Non mi piacciono le strade rettilinee, quelle strisce monotone sempre uguali, non amo le auto con il cambio automatico, simili a quelle dell’autoscontro ma meno divertenti perché non puoi tamponare le altre, non sono di quelli che ascoltano i notiziari o le tribune politiche in radio, perché mi annoiano a morte e rischierei di addormentarmi…amo le curve, le strade di montagna, quelle in cui devi continuare a cambiare, a giocare tra frizione e freno motore, la guida nervosa, il rumore continuo che i miei braccialetti fanno al polso mentre sposto la mano dal cambio al volante…adoro la musica ad alto volume, del sano buon vecchio rock, che ti sembra sempre di essere Kerouack on the road, il finestrino abbassato, il vento che ti muove i capelli….perché in fondo la vita è questo, una strada piena di curve, in salita, in cui è inutile che ti volti a guardare il passato perché perderesti solo di vista il presente con il rischio di andare a sbattere contro il muro, che puoi affrontare solo se sei disposta a cambiare marcia a seconda delle situazioni e a farlo sempre con la stessa energia propositiva, sempre con la musica nel cuore e con la certezza che in questo viaggio non sarai mai sola….
La manta
Seduta sulla spiaggia, di fronte al mare che tanto bene conosco, il sole che sparisce dietro alle case, l’aria che si fa fresca. Una mamma richiama i bimbi, basta giochi nell’acqua, bisogna stare qui, un po’ tranquilli, assaporare la bellezza del tardo pomeriggio sulla sabbia. Accoccolati vicino a lei, mamma raccontaci una storia, siamo nella città delle favole, sì una storia al tramonto in riva al mare è il testo ideale alla musica delle onde che si infrangono sulla battigia. C’era una volta, sì perché le fiabe iniziano sempre così ed è già magia, c’era una volta una principessa che viveva in un castello in riva al mare, un mare lontano, abitato da pesci grandi e di mille colori. La principessa aveva un re e una regina che le volevano bene, tanti vestiti e servi a sua disposizione, ma era sola, senza amici, non fosse per un cagnolino che le aveva regalato un giorno un paggio e che le scodinzolava sempre intorno. E amava il mare, la spuma delle onde che si infrangeva sugli scogli, l’azzurro, il turchese, il verde, il blu, tutta la tavolozza che quella distesa le offriva ogni giorno mentre la guardava, dal suo balcone, con il suo cagnolino a fianco. Spesso si soffermava sulle barche dei pescatori, sul loro lavoro continuo, prima, durante, dopo, sulla loro carnagione riarsa dal sole, sulle mani nodose, sull’abile maestria nel manovrare le loro imbarcazioni. E spesso lo sguardo si fermava su di uno che pescava da solo, rientrava la mattina presto dopo la notte in mare e non si soffermava con gli altri; forse per questo l’aveva attirato, sembrava solo come lei, intento nel suo lavoro. Eppure non era mai riuscita a vederlo bene, sembrava giovane, ma aveva sempre calato sugli occhi un cappello, che non lasciava palesare nulla del suo aspetto. Poi, una mattina, all’alba, affacciandosi ancora in camicia da notte, il pescatore alzò lo sguardo verso di lei e la tavolozza dei colori si tinse tutta di verde, un verde che esiste solo nel mondo delle favole, mille pagliuzze di mille verdi differenti che si fondono in una magia. La principessa corse giù dalle infinite scale del suo castello, a piedi nudi, corse per il cortile, attraversò il portone dell’ingresso, la brezza marina che sollevava le vesti, corse sulla sabbia e se lo trovò di fronte. Avrebbe voluto chiedere che cosa voleva dire vivere il mare, sentire le onde nel cuore, respirare la vita, ma non riuscì a pronunciare parola. Tante domande in tante giornate trascorse su quel balcone si erano in dissolte in quello sguardo. Portami via con te, gli disse. Non posso, rispose. Perché? Io sono il mare tu sei la terra, io mi infrango sui tuoi scogli, a volte invado i tuoi terreni, tu mi impedisci di arrivare ovunque, ma saremo sempre due elementi distinti. Le mie onde baciano la spiaggia, con delicatezza o con ardore, io posso farti sognare, ma solo se tu sei la terra e io il mare. Allora una lacrima scese dal volto della principessa, sulle vesti, fino a cadere sulla sabbia, e scivolare giù giù fino al mare. Lei si spogliò e si tuffò, apparve e scomparve più volte nell’azzurro, uscendo dall’acqua come per volare e rituffandosi nel profondo. Da allora nessuno l’ha più vista ma tutti giurano che ogni volta che il pescatore esce a gettare le sue reti, una manta elegante vola sull’acqua all’orizzonte.
