbe dedicato una Satira a tutto questo. Alle tre sei già nel Circo Massimo, i Fori sullo sfondo, e l’immenso palco che aspetta i suoi dei. Non sai come ma vi piazzate in un posto spettacolare, vista perfetta e inizia l’attesa. Ovviamente fai amicizia con tutti, riesci a farla con un palo della luce, figuriamoci con veterani che hanno assistito al concerto degli Stones l’11 luglio dell’82 quando l’Italia ha vinto i Mondiali. Che sono cose che fanno storia. Che anche tu stasera ti senti parte delle storia. L’adrenalina si mescola allo stordimento del biologico fumato per ore da quelli davanti a te, very relax, peace and love, e alla curiosità per il variopinto scenario umano che hai di fronte. Dal burino palestrato in costume da bagno che fa di tutto per farsi notare, ai reduci di Woodstock con tanto di capelli bianchi lunghi e fascia, alle signore che aho statte attenta che me pesti lì diti…si perché la pressione diventa tanta, mai visto così tanta umanità, un tappeto immenso in attesa. Ed entra John Meyer, cantante country blues, e già è magia. Una chitarra elettrica che incanta, un personale di tutto rispetto, nel tramonto del sole. E poi. E poi arriva lui. Mick Jagger. Tre ossa in croce, il viso che sembra il Gran Canyon, ma inizia a ballare e cantare ed è così l’uomo più sexi del pianeta. Non per dire. Davvero. Non te ne capaciti ma trasmette una sensualità unica, è lui lo show, domina il palco ed è il re dei 70.000 del Circo Massimo. Keith Richards e Ron Woods fumano mentre suonano la chitarra, hai l’impressione che si divertano un botto, con quelle magliettine attillate e quel fisico che è un miracolo delle rehab. Charlie Watts una macchina da guerra, non si ferma un attimo per due ore, ci droga con la sua batteria. Fantastico. Unico. Vita allo stato puro. Esci a mezzanotte e devi tirare le sei del treno. Una Guinness in un pub irlandese, tanto per non farsi mancare nulla, e poi a Termini. Che è chiusa. E sono le tre. Non fai una piega. Davanti all’ingresso, tra un clochard barbuto e un reduce del rock come te, allunghi la tua copertina rossa per terra, il tuo lui a fianco a te, e sopra un’altra copertina, perché bisogna sempre essere chic, anche sdraiati per terra a dormire davanti a una stazione, che se ti vedesse tuo padre gli verrebbe un infarto. LaColli on fire. Roma 22 Giugno 2014. Satisfaction, oh yes.
Maturi
Vent’anni fa la stessa alba di una notte insonne prima degli esami. Che se ci pensi il ricordo è seppiato, un po’ accartocciato sui bordi, eppure certi particolari rimangono vividi come se fosse successo ieri. L’attesa sullo scalone, il toto tema, i banchi nel corridoio, il prof. di filo che ti dice state tranquilli, andrà tutto bene, e la forte sensazione che non ci creda nemmeno lui. I fogli sul banco e poi più nulla, che scrivere mi ha sempre trasportato altrove e la paura scompare per quelle ore. Un’altra notte insonne, e la versione di latino. Che Macrobio manco sapevi fosse uno scrittore romano, che ti sei sempre chiesta se la macrobiotica centri qualcosa e nel dubbio eviti lei e qualunque cucina che non comprenda una bella fetta di salamin d’la duja. Che quella versione ti sembra talmente facile che ti convinci che hai fatto un disastro, perché tre anni di sudore con una prof di greco e latino che non perdona la virgola omessa, ti hanno decisamente temprato. E poi passano i giorni, il cartellone delle materie, il tuo adorato greco sostituito da fisica, che tanto è la stessa cosa no? Che lì hai capito che le cose vanno sudate, che nulla è scontato, che forza è massa per accelerazione, come se te lo fossi tatuato. Perché la maturità ti dice che devi tirare fuori le palle, sei davanti ad un’incognita e devi uscirne, al meglio. E vent’anni fa non avevi i prof che ti aiutavano, anche con uno sguardo, eri lì di fronte ad estranei e dovevi far vedere che eri matura. Non ci credevi, non lo sei neanche ora, ma dovevi convincere gli altri, come un buon sofista. E questa è la vita, in sintesi, in cui non saremo mai più bravi e più belli degli altri, in cui le cose semplici non ci interesseranno, in cui le battaglie perse in partenza saranno una tentazione troppo forte. La maturità del 94, la nostra maturità…
Rimbaud