Favole
Sì decisamente vivo nel mondo delle favole. Perché credo che l’educazione sia un fatto spontaneo e comunque dovuto, che la gentilezza paghi sempre, che un grazie e un sorriso non costino fatica e rinfranchino l’animo. Perché penso che a una mail o ad un messaggio di un conoscente si debba sempre rispondere in tempi circoscritti, perché dall’altra parte c’è qualcuno che aspetta e dobbiamo imparare a metterci sempre nei panni degli altri. Perché ho l’abitudine di richiamare se vedo una chiamata persa, anche se non conosco il numero, perché qualcuno aveva bisogno di parlarmi e, se ha sbagliato numero, non perderò più di un minuto ma sarò stata cortese. Perché buongiorno buonasera ciao salve non sono parolacce e se sono accompagnati da un sorriso fanno di sicuro piacere. Perché ho imparato che rispondere con garbo ad una persona maleducata è disarmante e che chi alza la voce è perché sa di non avere buone ragioni da spendere. Perché infine ritengo che tutto questo sia contagioso e se lo applichiamo tutti un pochino ne trarremo sicuro giovamento. E tutto questo, mi dicono, esiste solo nel mondo delle favole…
Ritardo
In ritardo. Perennemente in lotta con l’orologio. Colpa dell’agenda che permette di sovrapporre gli impegni e alla fine ti ritrovi a dover fare in un’ora spesa, benzina, visita dal pediatra. Impossibile. Perché non ce la puoi fare, menti perfino spudoratamente a tuo figlio che non ti vede all’uscita della scuola dicendo ero lì dietro non mi hai visto, quando invece sei arrivata con cinque minuti di ritardo, hai posteggiato l’auto in quarta fila, perché hai provato facile.it, ma il posteggio te l’hanno soffiato sotto il naso, altrochè. Come sabato sera. Uscita a due. Lui ed io. L’ultima volta tuo figlio beveva dal biberon e adesso ha il 37 di piedi. Sei quasi emozionata. Lui è pronto, bello come il sole, davanti alla porta, mani in tasca, tu entri in bagno, mi trucco e arrivo. Apri la pochette, che chiamarla pochette è un insulto alla lingua francese, una busta che i Nas potrebbero sequestrarti, simile al laboratorio di Pollock intento nell’action painting. La apri e prendi la terra e questa cade per terra. E’ la terza legge di Murphy, se hai una seratina fashion e sei di corsa, il contenitore della terra cade sul pavimento. E si frantuma. In tanti quadrettini che sembrano i pezzi di un mosaico etnico. A questo punto commetti l’errore di provare a tirarla su con la mano, le tesserine si frantumano, prendi il pennello, lo passi sul pavimento così sei sicura che penetri bene nelle fughe delle piastrelle, però almeno ne recuperi un po’ e riesci a truccarti. Per terra il macello, non vuoi farti vedere, seratina che doveva essere perfetta, provi a pulire con la carta igienica imbevuta di acqua, tutto questo con una minigonna inguinale e il tacco dodici che i funamboli del circo ie fai un baffo. Alla fine, dai, non si vede, ti alzi, ti trucchi, dai sono quasi in orario, ti guardi, sulla maglietta bianca l’impronta della mano Natural Bronze, che fa molto tribale ma alla fine è come quando vai in un negozio a provare una maglietta e, per quanto stati attenta, la sporchi di netto di trucco e poi, con nonchalance la lasci lì e dici che ci penserai…Esci dal bagno, perfetta, lui è pronto, bello come il sole, in effetti non si è mosso, si sarà addormentato?, mani in tasca, le chiavi le prendi tu? A me danno fastidio. Si perché loro escono solo con il portafoglio, al massimo le chiavi della macchina. Noi abbiamo il trolley. Portafoglio, che di per sé è già una borsa, fazzoletti, agendina, che non si sa mai che tu debba vedere che Santo sarà il 6 agosto 2015, astuccio con tanto di micromina e mine, crema per le mani, scaduta perché tanto non la sopporti ma fa chic, salviettine intime, perché nei locali non si sa mai, salvo che poi vai in bagno senza borsa e naturalmente il rotolo è finito, occhiali, assorbenti…ecco gli assorbenti, nella loro bustina verde, viola, azzurra, che ha il potere di uscire sempre per prima dalla borsa quando cerchi qualunque cosa davanti a un estraneo, e poi le medicine, un kit di sopravvivenza anche se vai nella pizzeria sottocasa, e cellulare, ipad, ricarica…mammamia, non sono una donna, sono un marsupiale, la sorella di Babbo Natale. No, anzi, la Befana. Con l’impronta da walk of fame sulla maglia. Che riempie la calza in ritardo, il 7 gennaio, perché il 6 stava pulendo la terra con la scopa….
La Baia
Ci sono luoghi che ti entrano nella pelle, che sono con te anche se lontani, che in fondo sono te perché la tua anima riflette la loro presenza. E sono mille i motivi perché questo può accadere: la sfumatura di un paesaggio, la poesia di un’architettura, la magia di uno scorcio…e soprattutto le emozioni che questi luoghi racchiudono, i ricordi, le sensazioni, il vissuto che li ha resi così speciali. E tu ti senti completamente te stessa solo qui, a casa, anche se i muri della tua vita sono altrove. Li chiamano luoghi del cuore, ma secondo me sono lo specchio della nostra anima. Il mio è fatto di case colorate, perché io sono piena di colori, ogni giorno diversi, volubili, ma sempre decisi; è fatto di mare, perché amo l’acqua in tutte le sue forme, pioggia, neve, rugiada; è fatto di sabbia, perché camminare a piedi nudi è fantastico, perché calda, fredda, asciutta, bagnata, trasmette sempre sensazioni differenti; è fatto di scogli, perché la vita non è una spianata e ci saranno sempre rocce appuntite che ti tagliano i piedi, ma a furia di camminarci sopra impari ad evitarle…é fatto infine dalle persone che qui ho incontrato e che sono parte inscindibile del mio essere e che loro malgrado sono in parte responsabili di quello che sono…ecco perché questa sarà sempre La Mia Baia