Lo capisci subito, che è un giorno diverso dal solito. Appena metti giù i piedi dal letto, guardi l’ora e sono le quattro e dieci. Sì, del mattino, non del pomeriggio che quella sarebbe stata manna dal cielo. Torni a letto e aspetti, che Morfeo torni dalla pausa caffè e ti riporti nel mondo dei sogni. Niente. Sciopero. Non gli avranno rinnovato il contratto. Allora ti alzi, inutile risvegliare gli istinti di chi ti sta accanto, che alle quattro del mattino rischi pure un due di picche. E di lunedì alle quattro del mattino non è un bel modo per iniziare la settimana. In cucina, caffè mentre lentamente albeggia. Intorno silenzio, solo le rondini, qualche auto lontano. Ed è quasi poesia. Sì quasi. Perché in questo falso idillio lomellino, si inserisce a ricordarti che non sei a Praia de Pipa il rumore dell’asciugatrice di quelli di sopra, seguito dopo poco da un bisbiglio fra i due e un vadavialcù, che ti ricorda che i veri legami, quelli forti ed eterni sono quelli in cui bisogna essere chiari. Senza eufemismi. Altroché trottolino amoroso. Un giorno diverso, perché ti siedi sul balcone e leggi Rimbaud, l’aria fresca che ti accarezza le vesti, pensieri che si accavallano, la mente che vola altrove. Perché si può. Anche se sei seduta a fianco ai bidoni della differenziata. Anche se la vista è quella di una ciminiera che meglio non farsi domande. Anche se tra poco la magia si spezza e si deve tornare alla maschera del quotidiano. Un libro è questo. Un viaggio. Della nostra anima, della nostra mente. Che ognuno di noi crea, diverso, ogni volta, perché le parole attraversano l’anima e arrivano alla mente che le accoglie in base al sentire di quell’attimo. E il tempo vola, la vita ricomincia senza sapere che sei andata e tornata da un altro mondo, la casa si anima, uno alla volta i tuoi uomini ti riportano con i piedi per terra. Fin troppo. E devi ricominciare a rispondere alle loro domande, necessità. Come quelle del più piccolo, che appena sveglio ti guarda e chiede “Ma Del Piero ha un uccellino ammaestrato?”…eh caro Rimbaud, altroché Battello Ebbro…
Palestra
Giugno. Tempo d’estate. Tempo di mare e di prova costume. Finalmente metteremo in mostra ore e ore di palestra, a tonificare qui, a tirar su di lì, a sudare sul tappeto. Ecco il tappeto. Se c’è una cosa che mi piace è correre. All’aria aperta, possibilmente in riva al mare, cullata dal rumore delle onde, o anche in campagna, tra le risaie. Non sempre però è possibile, e allora rimediamo con il tappeto in palestra. Dove il paesaggio è diverso, meno bucolico forse, ma vario ed etologicamente davvero interessante. E mentre corri osservi gli eredi dei body builder anni 80, di Schwarzenegger, Stallone e compagni, che ti spiezzo in due era uno dei miti della nostra generazione, e che a te però non è mai piaciuto tanto. Li noti perché si impegnano come non mai, vocalizzano come i leoni della savana, lavorano in coppia, pantaloni larghi un po’ a sbuffo, che hai capito sono così perché il bicipite tira più del polpaccio, o almeno loro credono così, canottiera slabbrata, cappellino in testa, pettorale enorme in vista e una pinacoteca di tatuaggi. Si perchè la differenza fra il body builder anni 80 e odierno è la passione per il Tattoo, ovunque, che ti accorgi che spesso li fissi per seguire il disegno e capire dove va a parare, che sono talmente tanti che ti chiedi se portano in tasca la legenda o se invece li hanno fatti per una sorta di horror vacui su quel corpo che si è ampliato a dismisura. Mah. Dall’altra parte, le camminatrici. Arrivano, salgono sul tappeto, camminano un’ora, alcune leggono un libro intanto, e vanno a casa. Non afferro il senso. Un bel pomeriggio di shopping produrrebbe a mio avviso più endorfine, si macinerebbero più chilometri, e non mi terreste occupato il tappeto per un’ora, chiaro? Oh poi immancabili alcuni signori che avresti detto una volta anziani, adesso sono diversamente giovani, cinque volte alla settimana si allenano, conoscono tutti, tengono il passo, fanno infiltrazioni ogni due per tre ma non mollano, la battono a tutte indistintamente e tu gli vuoi un bene dell’anima perché ti fanno sorridere. Ecco poi ci sono quelli che riescono sempre a migliorarti l’umore, e questi sono quelli per cui frequenti la stessa palestra da secoli, perché la prova costume è una bella molla, ma sono le relazioni umane quelle che rendono tutto davvero tonificante, la battuta con chi ti allena, gli immancabili doppi sensi della pausa pranzo, le chiacchierate mentre pedali che perdi di vista l’ora e fai la Milano Sanremo ridendo del più e del meno. Tutto qui. Perché in fondo una bella corsa scarica e ti fa sentire incredibilmente leggera.